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2018-10-03
Modello Riace sgominato. Mimmo Lucano finisce ai domiciliari
ANSA
Che sarebbe finita così qualcuno lo aveva previsto. Certo, non si erano immaginati i dettagli, e cioè che il sindaco di Riace, Domenico Lucano detto Mimmo (o Mimì Capatosta) venisse arrestato dalla Guardia di finanza e finisse ai domiciliari. Ma il quadro d'insieme era abbastanza chiaro da tempo. In un libro del 2016 (Riace, il paese dell'accoglienza, Imprimatur editore),Antonio Rinaldis intervistò un uomo di nome Renzo. Si trattava con tutta probabilità di Renzo Valilà, ex assessore di Riace uscito dalla giunta nel 2016. «Non vorrei essere scambiato per un cattivo profeta», diceva l'intervistato, «ma ho motivo di credere che a breve ci sarà uno scandalo enorme e l'epilogo sarà drammatico». Poi aggiungeva: «Domenico soffre la burocrazia. Secondo lui è un ostacolo che blocca i processi, ma io penso che le leggi e i regolamenti siano fatti per essere rispettati e non si debbano mai eludere».
Già, Lucano la pensava diversamente. Nel suo piccolo Comune - 2.300 abitanti, oltre 400 immigrati - si comportava come l'uomo della provvidenza. Difficile, del resto, non farsi rapire dall'ambizione quando i giornali di mezzo mondo ti portano in palmo di mano. A un certo punto, pensi di essere una specie di sovrano. Lucano, stando a quanto emerge dalle carte, combinava matrimoni, gestiva i rapporti con le cooperative un po' come gli pareva, si muoveva al limite della legge e ne era orgoglioso: «Sono un fuorilegge», ripeteva al telefono. A quanto pare, gli inquirenti lo hanno preso sul serio.
L'arresto del sindaco è praticamente un ricorso storico. Arriva a vent'anni (quasi) esatti dallo sbarco dei migranti curdi in Calabria, avvenuto nel luglio del 1998. Secondo la leggenda, fu in quei giorni che Lucano scoprì la sua vocazione all'accoglienza. Allora Mimmo - un passato a sinistra - aveva da poco compiuto 40 anni (è nato il 31 maggio del 1958) e faceva l'insegnante di chimica. Quando giunsero i curdi, fu folgorato: «Sono diventato amico di molti di loro e mi sono converti alla causa del Pkk». Sì, perché alcuni dei profughi fuggiaschi erano militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan guidato da Abdullah Öcalan, e considerato da molti un gruppo terroristico.
In quel periodo, Lucano partecipa alla creazione dell'associazione Città futura, da cui poi nascerà la coop che si occupa di accoglienza nel Comune calabro. Entra in politica, e passa alcuni anni all'opposizione. Poi, nel 2004, la svolta. Viene eletto sindaco per la prima volta, con il 35,4% dei voti. Un patrimonio di consensi che crescerà ulteriormente per le due successive rielezioni (nel 2009, con il 51,7% e nel 2014, con il 54,48%).
La fama internazionale, tuttavia, arriva soltanto nel 2010, quando arriva terzo nella classifica del World Mayor Prize, riconoscimento attribuito ai migliori sindaci del mondo. Da quel momento, è tutto in discesa. Nella cittadina calabrese cominciano a piovere giornalisti da tutto il pianeta.
«Un sindaco italiano salva il suo paese accogliendo i rifugiati», titola la Bbc nel 2011. «Il piccolo paesino italiano che ha aperto le porte ai migranti», scrive il Guardian nel 2013. Nel 2016, la consacrazione definitiva: la rivista Fortune piazza Lucano al quarantesimo posto fra i 50 più influenti leader mondiali. È il tripudio: in piena emergenza migratoria, Riace diventa - per la sinistra - il simbolo dell'accoglienza, l'esempio che tutta l'Italia dovrebbe seguire. I flash abbronzano Mimmo più del sole della sua terra, lo premiano a Dresda, gli dedicano reportage ed elogi un po' ovunque, persino varie agiografie. E lui si comporta di conseguenza, sembra un re greco. Arriva persino a battere moneta.
«La moneta locale è un'utopia concreta», spiega. «È la nostra utopia che si è realizzata. Dal 2011 Riace è diventata una “repubblica indipendente"». Invece di distribuire ai migranti che ospita (6.000 in tutto nel corso degli anni, con una presenza stabile di 300-500 stranieri) quel che resta dei 35 euro statali per l'accoglienza, Lucano offre banconote con i volti di Che Guevara, Berlinguer, Gramsci, Gandhi. «Volevamo che i rifugiati avessero libertà di spendere, almeno per i bisogni essenziali, e abbiamo creato una moneta solidale». Oltre allo pseudo denaro, il primo cittadino appronta un meccanismo basato su bonus e «borse» di cui beneficiano gli stranieri.
Qualcuno, però, i soldi veri ce li deve mettere. Ed è qui la falla del modello Riace. Senza i fondi pubblici per l'accoglienza, il celebratissimo «modello» non sta in piedi. Servono oltre milioni di euro dello Stato per mandare avanti la baracca. Gli insegnanti, i 70 mediatori culturali e operatori dell'accoglienza che lavorano nella cittadina hanno bisogno di quei soldi, che passano attraverso associazioni e coop, così come il sindaco dispone.
Non tutti gradiscono, come prevedibile. Mimmo dice che a lamentarsi sono coloro che non hanno goduto dei vantaggi portati dall'accoglienza («Sono rimaste escluse dall'accoglienza poche famiglie di orientamento razzista, mentre per il resto tutti sono coinvolti e costretti a riconoscere la mia onestà», dichiara). Ma persino il figlio di Lucano, Roberto, scrive un manifesto contro di lui contestando il sistema dell'accoglienza.
I guai grossi, però, cominciano alle fine del 2016. Arrivano le commissioni della Prefettura di Reggio Calabria, e trovano una situazione poco chiara. La gestione del sindaco è, per lo meno, poco trasparente. Nel novembre 2017, parte l'inchiesta della Procura di Locri. Lucano è indagato per «concorso in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e dell'Ue, concussione e abuso d'ufficio». È il disastro I fondi pubblici smettono di arrivare, il fallimento è prossimo. Il sindaco sbraita, passa il 2018 a rilasciare interviste, a maledire il governo e l'italica ingratitudine. Nell'agosto di quest'anno annuncia lo sciopero della fame. Ieri il triste epilogo di tutta la vicenda: Comune ridotto sull'orlo del baratro, primo cittadino ai domiciliari, 30 indagati per accuse molto pesante.
Nel frattempo, come se tutto ciò non bastasse, sono accadute cose grottesche. La Rai, prima delle inchieste, ha realizzato una fiction intitolata Tutto il mondo è paese, protagonista Beppe Fiorello, per celebrare la figura di questo sindaco che, pur di accogliere, ha perso la famiglia. È vero: la moglie di Lucano , ha lasciato Riace anni fa. Lui, però, ha trovato un nuovo amore: l'etiope Tesfahun Lemlem, sbarcata qui nel 2004.
La fiction, anche grazie all'intervento di Maurizio Gasparri, non è mai stata trasmessa. Fiorello tuttavia non l'ha presa bene, e ha espresso il suo sdegno sui social. Chissà, magari potrebbero mandarla in onda nei prossimi giorni. Così Lucano, dai domiciliari, potrebbe godersi la visione, e tirarsi su di morale.
Se lo merita, in fondo: grazie a lui, Riace non è più il Paese dei bronzi, ma quello delle inchieste sulla cattiva accoglienza.
Francesco Borgonovo
Finti matrimoni per far restare i clandestini
L'accusa della Procura di Locri, che il gip però non ha sposato completamente, è più pesante di quanto che si potesse immaginare: associazione a delinquere finalizzata a fare business sull'accoglienza dei migranti. Il promotore, secondo la Procura, era il supereroe del modello Riace: il sindaco cocco di Laura Boldrini, Domenico «Mimmo» Lucano. Ieri il sindaco è finito agli arresti domiciliari, colpito da un'ordinanza di custodia cautelare che contiene anche l'esilio dal paese dell'accoglienza della sua compagna etiope Tesfahun Lemlem. Per il gip l'arresto si regge solo (si fa per dire) su queste due accuse: «Favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti». Il procuratore di Locri Luigi D'Alessio, tuttavia, ha specificato ieri: «La nostra richiesta era composta da circa mille pagine, il gip ne ha estratte, per la sua ordinanza, meno di 150. Stiamo, pertanto, preparando il riesame perché la Procura non è d'accordo con le decisioni adottate dal gip. Come Procura», ha aggiunto, «chiederemo inoltre la valutazione del tribunale. L'indagine, comunque, non si basa solo sulle intercettazioni ma pure su acquisizioni testimoniali e anche su documenti e attestazioni di fatture e altro».
