2024-03-28
La «aiutano» a morire perché è in carrozzina
Un incidente col suo amato cavallo le ha tolto l’uso delle gambe, così la britannica Caroline March, a 31 anni, ha chiesto negli Usa il suicidio assistito. Eppure darsi un’altra chance è sempre possibile: lo dimostrano le storie dei campioni delle Paralimpiadi.«La vita è come il caffè. Puoi metterci tutto lo zucchero che vuoi, ma per addolcirlo devi girare il cucchiaino. A stare fermi non succede niente». Forse sarebbe bastato ascoltare Alex Zanardi, che ha trascorso l’esistenza a scalare l’Everest con la mente ma senza gambe. O forse neppure la scossa di quel campione sarebbe servita a Caroline March, l’amazzone inglese che sabato scorso, a 31 anni, si è fatta calare nell’ultimo gorgo dai professionisti della buona morte per qualche migliaio di dollari. La ragazza che sussurrava ai cavalli saltando gli ostacoli non ha saputo superare l’ultimo, quello della disperazione.Stupenda e atletica in sella ai suoi purosangue, Caroline era stata una stella dell’equitazione britannica ed era avviata a diventare un’allevatrice di prim’ordine quando, nell’aprile di due anni fa, era caduta durante un barrage. Lo scarto del cavallo davanti a una siepe alta, la caduta rovinosa, la perdita dei sensi, la corsa in ospedale. E la diagnosi più perfida: lesione spinale con paralisi dalla vita in giù, il futuro da paraplegica su una sedia a rotelle. I progressi della scienza le davano speranze e lei ha provato a tornare dall’inferno un centimetro alla volta, informando i follower sui social. «Non ho ancora sensibilità nelle gambe ma riesco a sentire e usare gli addominali. Ho notato anche contrazioni casuali alle gambe, mi è stato detto che tutto questo è incoraggiante», scriveva prima che la disillusione arrivasse come neve ghiacciata a congelare ogni illusione.L’anno scorso i suoi post erano diventati negativi. «Non mentirò, sono distrutta, questa non sono io. Andare a cavallo per essere felice, fare esercizi per schiarirmi le idee, passeggiare con i miei cani: tutto questo mi è stato tolto. Non è un grido d’aiuto, sto solo mettendo le carte in tavola». Uno smottamento progressivo della speranza, forse l’incapacità di reinventarsi una vita, di cercare nuove motivazioni, di mescolare lo zucchero sul fondo della tazzina di caffè. Sognava di realizzare una grande famiglia, «con un uomo da amare e due o tre marmocchi da guardare correre nel ranch» che avrebbe costruito per i cavalli. Tutto perduto davanti alla parola «irreversibile». Allora ha detto basta e si è fatta portare negli Stati Uniti per andarsene per sempre. Lontano da casa perché in Gran Bretagna (come in Italia) il suicidio assistito non è legale.Caroline March ci ha lasciato così, alzando le braccia, nella società dell’autodeterminazione e dell’autoeliminazione perché «non è questa la vita che voglio. Essere straordinaria o amata non basta». Ha pubblicato un testamento morale su Facebook con al centro solo sé stessa, chiedendo di non essere giudicata «perché le parole che mi dicono per dissuadermi vengono da un mondo gentile ma non corrispondono a ciò che io sono e a ciò che io sento di volere». I giornali italiani ora la celebrano dimenticandosi l’altra strada per uscire dalla disperazione. Quella della ricostruzione, quella dell’audacia nel credere in una seconda vita, davanti alla quale ci troviamo quando assistiamo alle Paralimpiadi. Quando tocchiamo con mano, senza scomodare la fede, la forza di un uomo o una donna che hanno deciso di offrirsi un’altra chance.Rossana Pasquino ha 21 anni, è paraplegica dall’età di nove, tira di scherma e vince. Tornando dalle Olimpiadi di Tokyo ha detto: «Sappiamo che tanta gente, guardandoci superare i limiti, ha pensato: forse è il momento giusto per iniziare, forse tutto è possibile. Ho vissuto il fascino di un villaggio olimpico condiviso con 4.000 atleti, miriadi di diverse disabilità eppure la stessa voglia di esserci, di provare a scalare la montagna più alta». Aveva cinque anni Angela Procida di Castellammare di Stabia, come i fratelli Abbagnale, quando in un incidente d’auto ha perso il padre, la sorellina e l’uso delle gambe. Oggi gareggia nei 50 dorso, andrà ai giochi di Parigi. «L’incidente ha cambiato la mia vita. In peggio? No, in alcune cose in meglio. Sono convinta che anche così ognuno di noi può contribuire a modificare i destini del mondo». Anche loro erano distrutte, anche loro in un giorno nero come la pece hanno messo le carte in tavola, scoprendo che la vita non aveva rubato né assi, né jolly. Testimoni di una resurrezione, come Pietro De Maria, splendido atleta partito dal lago di Como per diventare il re delle acque, per vincere le onde e conquistare titoli mondiali nello sci nautico. «La sfida è stata sempre e solo con me stesso». Oggi ha una famiglia, una figlia, una laurea e osserva i tramonti scarlatti sulla Grigna manzoniana. Davanti alla scelta di Caroline March non possiamo che stare in silenzio. Ma abbiamo il dovere di non dimenticare chi ha deciso di imboccare la via della speranza e del coraggio. Il pensiero va ancora a lui, Alex Zanardi, e alle sue parole definitive: «Quando mi sono svegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non quella che era andata persa». E ha ricominciato a correre.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.