2019-06-27
Dal momento che ci piacciono le sfide e non amiamo stare con le mani in mano, vi proponiamo un nuovo progetto, una nuova scommessa trascinante che si chiama #informazione online. Saremo diversi e controcorrente anche sul #Web.#LaVerità
Getty Images
Clamoroso autogol della Fifa: ai mondiali americani il match che cade nella data dell’orgoglio arcobaleno vede di fronte due nazioni in cui l’omosessualità è illegale.
Un autogol di quelli più divertenti e nello stesso tempo più pesanti, un gollonzo in piena regola: la partita del Mondiale che avrebbe dovuto celebrare l’orgoglio Lgbtq+ sarà… Egitto-Iran. Ben gli sta, e scusate la franchezza. L’idea che i Mondiali debbano celebrare un pride game per omaggiare l’omosessualità (nel senso più largo del termine, comprendendo perciò anche le politiche contro omofobia e quant’altro) è la solita forzatura retorica dove per certi temi sono previste corsie preferenziali. Tra l’altro i temi «pride» sono sempre gli stessi e - guarda caso - coincidono con fasce di consumatori big spender. Insomma i pride Lgbtq+ sono un business ed è per questo che conviene a tutti inserirli nelle manifestazioni.
Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
Continua a leggere
Riduci
Margaret Court (Ansa)
L’australiana Margaret Court: «I miei connazionali vogliono che il mio nome sparisca».
È donna e, benché nata in una famiglia modesta, è riuscita ad affermarsi come una delle tenniste più vincente di sempre, portandosi a casa 64 prove del Grande Slam: 24 in singolare, 19 in doppio e 21 in doppio misto. Avrebbe insomma tutte le carte in regola - tanto più in tempi in cui l’empowerment femminile attira tanta attenzione culturale e mediatica - per essere indicata a modello delle giovani di tutto il mondo, l’australiana Margaret Court. Eppure la leggendaria campionessa, che oggi ha 83 anni, ai giorni nostri è come dimenticata; di più: è evitata quasi come la peste. Tanto che, quando Oliver Brown del Telegraph ha scelto di dialogarci nei giorni scorsi, lei era quasi incredula: «Sei il primo giornalista ad intervistarmi in questo modo da anni. Gli australiani preferirebbero che il mio nome sparisse». Curiosamente, perfino il mondo del tennis sembra averla rimossa.
Il francese Patrick Mouratoglou, allenatore di Serena Williams, ha liquidato i suoi 24 titoli dello Slam come appartenenti a un’«era diversa», con il tennis ancora amatoriale fino al 1968 e meno giocatori internazionali disposti a viaggiare. Che la Court godesse però pure di molti meno privilegi rispetto alle atlete odierno, appoggiandosi ad alberghi ad una stella e non avendo certo un team di massaggiatori e psicologi, a quanto pare, conta nulla. Il pensiero di Mouratoglou non deve essere solo il suo, dato che la leggendaria tennista non è stata più invitata né al Roland Garros né agli Us Open - tornei che ha vinto cinque volte ciascuno - negli ultimi 15 anni. «Per qualunque altro campione di pedigree simile, un trattamento così sprezzante sarebbe impensabile», osserva Brown. Ed è vero.
Ma come mai Margaret Court è così dimenticata, snobbata, perfino evitata quasi avesse la peste? La sua non più verde età non basta certo a spiegare un simile atteggiamento. Che, come ben sottolinea il Telegraph, ha una radice ben precisa: la sua contrarietà alle rivendicazioni Lgbt - in primo luogo alle nozze gay. Era difatti l’anno 2013 quando l’ex tennista, a proposito del figlio della tennista australiana Casey Dellacqua e della sua compagna Amanda Judd, commentò: «Mi rattrista vedere che questo bambino è apparentemente privato di un padre». Non l’avesse mai detto. Attorno alla vincitrice di 64 Slam s’è creato il gelo. E la cosa è peggiorata quattro anni dopo, quando ha annunciato il boicottaggio di Qantas Airways Limited, la compagnia di bandiera australiana, per via del suo sostegno alla causa arcobaleno. La tennista - diventata, dopo il ritiro, pastore d’una congregazione - ha confidato a Brown anche la sua preoccupazione per l’educazione oggi data ai giovani: «I valori cristiani sono stati eliminati dalle scuole. Alcuni bambini non sanno nemmeno più se sono maschi o femmine. E questo è ciò che mi turba, perché guardo alla mia vita e da giovane ero un maschiaccio».