Il paese dell'accoglienza, come aveva anticipato La Verità e come denunciano da tempo le opposizioni, è alla bancarotta. E il modello Riace propagandato dalla stampa amica si è trasformato nel sistema Riace denunciato dalla Prefettura di Reggio Calabria e ricostruito poi dalla Procura di Locri. E anche se le accuse su cui si basa la detenzione cautelare non coincidono con le ipotesi dell'accusa, gli investigatori fanno sapere che le iscrizioni sono quelle e che l'indagine non è ancora chiusa. A novembre dello scorso anno il municipio era stato perquisito e su Riace erano già piombate, pesanti, le accuse di truffa, concussione e abuso d'ufficio. I magistrati, guidati dal procuratore D'Alessio, contestavano di «non aver rendicontato a sufficienza le fatture delle spese sostenute nel 2014». E non solo.
Nel corso delle indagini, sostiene ora il giudice per le indagini preliminari che ha privato il sindaco della libertà, è emersa la «particolare spregiudicatezza del sindaco, nonostante il ruolo istituzionale rivestito, nell'organizzare veri e propri matrimoni di convenienza tra cittadini riacesi e donne straniere, al fine di favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano».
L'inchiesta, denominata dagli investigatori Xenia (parola che nell'antica grecia riassumeva il concetto di ospitalità), ha evidenziato come Lucano, assieme alla compagna Tesfahun Lemlem, avessero architettato degli espedienti criminosi, tanto semplici quanto efficaci, per aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l'ingresso degli aspiranti profughi in Italia. Lucano non aveva un ruolo marginale. Lo ha svelato una telefonata intercettata dagli investigatori della Guardia di finanza: «Io la carta d'identità gliela faccio immediatamente, perché sono responsabile dell'Ufficio anagrafe e stato civile, come sindaco. Ho assunto io questa delega dopo che l'impiegato che c'era è andato in pensione». Proprio come aveva fatto quando per bandire le gare dello Sprar ha ricoperto, come denunciato dalla Verità, altri tre ruoli: era sua la firma sotto il bando di gara in qualità di primo cittadino, sua quella come responsabile unico del procedimento (come previsto dalla legge nei comuni con meno di 5.000 abitanti), e sua anche quella da responsabile dell'unità operativa del servizio finanziario. Uno e trino, il sindaco Lucano.
Ora si scopre che era anche responsabile dell'Ufficio anagrafe. E lui nella parte finale di quella telefonata ha praticamente confessato: «Proprio per disattendere a queste leggi balorde vado contro legge».
E se per i migranti da sistemare con gli abitanti di Riace la gestione di Lucano e company era alquanto allegra, il gip ha ravvisato lo stesso atteggiamento nell'affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti urbani a due cooperative. Il sindaco, trasformandosi in legislatore e superando tutte le leggi, ha istituito un albo comunale ad hoc «per favorire», sostiene l'accusa (e anche il gip) la Ecoriace e l'Aquilone, coop che si erano aggiudicate la raccolta dal 2012 al 2016». Le ispezioni della Prefettura e le carte della Guardia di finanza, infine, anche se non sufficienti per la misura cautelare, per il gip vanno trasmesse anche alla Procura regionale della Corte dei conti «ai fini dell'accertamento del connesso danno erariale».
Assieme al primo cittadino di Riace è venuto giù tutto il sistema, come un gigante dai piedi d'argilla. E sotto i cocci di Mimmo Lucano sono finiti anche gli altri 30 indagati, tra i quali Fernando Antonio Capone, presidente dell'associazione Città Futura don Pino Puglisi, il primo sodalizio nato a Riace per gestire i profughi. E anche se, al momento, le ipotesi di reato sulla lunga permanenza dei rifugiati e sui costi gonfiati con le fatture taroccate a parere del gip non sono dimostrate, il re del sistema Riace è ormai nudo. E il «diffuso malcostume» di cui parla il gip nell'ordinanza è finalmente stato svelato.
Fabio Amendolara
Saviano e soci all’attacco dei giudici
Se l'indagato è Matteo Salvini, i magistrati sono eroi da celebrare. Ma se per caso a finire nei guai è un amichetto dei progressisti nostrani, beh, allora sono guai: le toghe diventano cattive, si trasformano nel braccio violento dell'eversione nera. Questa, in soldoni, è la lezione che si può trarre dalla giornata di ieri, e dai commenti che hanno accompagnato l'arresto del sindaco di Riace Domenico Lucano.
Il più agguerrito di tutti, ovviamente, è stato Roberto Saviano. Comprensibile. Circa un mese fa, lo scrittore campano aveva utilizzato Lucano come arma nella sua battaglia personale con Matteo Salvini. Il ministro dell'Interno aveva definito «uno zero» il sindaco di Riace, Saviano colse immediatamente la palla al balzo. «Riace è un miracolo. Riace va difesa», dichiarò. «Venite a Riace, venite a vedere con i vostri occhi l'esempio da cui tutta l'Italia deve ripartire. Vi prego, difendiamo insieme Riace, difendiamo il sogno che Mimmo Lucano ha reso concreta possibilità di vita». L'appello di Roberto era, al solito, pomposo: «Venite a Riace, organizziamo una nuova resistenza».
La resistenza, ora, toccherebbe farla ai pubblici ufficiali. E in effetti Saviano non si tira indietro. Ieri ha spiegato che nelle azioni di Lucano «non c'è mai finalità di lucro, ma disobbedienza civile». Per questo Salvini considererebbe il sindaco «un nemico da abbattere». «Mimmo Lucano lotta contro una legge iniqua, e lotta da solo», ribadisce Saviano. E conclude: «Questo governo, attraverso questa inchiesta giudiziaria, da cui Mimmo saprà difendersi in ogni sua parte, compie il primo atto verso la trasformazione definitiva dell'Italia da democrazia a stato autoritario. Con il placet di tutte le forze politiche». Capito? Siamo di fronte a un'inchiesta politica, roba da regime. E - chiaro - dietro c'è Salvini. Anche se ad arrestare Lucano sono state le Fiamme gialle, che fanno capo al ministero dell'Economia, ma fa lo stesso. Sono in tanti, sempre i soliti, a pensarla così. Gad Lerner spiega che «il mandato di arresto per il sindaco di Riace è uno schiaffo in faccia a chi pratica il dovere dell'accoglienza e conferma la pulsione fascistoide di cui sta cadendo preda il nostro Paese». Laura Boldrini grida che il vero problema dell'Italia è «Salvini, quello indagato per sequestro di persona aggravato e quello il cui partito deve 49 milioni ai cittadini italiani».
Cécile Kyenge si dispera: «Qual è la colpa di Mimmo Lucano? L'essere una persona che pratica nel concreto la solidarietà e l'umanità?». Il florilegio potrebbe continuare a lungo: Mimmo non si tocca, sbraitano tutti in coro. Nicola Fratoianni, Cecilia Strada, Pippo Civati, Vauro... C'è chi ha già messo in piedi una manifestazione per questo sabato. C'è chi lancia fantasiosi hashtag su Twitter. Sui social c'è perfino chi si diletta a insultare Corrado Formigli, che ha osato esprimere qualche dubbio sulla difesa d'ufficio di Lucano. Tra i più disperati (per ovvi motivi d'interesse personale) c'è Beppe Fiorello, che scrive su Facebook: «Se viene arrestato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina allora saranno in molti ad essere arrestati [...], insomma mezzo mondo andrebbe arrestato. Questo è un attacco personale, Mimmo Lucano dà fastidio perché va controcorrente e si sa che in questo Paese si rischia grosso se non si obbedisce al potere».
Peccato che i difensori di Lucano non abbiano letto le carte dell'inchiesta. Specie i passaggi in cui ragiona di far sposare una migrante di 30 anni con un italiano di 70, per farle avere il permesso di soggiorno, e spiega che lei è disposta anche ad andarci a letto: «È brutto per una donna», dice, «però lei vuole il documento...». Già, è proprio così che si pratica la solidarietà. È da qui che l'Italia deve ripartire...
Francesco Borgonovo
«Se mi trovi la fidanzata ti voto» E lui organizzava le nozze di comodo
«Io ti voglio votare però tu mi devi trovare una fidanzata». Era disposto anche a fare da agenzia matrimoniale il sindaco di Riace Domenico Mimmo Lucano. D'altra parte, hanno svelato le indagini, il sistema Riace si poggiava anche sull'organizzazione illegale delle nozze tra immigrate e cittadini italiani. Anche nozze gay, se necessario. Già: il primo cittadino e i suoi collaboratori valutarono (per poi bocciarla) anche l'ipotesi di un matrimonio fra donne pur di far ottenere a una straniera il permesso di soggiorno.
