2022-01-02
Morto il «gran lattaio» Calisto Tanzi. Con Parmalat svelò l’Italia peggiore
Partì dal nulla, creò un impero multimiliardario e la sinistra ne fece un intoccabile in chiave anti Silvio Berlusconi. La politica attinse dalla sua fortuna, forse ne coprì le magagne, poi arrivò il crac che castigò i risparmiatori. «A volte a trattare gli affari si dicono otto parole quando ne bastano due. Io ne dico una e mezza». Parlava poco Calisto Tanzi e la sua frase più celebre era di moda negli anni Novanta quando la sinistra cattolica, della quale era considerato campione pio e riservato, lo utilizzava in chiave antiberlusconiana. Da una parte il tycoon brianzolo chiacchierone e venditore nato, dall’altra il magnate del latte schivo e inginocchiato in preghiera col cappotto di cammello. Poi si scoprì che era seduto su una montagna di debiti, che il suo aereo privato era il mezzo preferito da Ciriaco De Mita e che il diavolo poteva arrivare anche dalla strada della parrocchia. Allora scomparve per la prima volta, inghiottito dall’oblio. Era il 17 dicembre 2003, quando la Parmalat fallì e lui fu arrestato.Ieri il «Gran lattaio» è scomparso per la seconda volta, a 83 anni, portato via da un’infezione polmonare (era ricoverato in ospedale da metà dicembre) mentre era agli arresti domiciliari nella villa alle porte di Parma, a scontare i 17 anni e 5 mesi per quel crac che passò alla storia dell’economia italiana come la prima voragine di un capitalismo finanziario sussidiato dalla politica e dalle clientele. Tanzi era il bersaglio preferito di Beppe Grillo negli spettacoli destinati a diventare brodo di coltura del movimento del vaffa; il comico osava parlare della Parmalat come di un tetrapak vuoto quando premier e ministri si facevano finanziare a pieno regime. E al culmine dello show ruggiva: «Calisto sta per cambiare nome, si farà chiamare Falisco».Eppure la sua è una grande storia da self made man all’americana. Tanzi rileva la piccola azienda del nonno a Collecchio nel 1961, a 23 anni, la chiama Dietalat e la porta avanti con un ragioniere e 20 operai. L’intuizione della vita gli viene addosso in un viaggio a Stoccolma, è lì in una vetrina: il latte venduto nei cartoni invece che nelle bottiglie. Nel 1966 arriva il secondo colpo d’ala: dopo un viaggio negli Stati Uniti decide di acquistare macchinari per la lunga conservazione (procedimento Uht), fa scacco matto e cambia il nome del brand in Parmalat. Panna, yogurt, burro, succhi di frutta; in 20 anni arriva a fatturare quasi 1.000 miliardi (920 per l’esattezza) di lire e usa come moltiplicatore un settore che si sta aprendo alle sponsorizzazioni più aggressive: lo sport.È la stagione della Parmalat ovunque. Sui pettorali di Gustavo Thoeni e Ingemar Stenmark, sulle scocche di Formula 1 di Niki Lauda e Nelson Piquet, sulle maglie del Parma Calcio che sale al livello della Juventus con giocatori stellari come Gianluigi Buffon e Claudio Taffarel, Lilian Thuram, Fabio Cannavaro, Hristo Stoichkov, Hernan Crespo, Gianfranco Zola e Tino Asprilla, stella colombiana stravagante che segna gol pazzeschi e colleziona rubinetti d’oro. Quel Parma vince tre Coppe Italia, due Coppe Uefa, la Supercoppa Uefa e quella italiana, la Coppa delle Coppe e sfiora lo scudetto. Il cavalier Tanzi sembra una macchina da soldi, possiede 130 stabilimenti nel mondo (Portogallo, Sudafrica, Colombia, Brasile, Canada, Romania) e un impianto anche a Nusco, feudo di De Mita, leader della sinistra Dc. «Mi basta una parola e mezza per fare un affare», e si intuisce il motivo. Ma quel benessere è solo apparente, i top player costano e alcune operazioni sbagliate (l’acquisto di Odeon Tv, le agenzie turistiche Parmatour dove i parlamentari non pagano le vacanze e lo sbarco fallimentare nel mondo delle merendine e dei biscotti) non fanno altro che allargare i buchi. Accanto a lui si accende e si spegne la stella del suo spericolato braccio destro, Fausto Tonna. Scriveranno i magistrati della procura di Parma: «La Parmalat è la più grande fabbrica di debiti della storia del capitalismo europeo». Il colpo più devastante è l’acquisto di Eurolat dal gruppo Cirio di Sergio Cragnotti per 700 miliardi di lire: deve farlo per consentire a quest’ultimo di rientrare dai debiti con la Banca di Roma di Cesare Geronzi. Per dragare denaro il brand si quota in Borsa ma la svolta non arriva e Tanzi porta con sé nella voragine migliaia di piccoli risparmiatori. Il 17 dicembre 2003 il giorno del giudizio travolge tutto in un modo allucinante: le voci del crac si fanno palpabili e il patron prova a tranquillizzare il mercato mostrando l’estratto conto della holding Bonlat presso la Bank of America, dal quale risulta una liquidità di 3,95 miliardi di euro. Ma i vertici della banca americana comunicano che da loro non esiste alcun conto Bonlat. Era un falso realizzato con uno scanner. Risultato: bancarotta fraudolenta da 14 miliardi di euro e 38.000 piccoli risparmiatori truffati. Lui viene arrestato. E la politica, che lo aveva osannato e aveva dragato denaro come un’idrovora, scompare in un amen.Il presidente Giorgio Napolitano gli toglie il cavalierato del Lavoro, il Parma declina sino a fallire. Adesso Tanzi è un paria, conclusione all’italiana. Torna alla ribalta una decina d’anni fa per un’asta giudiziaria di quadri che vanno da Monet a Picasso, da Magritte a Chagall a Kandinsky. E poi mobili, sculture, vasi antichi. Il Gran Lattaio ha buon gusto ma non ha più nessuno che gli dia voce. In una rara intervista dice: «Ho sbagliato, ma non volevo fregare nessuno. Anch’io sono una vittima, sono stato strangolato. Chiedo perdono come ho perdonato io». Adesso lo decide Lui, nell’unico giudizio che conta.
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