2023-03-19
Non c’è memoria senza la verità
Orazio Schillaci alla commemorazione delle vittime del Covid a Bergamo (Ansa)
Ricordare le vittime è giusto, però anche insufficiente. Troppe le menzogne e gli errori di chi sottovalutò il pericolo. Oltre alle cerimonie, agli italiani vanno date spiegazioni.Sono passati tre anni dal giorno in cui gli italiani spalancarono gli occhi e si trovarono all’improvviso faccia a faccia con il Covid. Una colonna di camion dell’esercito, nella notte del 18 marzo del 2020, trasportò i morti lontano da Bergamo, la provincia più colpita dal virus, perché i cimiteri dei paesi della Valseriana non erano più in grado di seppellirli né bruciarli. Fu uno choc per tutti vedere quei mezzi militari che nella notte si allontanavano verso località sconosciute all’opinione pubblica, ma soprattutto ai familiari delle vittime dell’epidemia. Fino ad allora, tutti avevano creduto alle rassicurazioni del governo e dei cosiddetti esperti, i quali prima si dicevano certi che l’infezione non avrebbe mai raggiunto il nostro Paese e poi ci rinchiusero in casa sostenendo che così avremmo evitato il contagio. Né l’una né l’altra affermazione erano vere e lo si capì davanti a quel funerale clandestino organizzato nell’oscurità. I soldati, che per l’inattività del governo non erano stati schierati due settimane prima per isolare il focolaio, venivano impiegati per portare via i cadaveri all’insaputa di tutti. Niente più di quel filmato, dunque, poteva rappresentare la drammaticità della situazione e il fallimento di un sistema che fino a pochi giorni prima si diceva prontissimo ad affrontare il virus.Se ricordiamo ciò che accadde a marzo di tre anni fa è perché ieri, a Bergamo, è stata celebrata la giornata delle vittime dell’epidemia, con l’inaugurazione del Bosco della memoria. Ovviamente, alla cerimonia c’erano tutti, ministri e assessori, sindaci e grandi ufficiali. Non sono mancati il messaggio del presidente del Consiglio e quello del Capo dello Stato. Giorgia Meloni ha ringraziato il personale sanitario, Sergio Mattarella ha espresso sentimenti di partecipazione al dolore dei familiari dei defunti. Una corona di fiori gialli e rossi - colori della città - è stata deposta davanti alla lapide del cimitero monumentale. Le preghiere di rito hanno fatto il resto. Tutto nella regola delle commemorazioni, dunque? Niente affatto. Il ricordo di chi in pochi giorni è stato strappato all’affetto dei propri cari è legittimo. Così come è giusto ringraziare medici e infermieri che hanno rischiato la vita per curare i malati. Siamo tutti vicini, a loro e a chi ha perso qualcuno, ma questo non può bastare. Sì, d’accordo, ci genuflettiamo e preghiamo per gli scomparsi, ma dopo aver pianto i morti occorre dire la verità ai vivi. Non è sufficiente piantare un albero o deporre una corona di fiori per dichiarare chiusa una vicenda che ha fatto migliaia di vittime. Né è sufficiente invocare l’Eterno riposo per i defunti per voltare pagina.Infatti, non passa giorno che gli atti d’indagine della Procura di Bergamo riportino al periodo che anticipò e seguì la sfilata di bare, svelandoci qualche retroscena della lotta al virus. Dietro l’immagine granitica dei guardiani della salute, oggi scopriamo che a farla da padrone era non solo l’incompetenza, ma anche l’intrigo. Già, mentre gli italiani venivano rassicurati da chi all’epoca era al governo e in maggioranza, e dunque aveva i titoli per parlare e per rinchiuderci, il dietro le quinte era agghiacciante. Minacce, pressioni, forse addirittura tentativi di ricatto. Un mix devastante a cui si accompagnano l’incapacità e l’arroganza. Non stiamo esagerando. Ciò che raccontiamo è tutto nell’inchiesta. Trascrizioni di interrogatori e di messaggi scambiati dagli alti vertici del ministero della Sanità, un quadro inquietante che, oltre all’impreparazione di chi doveva vigilare sulla nostra salute, ci fa intravedere anche una lotta di potere fra diversi schieramenti politici. Sì, altro che deporre una corona di fiori e recitare una prece per sgravarsi la coscienza. Qui occorre qualche cosa che vada oltre le commemorazioni. Non abbiamo nulla contro le cerimonie, ma in questo caso c’è poco da essere cerimoniosi, e molto da approfondire, per evitare che quello che è successo tre anni fa si possa ripetere. Nessuno riporterà in vita i morti, così come credo che nessuno vada in cerca di risarcimenti morali o pecuniari. Però, visto che gli errori e le sottovalutazioni sono stati tanti, almeno una spiegazione agli italiani la si deve. Troppo comodo piantare un albero in memoria dei defunti se poi quelle stesse vittime sono dimenticate perché nessuno vuole chiarire le responsabilità del mancato allarme e della tardiva risposta. L’abbiamo detto e lo ripetiamo: mai come in questo caso è necessaria una commissione d’inchiesta. Non si tratta di perseguire qualcuno, si tratta di impedire che le stesse persone o anche altre commettano gli stessi errori. In Germania, nei giorni scorsi, il direttore di un grande giornale come lo Spiegel ha chiesto scusa per non aver capito e aver assecondato una linea sbagliata. Noi che quella linea l’abbiamo sempre avversata, oggi le scuse ce le aspettiamo da chi commemora i morti senza mai dire una parola di verità ai vivi.
Jose Mourinho (Getty Images)