Ma andiamo con ordine, e vediamo che cosa diceva il sindaco al telefono. È il 2017, Lucano parla con una ragazza, Joy, che ha bisogno del permesso di soggiorno. «Adesso con il governo nuovo c'è uno che si chiama Minniti, una brutta persona, vi mandano via, vi cacciano, allora Stella si è sposata, hai capito?». È una delle conversazioni che raccontano tutta l'inchiesta giudiziaria. Marco Minniti in quel momento è ministro dell'Interno. E le relazioni della Prefettura di Reggio Calabria sono arrivate sulla sua scrivania. I fondi non si sbloccano e i problemi giudiziari per Lucano sono appena cominciati. Ma la soluzione trovata dal sindaco aggirava ogni ostacolo: per i permessi di soggiorno non c'è nulla di più facile che agevolare i matrimoni. Ed ecco che spiega a Joy come funziona: «Stella si è sposata perché è stata diniegata due volte, si è sposata con Nazareno, così, però lei adesso ha il permesso di soggiorno per motivi di famiglia, hai capito?». E per far sì che Joy, clandestina, senza requisiti per restare in Italia, ottenga un permesso anche lei le propone uno sposino fresco fresco: «Nei prossimi giorni trovo una persona e ti sposi».
E si mette subito a caccia. Negli uffici dell'associazione Città futura viene intercettato mentre dice: «Ne è venuta un'altra, Joy, una disperata, una nigeriana che a Napoli si prostituisce (...) le ho detto, Joy aspetta, vai a dormire dove cazzo vuoi in qualche casa... siamo abusivi, non c'è problema, glieli ho fatti io i documenti, è illegale... sposati con qualcuno... io ho azzerato tutta la burocrazia». Ed ecco che al sindaco capita tra le mani un anziano: Giosi, 70 anni. Il primo cittadino non ha considerazione di lui, lo definisce «uno stupido». «È uno», dice Lucano, «con cui mi sono barattato l'unica cosa... mi ha detto così... io ti voglio votare però tu mi devi trovare una fidanzata». Proprio come aveva fatto con Nazareno, di Riace, e Stella, nigeriana. Giosi potrebbe essere un buon marito «di comodo» per Joy, ma poi il sindaco ne parla come possibile sposo anche per un'altra ragazza, di nome Sara.
L'anziano è pronto al matrimonio combinato, ma vuole qualcosa in cambio. Vuole un pagamento... «in natura». «Questo è convinto che la prima notte se la porta a casa, invece quella non vuole andare, vuole solo per i documenti...».
Lucano non gradisce l'idea che il matrimonio sia consumato. «Qua rischiamo tutti il pane sopra questa cosa», dice al telefono. Ma, a quanto pare, Sara sarebbe disposta a qualunque cosa pur di avere l'ambito documento. Chissà cosa penserà Laura Boldrini quando leggerà questa intercettazione in cui Lucano riassume così la vicenda: «Lui su questo è lucido, anzi tutti e due sono lucidi, Sara ha capito che questo la vuole per fare i comodi suoi e lei lo vuole per i comodi suoi, ovvero per il documento, perché non c'è nessun amore e né niente, però la situazione la obbliga a fare questo, ovvero chiudere gli occhi e fare... è brutto per una donna... però lei vuole il documento del Municipio, il certificato di matrimonio... ma come faccio...».
L'immigrata sa bene quello che otterrà dal matrimonio combinato. E, saltata ormai l'ipotesi delle nozze gay («perché», spiega il sindaco, «dalla Questura hanno detto che che il matrimonio tra donne e donne e tra uomo e uomo non vale ai fini del permesso di soggiorno»), per il documento è disposta a tutto.
Lucano cerca di dissuaderla in ogni modo: «Questo qua è un animale», le dice parlando del famoso Giosi. Ma poi la rassicura: «Ti inseriamo nel progetto, così sei con Città futura e non hai tanti problemi [...] prendi pure i pocket money, i bonus, poi vediamo». Eccolo, il modello Riace.
Fabio Amendolara
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Il sindaco del Comune calabrese, dal 2004 a oggi è divenuto un simbolo dell'accoglienza. Ma il suo sistema si è da tempo rivelato fallimentare.La Procura di Locri accusa il primo cittadino di aver lucrato sui profughi e si scontra con il gip, che convalida la detenzione per favoreggiamento dell'immigrazione illegale e per frodi sulla gestione dei rifiuti. Tra i 30 indagati anche la sua compagna.Il primo cittadino intercettato: «Al governo adesso c'è Marco Minniti, una brutta persona».Roberto Saviano e soci all'attacco dei giudici. Da Beppe Fiorello a Laura Boldrini, dalla Cecile Kyenge a Gad Lerner, la sinistra italiana ha già assolto il suo eroe. L'autore di «Gomorra» spara: «Inchiesta da Stato autoritario».Lo speciale contiene quattro articoli Che sarebbe finita così qualcuno lo aveva previsto. Certo, non si erano immaginati i dettagli, e cioè che il sindaco di Riace, Domenico Lucano detto Mimmo (o Mimì Capatosta) venisse arrestato dalla Guardia di finanza e finisse ai domiciliari. Ma il quadro d'insieme era abbastanza chiaro da tempo. In un libro del 2016 (Riace, il paese dell'accoglienza, Imprimatur editore),Antonio Rinaldis intervistò un uomo di nome Renzo. Si trattava con tutta probabilità di Renzo Valilà, ex assessore di Riace uscito dalla giunta nel 2016. «Non vorrei essere scambiato per un cattivo profeta», diceva l'intervistato, «ma ho motivo di credere che a breve ci sarà uno scandalo enorme e l'epilogo sarà drammatico». Poi aggiungeva: «Domenico soffre la burocrazia. Secondo lui è un ostacolo che blocca i processi, ma io penso che le leggi e i regolamenti siano fatti per essere rispettati e non si debbano mai eludere». Già, Lucano la pensava diversamente. Nel suo piccolo Comune - 2.300 abitanti, oltre 400 immigrati - si comportava come l'uomo della provvidenza. Difficile, del resto, non farsi rapire dall'ambizione quando i giornali di mezzo mondo ti portano in palmo di mano. A un certo punto, pensi di essere una specie di sovrano. Lucano, stando a quanto emerge dalle carte, combinava matrimoni, gestiva i rapporti con le cooperative un po' come gli pareva, si muoveva al limite della legge e ne era orgoglioso: «Sono un fuorilegge», ripeteva al telefono. A quanto pare, gli inquirenti lo hanno preso sul serio.L'arresto del sindaco è praticamente un ricorso storico. Arriva a vent'anni (quasi) esatti dallo sbarco dei migranti curdi in Calabria, avvenuto nel luglio del 1998. Secondo la leggenda, fu in quei giorni che Lucano scoprì la sua vocazione all'accoglienza. Allora Mimmo - un passato a sinistra - aveva da poco compiuto 40 anni (è nato il 31 maggio del 1958) e faceva l'insegnante di chimica. Quando giunsero i curdi, fu folgorato: «Sono diventato amico di molti di loro e mi sono converti alla causa del Pkk». Sì, perché alcuni dei profughi fuggiaschi erano militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan guidato da Abdullah Öcalan, e considerato da molti un gruppo terroristico. In quel periodo, Lucano partecipa alla creazione dell'associazione Città futura, da cui poi nascerà la coop che si occupa di accoglienza nel Comune calabro. Entra in politica, e passa alcuni anni all'opposizione. Poi, nel 2004, la svolta. Viene eletto sindaco per la prima volta, con il 35,4% dei voti. Un patrimonio di consensi che crescerà ulteriormente per le due successive rielezioni (nel 2009, con il 51,7% e nel 2014, con il 54,48%). La fama internazionale, tuttavia, arriva soltanto nel 2010, quando arriva terzo nella classifica del World Mayor Prize, riconoscimento attribuito ai migliori sindaci del mondo. Da quel momento, è tutto in discesa. Nella cittadina calabrese cominciano a piovere giornalisti da tutto il pianeta. «Un sindaco italiano salva il suo paese accogliendo i rifugiati», titola la Bbc nel 2011. «Il piccolo paesino italiano che ha aperto le porte ai migranti», scrive il Guardian nel 2013. Nel 2016, la consacrazione definitiva: la rivista Fortune piazza Lucano al quarantesimo posto fra i 50 più influenti leader mondiali. È il tripudio: in piena emergenza migratoria, Riace diventa - per la sinistra - il simbolo dell'accoglienza, l'esempio che tutta l'Italia dovrebbe seguire. I flash abbronzano Mimmo più del sole della sua terra, lo premiano a Dresda, gli dedicano reportage ed elogi un po' ovunque, persino varie agiografie. E lui si comporta di conseguenza, sembra un re greco. Arriva persino a battere moneta.