Quest’indole non ha però mai instillato nella Court nessun dubbio circa la sua identità sessuale: «Giocavo a football e a cricket, e battevo tutti i ragazzi. Ma sapevo comunque che i miei due fratelli erano diversi da me. Ora ci sono bambine che dicono: “Mi sento un ragazzo”». Forte, per questo motivo, la contrarietà della donna alle terapie ormonali sui ragazzi affetti da disforia di genere: «Restano intrappolati nei loro corpi e non possono tornare indietro. Cosa stiamo facendo ai nostri giovani?». Margaret Court è trattata come una reietta in patria così come anche nel mondo dello sport, probabilmente, pure per il suo punto di vista sull’Islam, che ricorda quello di Oriana Fallaci: «Ci sono moschee ovunque in Inghilterra. Pensiamo di non avere nulla di cui preoccuparci? Dobbiamo intervenire presto». Un peccato non sia più ascoltata, una che nonostante l’età è ancora capace di simili colpi di racchetta.
Continua a leggere
Riduci
Brigitte Macron (Ansa)
La «prèmiere dame» finisce nella bufera per aver dato delle «str...» a un gruppo di attiviste che contestavano un umorista accusato di violenza sessuale ma poi uscito completamente scagionato. I collettivi non ci stanno: «Ennesimo insulto alle vittime di stupro».
Dopo gli sberloni assestati al marito, Brigitte Macron viene beccata mentre dà delle «brutte stronze» a un gruppetto di femministe e ancora una volta l’irruenza della prèmiere dame diventa virale. La consorte del presidente francese, che a maggio era stata immortalata mentre appioppava uno schiaffo a Emmanuel Macron pochi istanti prima di scendere dall’aereo ad Hanoi con una scena diventata tormentone (era davvero un ceffone o si trattava di un buffetto?), sta dividendo il popolo d’Oltralpe tra critiche feroci e apprezzamenti per la sua franchezza.
Questi i fatti. Sabato sera, alcune attiviste del collettivo femminista NousToutes, indossando maschere con l’immagine dell’umorista Ary Abittan avevano interrotto lo spettacolo dell’attore nel locale parigino Folies Bergère, scandendo lo slogan «Abittan stupratore». L’interprete cinquantunenne di film come Non sposate le mie figlie o Liberté, egalité, fraternité, nel 2021 era stato accusato da una giovane di 23 anni che allora frequentava di averla costretto ad avere rapporti sessuali non consensuali. Scomparso dalla scena pubblica, nell’aprile del 2024 Abittan aveva ottenuto l’archiviazione delle accuse, sentenza di non luogo a precedere confermata a gennaio di quest’anno. Per la Corte d’Appello di Parigi, dopo un’indagine durata oltre tre anni mancavano «prove serie o coerenti». Le testimonianze delle ex fidanzate lo avevano descritto come «un partner rispettoso», e le valutazioni psichiatriche e psicologiche escludevano «una sessualità deviante o impulsi sessuali aggressivi».
Certo, nulla esclude che la sera oggetto dell’accusa l’attore sia stato davvero violento, ma un tribunale ha archiviato il caso. Alle femministe poco importa, ritengono Abittan uno stupratore e da quando ha ripreso a recitare a ogni suo spettacolo inscenano proteste, chiedendo che le sue esibizioni vengano cancellate. Così è accaduto anche sabato scorso per Authentique, evento così presentato: «A 50 anni, tra paternità, amore e resilienza, Ary rivela le sue riflessioni sulle relazioni e sull’infanzia, intrecciando abilmente risate e momenti di autentica emozione».
