2019-09-23
Nigeriano libero di accoltellare ma si vuole schedare chi vota Lega
Arrestato per la prima aggressione, è stato scarcerato in 63 ore e ha pugnalato la ex. Però Luciana Lamorgese, premiata con il Viminale per aver imposto l'accoglienza in Lombardia, pensa ai porti aperti. E i militanti di sinistra fanno la lista dei pro Salvini per boicottarli.Non so se avete presente il modello Milano. È quello che ha consentito a Luciana Lamorgese, già prefetto della Repubblica, di diventare ministro dell'Interno del governo giallorosso. La benedizione di Sergio Mattarella è discesa sull'ex funzionaria del Viminale da poco in pensione per via degli ottimi risultati conseguiti nel periodo in cui ha retto il presidio statale nel capoluogo lombardo. Con lei, hanno scritto i giornali, l'ondata migratoria è stata gestita a meraviglia, perché la prefetta di ferro ha costretto anche i sindaci più riottosi della provincia, e non solo della città, ad accogliere un certo numero di extracomunitari.Peccato che la narrazione dei giornali non coincida con la realtà, perché non esiste alcun modello Milano, ovvero non si ha traccia di un successo nella gestione del fenomeno migratorio. Chiunque abiti a Milano ne è cosciente, soprattutto se vive nelle cosiddette zone calde, ovvero là dove vi è una forte presenza di clandestini. Il settimanale Panorama, con un'inchiesta di Giorgio Sturlese Tosi, ha documentato in questi giorni che cosa accade nella città lombarda sul fronte dei reati e del degrado. E già vedendo le immagini pubblicate si capisce che Milano non può in alcun modo essere considerata un biglietto da visita per rivendicare meriti speciali. Tuttavia, se non fosse sufficiente l'indagine del settimanale, a conferma che non esiste alcun modello Milano, basterebbe rileggere ciò che è successo nel capoluogo dell'economia italiana nell'ultima settimana, in quella che è considerata la porta d'ingresso del turismo e degli affari. Nei pressi della stazione centrale, ossia in un luogo ad alta presenza di clandestini ma anche di viaggiatori, uno yemenita già messo sotto osservazione dai servizi segreti tedeschi ha accoltellato un militare in servizio di sorveglianza dinnanzi allo scalo ferroviario, ferendolo per fortuna non in maniera grave. Tralasciando le risse, i furti e gli scoppi accaduti nel mezzo, sempre nella piazza antistante la stazione, mercoledì scorso un nigeriano ha colpito uno straniero come lui. È finito in carcere per tentato omicidio, uscito dopo tre giorni, ha poi cercato di tagliare la gola all'ex fidanzata, per di più incinta. Prima di essere preso, il tipo ha girovagato nei pressi, con il rischio che aggredisse altre persone. Nella zona, del resto, gli sbandati abbondano e anche le aggressioni e non di rado le forze dell'ordine sono chiamate a intervenire. Perché Milano è uno snodo: dell'immigrazione, ma anche dello spaccio e di tante altre attività illegali. La capitale dell'economia non è la capitale dell'accoglienza, come qualcuno con una buona dose di immaginazione vorrebbe far credere, semmai è la capitale che accoglie violenti e spacciatori. Lasciamo perdere Adam Kabobo, un ghanese che tempo fa con un piccone ha ucciso senza motivo tre persone ferendone altre. E concentriamoci solo su ciò che è accaduto negli ultimi mesi. A luglio uno straniero ha aggredito senza motivo due anziani, un episodio che si è ripetuto di recente anche a Lecco. Un extracomunitario ha fatto lo stesso con un autista dell'Atm, mandandolo all'ospedale. E poi, sempre a luglio, tre carabinieri sono finiti al pronto soccorso mentre erano di pattuglia davanti alla stazione centrale. È questo il modello Milano dell'immigrazione? A noi pare un disastro e chi ha contribuito nei mesi o negli anni passati ne dovrebbe rispondere, non essere premiato con un posto da ministro.Ciò detto, a Gubbio, cittadina di una regione che sarà presto chiamata al voto per archiviare il modello comunista, un dipendente pubblico in vista di un comizio di Matteo Salvini ha segnalato su Facebook l'intenzione di schedare chiunque partecipi agli appuntamenti con il segretario della Lega, ricevendo entusiastiche adesioni da parte di varie persone, tra le quali, pare, una maestra, che si è proposta di “attenzionare" anche i genitori degli alunni sospettati di essere seguaci dell'ex ministro dell'Interno. Ecco, noi comprendiamo che chi sta al Viminale oggi sia molto impegnato, soprattutto a dirigere il traffico di ingresso nei porti italiani delle navi che trasportano migranti (da quando Salvini non è più il responsabile delle forze dell'ordine i porti sono stati riaperti e centri di accoglienza tipo Lampedusa registrano il tutto esaurito), ma forse, oltre a occuparsi di profughi, si dovrebbe preoccupare anche del clima di minaccia e intimidazione che ristagna sulla nostra democrazia. Perché il fascismo non è solo quello in camicia bruna, ma anche quello di chi indossa la camicia rossa.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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