«La moneta locale è un'utopia concreta», spiega. «È la nostra utopia che si è realizzata. Dal 2011 Riace è diventata una “repubblica indipendente"». Invece di distribuire ai migranti che ospita (6.000 in tutto nel corso degli anni, con una presenza stabile di 300-500 stranieri) quel che resta dei 35 euro statali per l'accoglienza, Lucano offre banconote con i volti di Che Guevara, Berlinguer, Gramsci, Gandhi. «Volevamo che i rifugiati avessero libertà di spendere, almeno per i bisogni essenziali, e abbiamo creato una moneta solidale». Oltre allo pseudo denaro, il primo cittadino appronta un meccanismo basato su bonus e «borse» di cui beneficiano gli stranieri. Qualcuno, però, i soldi veri ce li deve mettere. Ed è qui la falla del modello Riace. Senza i fondi pubblici per l'accoglienza, il celebratissimo «modello» non sta in piedi. Servono oltre milioni di euro dello Stato per mandare avanti la baracca. Gli insegnanti, i 70 mediatori culturali e operatori dell'accoglienza che lavorano nella cittadina hanno bisogno di quei soldi, che passano attraverso associazioni e coop, così come il sindaco dispone.Non tutti gradiscono, come prevedibile. Mimmo dice che a lamentarsi sono coloro che non hanno goduto dei vantaggi portati dall'accoglienza («Sono rimaste escluse dall'accoglienza poche famiglie di orientamento razzista, mentre per il resto tutti sono coinvolti e costretti a riconoscere la mia onestà», dichiara). Ma persino il figlio di Lucano, Roberto, scrive un manifesto contro di lui contestando il sistema dell'accoglienza. I guai grossi, però, cominciano alle fine del 2016. Arrivano le commissioni della Prefettura di Reggio Calabria, e trovano una situazione poco chiara. La gestione del sindaco è, per lo meno, poco trasparente. Nel novembre 2017, parte l'inchiesta della Procura di Locri. Lucano è indagato per «concorso in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e dell'Ue, concussione e abuso d'ufficio». È il disastro I fondi pubblici smettono di arrivare, il fallimento è prossimo. Il sindaco sbraita, passa il 2018 a rilasciare interviste, a maledire il governo e l'italica ingratitudine. Nell'agosto di quest'anno annuncia lo sciopero della fame. Ieri il triste epilogo di tutta la vicenda: Comune ridotto sull'orlo del baratro, primo cittadino ai domiciliari, 30 indagati per accuse molto pesante. Nel frattempo, come se tutto ciò non bastasse, sono accadute cose grottesche. La Rai, prima delle inchieste, ha realizzato una fiction intitolata Tutto il mondo è paese, protagonista Beppe Fiorello, per celebrare la figura di questo sindaco che, pur di accogliere, ha perso la famiglia. È vero: la moglie di Lucano , ha lasciato Riace anni fa. Lui, però, ha trovato un nuovo amore: l'etiope Tesfahun Lemlem, sbarcata qui nel 2004. La fiction, anche grazie all'intervento di Maurizio Gasparri, non è mai stata trasmessa. Fiorello tuttavia non l'ha presa bene, e ha espresso il suo sdegno sui social. Chissà, magari potrebbero mandarla in onda nei prossimi giorni. Così Lucano, dai domiciliari, potrebbe godersi la visione, e tirarsi su di morale. Se lo merita, in fondo: grazie a lui, Riace non è più il Paese dei bronzi, ma quello delle inchieste sulla cattiva accoglienza. Francesco Borgonovo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/modello-riace-sgominato-mimmo-lucano-finisce-ai-domiciliari-2609593102.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="finti-matrimoni-per-far-restare-i-clandestini" data-post-id="2609593102" data-published-at="1765856348" data-use-pagination="False"> Finti matrimoni per far restare i clandestini L'accusa della Procura di Locri, che il gip però non ha sposato completamente, è più pesante di quanto che si potesse immaginare: associazione a delinquere finalizzata a fare business sull'accoglienza dei migranti. Il promotore, secondo la Procura, era il supereroe del modello Riace: il sindaco cocco di Laura Boldrini, Domenico «Mimmo» Lucano. Ieri il sindaco è finito agli arresti domiciliari, colpito da un'ordinanza di custodia cautelare che contiene anche l'esilio dal paese dell'accoglienza della sua compagna etiope Tesfahun Lemlem. Per il gip l'arresto si regge solo (si fa per dire) su queste due accuse: «Favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti». Il procuratore di Locri Luigi D'Alessio, tuttavia, ha specificato ieri: «La nostra richiesta era composta da circa mille pagine, il gip ne ha estratte, per la sua ordinanza, meno di 150. Stiamo, pertanto, preparando il riesame perché la Procura non è d'accordo con le decisioni adottate dal gip. Come Procura», ha aggiunto, «chiederemo inoltre la valutazione del tribunale. L'indagine, comunque, non si basa solo sulle intercettazioni ma pure su acquisizioni testimoniali e anche su documenti e attestazioni di fatture e altro». Il paese dell'accoglienza, come aveva anticipato La Verità e come denunciano da tempo le opposizioni, è alla bancarotta. E il modello Riace propagandato dalla stampa amica si è trasformato nel sistema Riace denunciato dalla Prefettura di Reggio Calabria e ricostruito poi dalla Procura di Locri. E anche se le accuse su cui si basa la detenzione cautelare non coincidono con le ipotesi dell'accusa, gli investigatori fanno sapere che le iscrizioni sono quelle e che l'indagine non è ancora chiusa. A novembre dello scorso anno il municipio era stato perquisito e su Riace erano già piombate, pesanti, le accuse di truffa, concussione e abuso d'ufficio. I magistrati, guidati dal procuratore D'Alessio, contestavano di «non aver rendicontato a sufficienza le fatture delle spese sostenute nel 2014». E non solo. Nel corso delle indagini, sostiene ora il giudice per le indagini preliminari che ha privato il sindaco della libertà, è emersa la «particolare spregiudicatezza del sindaco, nonostante il ruolo istituzionale rivestito, nell'organizzare veri e propri matrimoni di convenienza tra cittadini riacesi e donne straniere, al fine di favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano». L'inchiesta, denominata dagli investigatori Xenia (parola che nell'antica grecia riassumeva il concetto di ospitalità), ha evidenziato come Lucano, assieme alla compagna Tesfahun Lemlem, avessero architettato degli espedienti criminosi, tanto semplici quanto efficaci, per aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l'ingresso degli aspiranti profughi in Italia. Lucano non aveva un ruolo marginale. Lo ha svelato una telefonata intercettata dagli investigatori della Guardia di finanza: «Io la carta d'identità gliela faccio immediatamente, perché sono responsabile dell'Ufficio anagrafe e stato civile, come sindaco. Ho assunto io questa delega dopo che l'impiegato che c'era è andato in pensione». Proprio come aveva fatto quando per bandire le gare dello Sprar ha ricoperto, come denunciato dalla Verità, altri tre ruoli: era sua la firma sotto il bando di gara in qualità di primo cittadino, sua quella come responsabile unico del procedimento (come previsto dalla legge nei comuni con meno di 5.000 abitanti), e sua anche quella da responsabile dell'unità operativa del servizio finanziario. Uno e trino, il sindaco Lucano. Ora si scopre che era anche responsabile dell'Ufficio anagrafe. E lui nella parte finale di quella telefonata ha praticamente confessato: «Proprio per disattendere a queste leggi balorde vado contro legge». E se per i migranti da sistemare