Domenica sera, la signora Macron è andata a vedere lo spettacolo con la figlia Tiphaine Auziere e ha parlato con Abittan prima che salisse sul palco, secondo un video pubblicato lunedì dal sito di gossip Public e poi cancellato. Le immagini, riprese dai social, mostrano la moglie del presidente nel backstage mentre si avvicina sorridendo all’umorista e gli chiede: «Allora come stai?». «Ho paura», risponde lui. «Paura di che cosa?», ribatte madame. «Di tutto». «Se ci sono delle brutte stronze le sbatteremo fuori», lo rassicura Brigitte Macron ridendo. «Dici?», fa lui. «Soprattutto banditi mascherati», aggiunge la prèmiere dame.
Apriti cielo. Su Instagram, dove ha ripreso il video, il collettivo NousToutes scrive che «il sostegno pubblico a un uomo in un caso così inquietante sia un segnale disastroso inviato alle vittime di abusi sessuali». «Denunciamo l’ampia comunicazione volta a posizionarlo come individuo traumatizzato, umiliando e disprezzando la vittima», prosegue il post. «Denunciamo gli auditorium che fanno un tappeto rosso agli uomini accusati di stupro, normalizzazione della violenza sessista e sessuale. È un insulto pubblico alle vittime. Vittime vi crediamo, stupratori non vi perdoneremo!». Un’attivista che ha preso parte all’azione e ha usato lo pseudonimo di Gwen ha affermato che il collettivo è rimasto «profondamente scioccato e scandalizzato» dal linguaggio della signora Macron. «È l’ennesimo insulto alle vittime e ai gruppi femministi», ha affermato. Abittan resta colpevole per le femministe francesi e la moglie del presidente l’avrebbe fatta grossa, prendendo le sue difese. Inutilmente il team della first lady ha affermato che la critica era solo per il «metodo radicale» di protesta del collettivo che «indossando maschere, ha interrotto lo spettacolo sabato sera per impedire all’artista di esibirsi».
Però le critiche si sono rapidamente spostate sul piano politico. «Abbiamo iniziato con i diritti delle donne come “grande causa del mandato quinquennale”, e stiamo finendo con gli insulti», ha dichiarato su X Manon Aubry, eurodeputata di France Unbowed, la sinistra radicale. «È ora che la coppia Macron se ne vada». L’ex presidente francese, Francois Hollande, ai microfoni di radio Rtl, ha rimproverato la signora di essersi espressa con «volgarità». Ha detto: «Ci possono essere forme di protesta che ci urtano. Ma bisogna provare, quando si ha una funzione, una responsabilità, una presenza, di cercare la pacificazione e non ricercare l’escalation verbale». Per poi aggiungere che però «in Francia non esiste uno statuto di première dame. È libera, madame Macron, di dire ciò che pensa».
Brigitte, che già deve difendersi da anni dalle maldicenze che la vogliono uomo, travestito, addirittura padre dei suoi tre figli avuti dal primo marito André-Louis Auzière, adesso deve spiegare che non era sua intenzione prendere le difese di uno stupratore. Judith Godrèche, l’attrice francese che ha chiesto un’indagine sugli abusi sessuali nel cinema francese, è intervenuta su Instagram per criticarla. «Anch’io sono una stupida stronza. E sostengo tutti gli altri», ha scritto.
Il deputato del Rassemblement National, Jean-Philippe Tanguy, afferma invece che i commenti della moglie del presidente sono stati pronunciati in privato e «rubati». L’Eliseo, intanto, cerca di tamponare: la consorte del presidente «non sta in alcun modo attaccando una causa», fa sapere.
Continua a leggere
Riduci