con gli abitanti di Riace la gestione di Lucano e company era alquanto allegra, il gip ha ravvisato lo stesso atteggiamento nell'affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti urbani a due cooperative. Il sindaco, trasformandosi in legislatore e superando tutte le leggi, ha istituito un albo comunale ad hoc «per favorire», sostiene l'accusa (e anche il gip) la Ecoriace e l'Aquilone, coop che si erano aggiudicate la raccolta dal 2012 al 2016». Le ispezioni della Prefettura e le carte della Guardia di finanza, infine, anche se non sufficienti per la misura cautelare, per il gip vanno trasmesse anche alla Procura regionale della Corte dei conti «ai fini dell'accertamento del connesso danno erariale». Assieme al primo cittadino di Riace è venuto giù tutto il sistema, come un gigante dai piedi d'argilla. E sotto i cocci di Mimmo Lucano sono finiti anche gli altri 30 indagati, tra i quali Fernando Antonio Capone, presidente dell'associazione Città Futura don Pino Puglisi, il primo sodalizio nato a Riace per gestire i profughi. E anche se, al momento, le ipotesi di reato sulla lunga permanenza dei rifugiati e sui costi gonfiati con le fatture taroccate a parere del gip non sono dimostrate, il re del sistema Riace è ormai nudo. E il «diffuso malcostume» di cui parla il gip nell'ordinanza è finalmente stato svelato. Fabio Amendolara <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/modello-riace-sgominato-mimmo-lucano-finisce-ai-domiciliari-2609593102.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="saviano-e-soci-allattacco-dei-giudici" data-post-id="2609593102" data-published-at="1765856348" data-use-pagination="False"> Saviano e soci all’attacco dei giudici Se l'indagato è Matteo Salvini, i magistrati sono eroi da celebrare. Ma se per caso a finire nei guai è un amichetto dei progressisti nostrani, beh, allora sono guai: le toghe diventano cattive, si trasformano nel braccio violento dell'eversione nera. Questa, in soldoni, è la lezione che si può trarre dalla giornata di ieri, e dai commenti che hanno accompagnato l'arresto del sindaco di Riace Domenico Lucano. Il più agguerrito di tutti, ovviamente, è stato Roberto Saviano. Comprensibile. Circa un mese fa, lo scrittore campano aveva utilizzato Lucano come arma nella sua battaglia personale con Matteo Salvini. Il ministro dell'Interno aveva definito «uno zero» il sindaco di Riace, Saviano colse immediatamente la palla al balzo. «Riace è un miracolo. Riace va difesa», dichiarò. «Venite a Riace, venite a vedere con i vostri occhi l'esempio da cui tutta l'Italia deve ripartire. Vi prego, difendiamo insieme Riace, difendiamo il sogno che Mimmo Lucano ha reso concreta possibilità di vita». L'appello di Roberto era, al solito, pomposo: «Venite a Riace, organizziamo una nuova resistenza». La resistenza, ora, toccherebbe farla ai pubblici ufficiali. E in effetti Saviano non si tira indietro. Ieri ha spiegato che nelle azioni di Lucano «non c'è mai finalità di lucro, ma disobbedienza civile». Per questo Salvini considererebbe il sindaco «un nemico da abbattere». «Mimmo Lucano lotta contro una legge iniqua, e lotta da solo», ribadisce Saviano. E conclude: «Questo governo, attraverso questa inchiesta giudiziaria, da cui Mimmo saprà difendersi in ogni sua parte, compie il primo atto verso la trasformazione definitiva dell'Italia da democrazia a stato autoritario. Con il placet di tutte le forze politiche». Capito? Siamo di fronte a un'inchiesta politica, roba da regime. E - chiaro - dietro c'è Salvini. Anche se ad arrestare Lucano sono state le Fiamme gialle, che fanno capo al ministero dell'Economia, ma fa lo stesso. Sono in tanti, sempre i soliti, a pensarla così. Gad Lerner spiega che «il mandato di arresto per il sindaco di Riace è uno schiaffo in faccia a chi pratica il dovere dell'accoglienza e conferma la pulsione fascistoide di cui sta cadendo preda il nostro Paese». Laura Boldrini grida che il vero problema dell'Italia è «Salvini, quello indagato per sequestro di persona aggravato e quello il cui partito deve 49 milioni ai cittadini italiani». Cécile Kyenge si dispera: «Qual è la colpa di Mimmo Lucano? L'essere una persona che pratica nel concreto la solidarietà e l'umanità?». Il florilegio potrebbe continuare a lungo: Mimmo non si tocca, sbraitano tutti in coro. Nicola Fratoianni, Cecilia Strada, Pippo Civati, Vauro... C'è chi ha già messo in piedi una manifestazione per questo sabato. C'è chi lancia fantasiosi hashtag su Twitter. Sui social c'è perfino chi si diletta a insultare Corrado Formigli, che ha osato esprimere qualche dubbio sulla difesa d'ufficio di Lucano. Tra i più disperati (per ovvi motivi d'interesse personale) c'è Beppe Fiorello, che scrive su Facebook: «Se viene arrestato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina allora saranno in molti ad essere arrestati [...], insomma mezzo mondo andrebbe arrestato. Questo è un attacco personale, Mimmo Lucano dà fastidio perché va controcorrente e si sa che in questo Paese si rischia grosso se non si obbedisce al potere». Peccato che i difensori di Lucano non abbiano letto le carte dell'inchiesta. Specie i passaggi in cui ragiona di far sposare una migrante di 30 anni con un italiano di 70, per farle avere il permesso di soggiorno, e spiega che lei è disposta anche ad andarci a letto: «È brutto per una donna», dice, «però lei vuole il documento...». Già, è proprio così che si pratica la solidarietà. È da qui che l'Italia deve ripartire... Francesco Borgonovo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/modello-riace-sgominato-mimmo-lucano-finisce-ai-domiciliari-2609593102.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="se-mi-trovi-la-fidanzata-ti-voto-e-lui-organizzava-le-nozze-di-comodo" data-post-id="2609593102" data-published-at="1765856348" data-use-pagination="False"> «Se mi trovi la fidanzata ti voto» E lui organizzava le nozze di comodo «Io ti voglio votare però tu mi devi trovare una fidanzata». Era disposto anche a fare da agenzia matrimoniale il sindaco di Riace Domenico Mimmo Lucano. D'altra parte, hanno svelato le indagini, il sistema Riace si poggiava anche sull'organizzazione illegale delle nozze tra immigrate e cittadini italiani. Anche nozze gay, se necessario. Già: il primo cittadino e i suoi collaboratori valutarono (per poi bocciarla) anche l'ipotesi di un matrimonio fra donne pur di far ottenere a una straniera il permesso di soggiorno. Ma andiamo con ordine, e vediamo che cosa diceva il sindaco al telefono. È il 2017, Lucano parla con una ragazza, Joy, che ha bisogno del permesso di soggiorno. «Adesso con il governo nuovo c'è uno che si chiama Minniti, una brutta persona, vi mandano via, vi cacciano, allora Stella si è sposata, hai capito?». È una delle conversazioni che raccontano tutta l'inchiesta giudiziaria. Marco Minniti in quel momento è ministro dell'Interno. E le relazioni della Prefettura di Reggio Calabria sono arrivate sulla sua scrivania. I fondi non si sbloccano e i problemi giudiziari per Lucano sono appena cominciati. Ma la soluzione trovata dal sindaco aggirava ogni ostacolo: per i permessi di soggiorno non c'è nulla di più facile che agevolare i matrimoni. Ed ecco che spiega a Joy come funziona: «Stella si è sposata perché è stata diniegata due volte, si è sposata con Nazareno, così, però lei adesso ha il permesso di soggiorno per motivi di famiglia, hai capito?». E per far sì che Joy, clandestina, senza requisiti per restare in Italia, ottenga un permesso anche lei le propone uno sposino fresco fresco: «Nei prossimi giorni trovo una persona e ti sposi». E si mette subito a caccia. Negli uffici dell'associazione Città futura viene intercettato mentre dice: «Ne è venuta un'altra, Joy, una disperata, una nigeriana che a Napoli si prostituisce (...) le ho detto, Joy aspetta, vai a dormire dove cazzo vuoi in qualche casa... siamo abusivi, non c'è problema, glieli ho fatti io i documenti, è illegale... sposati con qualcuno... io ho azzerato tutta la burocrazia». Ed ecco che al sindaco capita tra le mani un anziano: Giosi, 70 anni. Il primo cittadino non ha considerazione di lui, lo definisce «uno stupido». «È uno», dice Lucano, «con cui mi sono barattato l'unica cosa... mi ha detto così... io ti voglio votare però tu mi devi trovare una fidanzata». Proprio come aveva fatto con Nazareno, di Riace, e Stella, nigeriana. Giosi potrebbe essere un buon marito «di comodo» per Joy, ma poi il sindaco ne parla come possibile sposo anche per un'altra ragazza, di nome Sara. L'anziano è pronto al matrimonio combinato, ma vuole qualcosa in cambio. Vuole un pagamento... «in natura». «Questo è convinto che la prima notte se la porta a casa, invece quella non vuole andare, vuole solo per i documenti...». Lucano non gradisce l'idea che il matrimonio sia consumato. «Qua rischiamo tutti il pane sopra questa cosa», dice al telefono. Ma, a quanto pare, Sara sarebbe disposta a qualunque cosa pur di avere l'ambito documento. Chissà cosa penserà Laura Boldrini quando leggerà questa intercettazione in cui Lucano riassume così la vicenda: «Lui su questo è lucido, anzi tutti e due sono lucidi, Sara ha capito che questo la vuole per fare i comodi suoi e lei lo vuole per i comodi suoi, ovvero per il documento, perché non c'è nessun amore e né niente, però la situazione la obbliga a fare questo, ovvero chiudere gli occhi e fare... è brutto per una donna... però lei vuole il documento del Municipio, il certificato di matrimonio... ma come faccio...». L'immigrata sa bene quello che otterrà dal matrimonio combinato. E, saltata ormai l'ipotesi delle nozze gay («perché», spiega il sindaco, «dalla Questura hanno detto che che il matrimonio tra donne e donne e tra uomo e uomo non vale ai fini del permesso di soggiorno»), per il documento è disposta a tutto. Lucano cerca di dissuaderla in ogni modo: «Questo qua è un animale», le dice parlando del famoso Giosi. Ma poi la rassicura: «Ti inseriamo nel progetto, così sei con Città futura e non hai tanti problemi [...] prendi pure i pocket money, i bonus, poi vediamo». Eccolo, il modello Riace. Fabio Amendolara
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Se per i Maya erano oggetto di venerazione quasi religiosa, tanto era il loro riconosciuto valore non solo economico, per gli europei coltivare il cacao era troppo complesso e, in seguito, ci si «accontentò» di mangiarne le fave importate in forma di cioccolata. L’Europa iniziò a conoscere per bene la cioccolata in tazza dopo il 1517. In quell’anno il conquistatore spagnolo Hernàn Cortés era sbarcato anch’egli sull’attuale Messico e l’imperatore azteco Montezuma II gli aveva fatto conoscere la «chocolatl», il trito di fave di cacao e mais cotto con acqua e miele che l’imperatore beveva come afrodisiaco. Quando Cortés, morto Montezuma II e conquistato l’impero azteco, divenne governatore, esportò stabilmente la cioccolata presso la corte spagnola di Carlo V. Da lì, la squisita bevanda divenne in breve tempo una specie di ambrosia dei nobili poiché consumarla voleva dire acquisire un vero e proprio status symbol: solo il nobile poteva bere l’esotica e buonissima cioccolata quando voleva. Pensate che Carlo V la mandava come regalo di nozze quando un familiare sposava un nobile di altra nazione e, addirittura, questo farne dono fu il primo modo di diffusione della cioccolata nel resto d’Europa. Inoltre, un po’ come un vero chef, Carlo V non dava la sua ricetta e perciò si svilupparono diverse varianti. E perfino diversi luoghi dedicati dove trovarla per berla, quando era diventata accessibile anche ai borghesi. A Londra, nel 1657 nacque la prima Chocolate house, sulla scia delle Coffee house, e poi in tutta la Gran Bretagna si diffusero tante altre chocolate house, oggi in Italia le chiameremmo cioccolaterie, luoghi nei quali bere la cioccolata e intrattenersi. Dai Maya a noi la cioccolata calda ha fatto tanta strada in ogni senso. Un po’ come la pizza o la pasta, la cioccolata calda è diventata un’icona pop che più passa il tempo più espande la sua costellazione di innovazioni che insieme la confermano e la mutano.
La cioccolateria contemporanea ci ha dato innanzitutto la cioccolata calda fatta con cioccolato diverso da quello al latte o fondente: c’è la cioccolata calda bianca fatta con cioccolato bianco, che a sua volta può essere aromatizzata e quindi possiamo trovare anche la cioccolata calda di colore verde e al sapore di pistacchio, per esempio. E c’è la cioccolata calda rosa realizzata col cioccolato ruby, un cioccolato fatto con fave di cacao provenienti da Ecuador, Costa d’Avorio e Brasile che contengono naturalmente pigmenti rosa. La cioccolata si può preparare sia con il cioccolato tritato, in questo casa potrà essere al latte, fondente, bianca oppure ruby, sia con il cacao. Al di là del tipo di materia prima usata, la cioccolata calda si può poi ormai declinare in mille modi, non solo nel laboratorio della propria cucina, dove basta aggiungere una spolverizzata di cacao oppure di cannella in cima, sia che ci sia panna, sia che non ci sia. O di peperoncino oppure, perché no?, di pepe. I cafè nei quali si beve cioccolata calda hanno i propri mix oppure offrono il menu completo dei mix pensati da produttori artigianali o industriali di preparati per cioccolate in busta. Il marchio apripista in questa direzione fu Eraclea, fondato a Milano circa 50 anni fa e passato dal 2010 al gruppo Lavazza. Quel preparato in busta che decenni or sono era pioneristico oggi è diventato un genere di prodotti e molti fanno il proprio, dalla storica pasticceria Marchesi di Milano al pasticcere torinese Guido Gobino passando per Antonino Cannavacciuolo e le sue choco bomb, versione solida e sferica del preparato, e il Ciobar, l’offerta per preparare una squisita cioccolata in tazza a casa seguendo semplicemente le istruzioni sulla confezione degli ingredienti predosati è vastissima e spazia fin dove si può spaziare. Cioccolata con tocco crunchy? Basta aggiungere granella di nocciole, di pistacchi, perfino bacche di Goji. Cioccolata salata (parzialmente)? Nessun problema, c’è la cioccolata con caramello salato. Cioccolata vegana (recentemente anche la gelateria Grom, artefice di una cioccolata in tazza super cremosa, ha modificato la ricetta per renderla vegana)? Ancora nessun impedimento, basta sostituire il latte con bevanda vegetale. La più sorprendente è sicuramente quella che sembra la negazione della cioccolata calda: la cioccolata fredda. In realtà, si tratta di una versione che destagionalizza la cioccolata calda, disponibile in concomitanza con l’arrivo del freddo per tutta la stagione autunnale e invernale, fino alla primavera. La cioccolata fredda si oppone a questa stagionalità e rendendola estiva attua l’estensione della cioccolata calda a tutto l’anno, naturalmente però raffreddandola. Si prepara con gli stessi ingredienti, ma poi si fa freddare in frigo e si gusta quando fa caldo per rinfrescarsi, non quando fa freddo per riscaldarsi. A proposito di riscaldarsi, sapevate che in montagna è prassi bere una cioccolata calda per contrastare il clima chiaramente molto freddo e riprendere energia dopo una giornata di sci alpino? Deriva da questo l’idea che l’ora della cioccolata calda sia le 16:30, in (giocosa) differenziazione rispetto alle 17, l’ora del tè.
La cioccolata calda è considerata un comfort food e insieme un peccato di gola. Conosciamone meglio le caratteristiche e come trarne il massimo beneficio per la nostra salute ed il nostro benessere.
In 100 ml di cioccolata calda preparata con cioccolato, latte intero, zucchero, un po’ di addensante (qualunque farina oppure amido o fecola) troviamo circa 90 calorie, per il 60% derivanti da carboidrati, per il 25% da grassi e per il 15% da proteine. Fate attenzione perché spesso le tazze sono da 200 ml, quindi considerate 180 calorie. Inoltre, più la cioccolata è densa, più è calorica. Per diminuire i carboidrati si può eliminare lo zucchero, per diminuire un po’ di proteine e di grassi si può usare l’acqua al posto del latte, per diminuire tutto, grassi, proteine e carboidrati, si può usare il cacao magro al posto della cioccolata. Un cucchiaio raso di panna montata aggiunge circa 20 calorie. Durante la stagione fredda, caratterizzata anche dalla diminuzione delle ore di luce, la cioccolata calda è sicuramente un momento di piacere gastronomico, ma anche una spinta energetica per il nostro organismo e per il nostro umore. I flavonoidi hanno effetto antiossidante che aiuta anche la salute del sistema cardiocircolatorio. Grazie a triptofano, feniletilamina e teobromina di cacao o cioccolato, che stimolano la produzione di neurotrasmettitori come la serotonina (il cosiddetto ormone della felicità) e le endorfine (che riducono dolore e stress), una cioccolata in tazza solleva il nostro umore, funge da antistress e ci dona serenità anche nei giorni no. Migliorano anche la memoria e la concentrazione e aumenta un pochino il livello di alcuni sali minerali (potassio, rame, magnesio e ferro). Inoltre, abbiamo sollievo se abbiamo la gola secca e ci scaldiamo: la bevanda, infatti, scalda la bocca, la trachea, lo stomaco e quindi il nucleo centrale del nostro organismo, la parte interna costituita dal busto, che protegge gli organi e che in inverno va protetta dal freddo per mantenere la sua temperatura ottimale di circa 37 gradi centigradi. Inoltre, la cioccolata calda ci dà l’energia che serve al nostro organismo per attuare le sue pratiche anti freddo. Funziona così: il nostro guscio periferico (capo, arti, pelle, muscoli, grasso) cerca di minimizzare la dispersione termica dovuta al fatto che la temperatura esterna è molto bassa tramite la vasocostrizione che diminuisce il flusso sanguigno. Il calore che serve a mantenere il nostro nucleo centrale a 37 gradi (pena malanni o malesseri anche letali se la temperatura scende di troppo) viene prodotto nel nucleo centrale attraverso il metabolismo, che trasforma il cibo in kilocalorie e si trasferisce verso il guscio. Quando fa freddo, il corpo riduce questo trasferimento per conservare il calore centrale, a scapito della temperatura periferica. Tutto questo è un lavoro continuo del nostro organismo, di cui non ci accorgiamo e che richiede molte kilocalorie. Le pratiche che il nostro organismo mette in atto per riscaldarci in inverno ci richiedono e ci fanno consumare molte più calorie di quelle che esso mette in atto per disperdere il calore in estate, perciò mangiamo di più in inverno, perché consumiamo più kilocalorie per mantenere la nostra temperatura interna a circa 37 gradi di quante ne consumiamo in estate per non farla aumentare troppo oltre i 37 gradi. Non bisogna certamente esagerare nel bere cioccolata calda, soprattutto pensando ai grassi (per riscaldarsi va bene anche un tè caldo senza zucchero), ma concedersi una cioccolata di tanto in tanto non può che fare bene. Ultimi consigli. Se avete mal di gola o in generale siete raffreddati, aggiungete in cima alla vostra cioccolata calda polvere di peperoncino, di cannella, di curry, di curcuma. Se avete problemi digestivi, polvere di té verde, di té matcha o di semi di finocchio.
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Maurizio e Alessandro Marinella (Ansa)
Alessandro, avete appena ricevuto una lettera dalla Casa Bianca, firmata Donald Trump. Ci racconta com’è andata?
«Entra in negozio un uomo. Non si presenta, ma ci chiede due cravatte da regalare a una persona “molto importante”».
Italiano?
«No, americano. Noi ci incuriosiamo e proviamo a fargli qualche domanda. Viene fuori che queste cravatte sarebbero finite al presidente Trump, con cui questa persona diceva di avere una “estrema vicinanza”».
Da Napoli a Washington.
«Mio padre ha voluto che fossero un omaggio. Qualche settimana dopo, ci è arrivata la lettera datata 17 novembre, con cui il presidente ci ringraziava. Anche per la nostra vicinanza negli anni».
Negli anni?
«È la terza lettera di Trump che riceviamo».
E le altre due?
«La prima volta fu negli anni Ottanta: c’era mio nonno e mio padre aveva una trentina d’anni. Offrì loro di aprire gratuitamente un negozio a New York, nella Trump Tower».
E i suoi cosa risposero?
«Fino a vent’anni fa, la nostra azienda era un negozio di 20 metri quadri. Mio nonno e mio padre si posero il problema: come gestiamo le sarte, il controllo qualità, la produzione, la vendita? Mio nonno non sapeva nemmeno parlare l’inglese. Per cui, lo ringraziarono e declinarono l’offerta».
Col senno di poi…
«Eh, vabbè. Ci sta».
E la seconda lettera?
«Verso la fine del secondo mandato presidenziale, fummo noi a mandare un presente a Trump. E lui ci ringraziò».
Prima o poi, queste cravatte gliele vedremo addosso. Ce le descrive, così magari le riconosciamo?
«Mi è sembrato che le abbia già indossate. Una è sul violetto, l’altra è azzurra-bluette».
Si parla di Trump e allora le chiedo: i dazi vi spaventano?
«No. Abbiamo una decina di negozi tra L’Italia, Londra e Tokyo, ma la nostra distribuzione in America è minima».
Gli americani devono sviluppare ancora il buon gusto?
«Siamo stati soprattutto noi a non spingere. È solo da poco che ci stiamo strutturando come vera e propria azienda».
Trump non è l’unico presidente che avete servito.
«Li abbiamo serviti tutti da Kennedy in poi. Oltre ai reali inglesi, al re di Spagna…».
E ai politici italiani.
«I presidenti della Repubblica».
È vero che Silvio Berlusconi vi piazzava degli ordini monstre?
«Ci chiedeva forniture incredibili, che noi puntualmente non riuscivamo a soddisfare».
Di che cifre parliamo?
«Partiva da 9.000 cravatte, poi iniziavamo a contrattare. Mio padre provava con 2.000, sapendo che, per produrle, le sarte avrebbero dovuto lavorare pure di notte. Alla fine, si chiudeva a 4, 5, 6.000».
Erano regali, ovviamente.
«Un migliaio di regali: cofanetti da sei cravatte».
Dei Vip che ha conosciuto, quale le è rimasto più simpatico?
«Re Carlo. Mi sono fermato a parlarci, abbiamo discusso del drink che stavamo bevendo».
È uno alla mano?
«Super».
Lei ha portato Marinella sui social e anche l’e-commerce è una sua invenzione.
«Ma tutto questo è solo la punta dell’iceberg di un lavoro più ampio. Quando ho iniziato, l’azienda era una bottega. Non avevamo nemmeno i dati delle vendite, non esisteva un organigramma. Ho cominciato a metterci mano, avviando un processo di aziendalizzazione».
Ha dovuto studiarci su?
«Università a Napoli e due master. La preparazione serve, però non occorre studiare economia per sapere che, per ordinare il quantitativo giusto di tessuto, devi prima sapere quanto ne vendi».
Fa il modesto?
«Io sono la quarta generazione della bottega, ma la seconda dell’azienda. Conosce il detto?».
Quale detto?
«La prima generazione crea, la seconda consolida, la terza distrugge. Sto cercando di consolidare».
L’e-commerce ha funzionato?
«Più 25% di fatturato; e intanto è aumentato anche quello dei negozi. Quando sono entrato in azienda, fatturavamo circa 12 milioni; adesso, chiudiamo a 20».
Come se lo spiega?
«Tanta gente, prima, mi diceva: conosco la vostra azienda, ho nell’armadio un sacco di cravatte del nonno… Ecco: intanto, abbiamo smesso di essere solo quelli della “cravatta del nonno”. Già nel 1914, d’altronde, eravamo nati come importatori di vari prodotti inglesi. La cravatta s’impose durante la Seconda guerra mondiale, quando il rapporto con il Regno Unito si interruppe e noi iniziammo a lavorare quei tessuti. Adesso abbiamo diversificato. Non vendendo solo cravatte, abbiamo un’utenza anche più giovane. E non più soltanto maschile. Poi, abbiamo introdotto nuove gamme di materiali sostenibili: abbiamo creato una serie di accessori in Lyocell, estratto dalla buccia delle arance insieme alla corteccia degli alberi».
Le cravatte si vendono ancora?
«Se ne vendono di più. La cravatta sta tornando di moda. Nelle grandi sfilate, la indossano pure le modelle».
Come mai questa rinascita?
«Un tempo, la si indossava prevalentemente per obbligo. Io, giovane, assunto in una Big four, ero costretto a mettere giacca e cravatta. Ma siccome la portavo tutti i giorni, ne acquistavo tante a poco prezzo nella grande distribuzione».
E ora?
«Dopo il Covid, tanta gente ha smesso di andare regolarmente in ufficio. Portare la cravatta, quindi, non è una costrizione: chi la compra è felice di indossarla. Ne cerca una di qualità, indossata dai presidenti americani, prodotta da chi se ne occupa da oltre un secolo».
E Marinella è un’icona.
«Nel 2017 ci fu una mostra al MoMa di New York. Esponevano i 111 oggetti più rappresentativi del secolo. C’era lo skateboard; c’era la minigonna; c’erano i tacchi a spillo di Louboutin; c’era la maglietta Supreme; c’era lo Chanel numero 5; e c’era la cravatta di Marinella».
Sui social, spopolano gli influencer di eleganza maschile. È in atto una riscoperta del classico?
«Assolutamente sì. È un po’ come nell’alimentare: quando uscirono le farine raffinatissime, la gente voleva solo quelle; oggi cerchiamo l’integrale, i grani antichi… Stesso fenomeno avviene nell’abbigliamento. È il ritorno a prodotto che abbia una storia, a un artigiano che realizzi giacca, camicia, pantalone, cravatta, personalizzando lo stile, le misure. Inserendo le iniziali...».
Ha partecipato a un video satirico della pagina Instagram «Napoli centrale», che inscenava una tenzone tra napoletani del Vomero e napoletani di Posillipo. Il vostro brand è diventato più pop?
«L’obiettivo era di sdrammatizzare un po’ la nostra nomea aziendale. Molti pensano che Marinella sia solo classicità e immaginano me e mio padre come due persone col bicchiere di vino davanti al camino, col maggiordomo e l’alano».
Non è per niente snob?
«Sono un normalissimo ragazzo di 30 anni, nato e cresciuto a contatto con tutte le persone di Napoli, di tutte le estrazioni sociali. La gente spesso si stupisce che io sia alla mano. E ci rimango male, perché sono sempre stato uno del popolo. E a questa città devo tanto».
Aveva un’attività già avviata, quindi nel suo caso, forse, il percorso è stato più facile. Però pensa che per il Sud ci sia speranza?
«C’è speranza per il Sud in generale. E vedo che Napoli, in particolare, sta crescendo. Due scudetti, aprono grandi catene alberghiere a cinque stelle - a breve arriverà Rocco Forte. Girano film internazionali. Ci sono aziende che si trasferiscono qui e qui investono. Ci sarà l’America’s cup di vela nel 2027. La vera sfida è mantenere tutto ciò che di buono sta arrivando».
Si rivolga ai suoi coetanei: qualche consiglio di stile?
«Innanzitutto, non focalizzarsi troppo sulle regole. Ciò che ha allontanato i giovani dal classico è stata la paura di sbagliare qualcosa, nel momento in cui si indossavano abiti formali. Bisogna stare molto più sereni. Io stesso infrango l’etichetta».
In cosa?
«C’è una regola secondo cui il colletto della camicia dovrebbe aderire perfettamente al bavero della giacca. A me, invece, piace portare colletti un po’ più piccoli. E me ne frego».
Come Gianni Agnelli, che metteva l’orologio sopra al polsino.
«Lo spirito è quello. Secondo consiglio: suggerirei di evitare il fast fashion. A me è successo di ingolosirmi, ad esempio, di una scarpa un po’ più estrosa del solito, per la quale non mi andava di spendere tanti soldi e di prenderla in quei negozi. Risultato: dopo una decina di volte che la indossavo, si distruggeva. Idem per la camicia: mi va stretta, faccio un movimento e si strappa, oppure scolorisce dopo vari lavaggi».
La fibra naturale non è più salutare per l’ambiente?
«Certo. Si riducono gli sprechi. Dura di più. E quando la sarta mi confeziona una camicia, mi fornisce pure i ricambi per le parti, tipo i polsini, che potrebbero consumarsi».
Ultima dritta?
«Beh, spesso mi chiedono come abbinare i colori e le fantasie delle cravatte agli abiti. È chiaro che, se si indossano una camicia a righe e una giacca pied-de-poule, o a quadri, o principe di Galles, magari si eviterà una cravatta a pois. Giusto per non creare confusione. Però non c’è una regola fissa. La vera regola è sentirsi a proprio agio, sicuri di sé. Uscire di casa e pensare: oggi sono proprio un figo».
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Piuttosto, è il tentativo di capire cosa si celi oltre quelle bellezze, sotto ciò che lo sguardo abbraccia, dentro la terra che oggi andrebbe scavata. Roma dovrebbe avere una linea metropolitana più efficiente. Più fermate, collegamenti migliori. Ma il condizionale è obbligatorio, figlio della necessità di appurare che non ci siano reperti a separare il dire dal fare. Il documentario, accompagnato dalla voce narrante di Domenico Strati e scritto con la consulenza storico-archeologica della dottoressa Claudia Devoto, non pretende di avere risposte, ma cerca di portare a galle le criticità del progetto. Chiedendo e chiedendosi che ne possa essere di Roma, se possa un giorno arrivare ad essere una metropoli contemporanea, il passato relegato al proprio posto, o se, invece, la sua storia sia destinata ad essere troppo ingombrante, impedendole la crescita infrastrutturale che vorrebbe avere.
Roma Sotterranea, disponibile per lo streaming su NowTv, racconta come ingegneri e archeologi abbiano lavorato in sinergia per realizzare un piano atto a portare all'inaugurazione delle nuove fermate della Linea C di Roma, quelle che (da progetto) dovrebbero collegare la periferia sudorientale a quella occidentale della città. E, nel raccontare questo lavoro, racconta parimenti come il gruppo di ingegneri e archeologi abbia cercato di prevedere e accogliere ogni imprevisto, così da accompagnare la città nel suo sviluppo. Questo perché i sondaggi di archeologia preventiva non sempre rivelano quanto poi potrà emergere durante lavori di scavo così imponenti. In Piazza Venezia, inaspettatamente, è tornata alla luce l’imponente struttura degli Auditoria adrianei, un complesso pubblico su due livelli costruito durante l’impero di Adriano (117-138 d.C.). Era destinato alla divulgazione culturale, alla pubblica lettura di opere letterarie e in prosa, all’insegnamento della retorica, e all’attività giudiziaria e la sua scoperta, la cui importanza storica è stata definita straordinaria, ha portato allo spostamento di uno degli accessi alla stazione presente nella piazza.
Diverso è stato il rinvenimento, inatteso, fatto scavando nei dintorni della nuova stazione di Porta Metronia: a nove metri di profondità, è stata scoperta una caserma del II d.C., 1700 metri quadri di superficie con mosaici e affreschi distribuiti in 30 alloggi per una compagnia di soldati che alloggiavano in ambienti di 4 mq e la domus del comandante, dotata di atrio e fontana. Le strutture sono state rimosse per costruire la stazione, dopo la scansione 3D di ogni singolo muro. A seguito della collocazione in magazzino, del restauro e della catalogazione dei reperti, le murature e i pavimenti sono tornati alla loro originaria collocazione, facendo della stazione uno straordinario sito archeologico.
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Secondo un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, la decarbonizzazione dell’auto europea stenta: le vendite elettriche sono ferme al 14%, le batterie e le infrastrutture sono arretrate. E mentre Germania e Italia spingono per una maggiore flessibilità, la Commissione europea valuta la revisione normativa.
La decarbonizzazione dell’automobile europea si trova a un bivio. Lo evidenzia un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, in un articolo dal titolo Revisione o avvitamento per la decarbonizzazione dell’automobile, che mette in luce le difficoltà del cosiddetto «pacchetto automotive» della Commissione europea e la possibile revisione anticipata del Regolamento Ue 2023/851, che prevede lo stop alle immatricolazioni di auto a combustione interna dal 2035.
Originariamente prevista per il 2026, la revisione del bando è stata anticipata dalle pressioni dell’industria, dal rallentamento del mercato delle auto elettriche e dai mutati equilibri politici in Europa. Germania e Italia, insieme ad altri Stati membri con una forte industria automobilistica, chiedono maggiore flessibilità per conciliare gli obiettivi ambientali con la realtà produttiva.
Il quadro che emerge è complesso. La domanda di veicoli elettrici cresce più lentamente del previsto, la produzione europea di batterie fatica a decollare, le infrastrutture di ricarica restano insufficienti e la concorrenza dei produttori extra-Ue, in particolare cinesi, si fa sempre più pressante. Nel frattempo, il parco auto europeo continua a invecchiare e la riduzione delle emissioni di CO₂ procede a ritmi inferiori alle aspettative.
I dati confermano il divario tra ambizioni e realtà. Nel 2024, meno del 14% delle nuove immatricolazioni nell’Ue a 27 è stata elettrica, mentre il mercato resta dominato dai motori tradizionali. L’utilizzo dell’energia elettrica nel settore dei trasporti stradali, pur in crescita, resta inferiore all’1%, rendendo molto sfidante l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
Secondo la Fondazione Eni Enrico Mattei, non è possibile ignorare l’andamento del mercato e le preferenze dei consumatori. Per ridurre le emissioni occorre che le nuove auto elettriche sostituiscano quelle endotermiche già in circolazione, cosa che al momento non sta avvenendo in Italia, seconda solo alla Germania per numero di veicoli.
«Ai 224 milioni di autovetture circolanti nel 2015 nell’Ue, negli ultimi nove anni se ne sono aggiunti oltre 29 milioni con motore a scoppio e poco più di 6 milioni elettriche. Valori che pongono interrogativi sulla strategia della sostituzione del parco circolante e sull’eventuale ruolo di biocarburanti e altre soluzioni», sottolinea Antonio Sileo, Programme Director del Programma Sustainable Mobility della Fondazione. «È necessario un confronto per valutare l’efficacia delle politiche europee e capire se l’Unione punti a una revisione pragmatica della strategia o a un ulteriore avvitamento normativo», conclude Sileo.
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