True
2020-07-07
Conte & C. schiavi
delle Ong
Gerard Bottino/SOPA/LightRocket/ Getty Images
Non deve essere stata una buona idea quella di far arrivare in rada la Ocean Viking, visto che nel pomeriggio di ieri dalla Ong Sos Mediterranée hanno fatto sapere che dopo aver visto la costa si sono create tensioni a bordo. La nave aveva buttato l'ancora a largo di Porto Empedocle intorno alle 5 del mattino, dopo che domenica l'organizzazione aveva annunciato di aver ricevuto l'ok allo sbarco. Così non era. E la situazione è rimasta in un limbo per quasi tutta la giornata di ieri. Poi è stato comunicato al comandante che avrebbe potuto avviare le manovre per entrare in porto. Niente sbarco, però, fino all'esito dei tamponi. L'approdo: alla banchina Todaro 3, il punto più lontano del porto. La decisione è stata presa dalla Prefettura di Agrigento che ha ritenuto l'ingresso in porto necessario, viste le condizioni del mare. Nel frattempo resta in piedi il gioco delle tre carte. Perché non è ancora chiaro se gli immigrati, come sta avvenendo per quelli a bordo della Moby Zazà, potranno sbarcare per essere trasferiti in un centro di accoglienza dove passare i 14 giorni di isolamento obbligatorio o se, invece, dovranno stare in quarantena al largo, a bordo proprio della nave che costa all'Italia quasi 2 milioni di euro al mese ed è stata noleggiata dalla Protezione civile per la quarantena degli immigrati. Non è stato chiarito neppure se il trasbordo da una nave all'altra avverrà via terra o al largo della costa siciliana. Dopo oltre dieci giorni alla Ocean Viking non è stato assegnato alcun porto sicuro (senza che qualche Procura abbia valutato ipotesi di sequestri di persona). Matteo Salvini ha colto la palla al balzo per ricordare: «Se ci fossi stato io al governo mi avrebbero sicuramente mandato a processo, ma purtroppo oggi l'Italia con questo governo torna ad essere il campo profughi d'Europa». E ha aggiunto: «Ha calato le braghe, è tornato a essere complice dei criminali, dei trafficanti di esseri umani». D'altra parte, quando ci sono di mezzo gli immigrati in arrivo sui barconi, il governo dimostra di non tenere nessuna «linea dura». Nonostante i casi di contagio: tra quelli sbarcati dalla Sea Watch, 30 erano infetti. Sulla Mare Jonio c'erano altri otto contagiati. Altri ancora arrivano con gli sbarchi autonomi, alcuni dei quali fantasma.
E dopo l'esito negativo dei tamponi, sono sbarcati a Porto Empedocle i 169 passeggeri della nave lazzaretto Moby Zazà. Con degli autobus sono stati spostati nei centri di accoglienza di Crotone e provincia (dove sono arrivati anche 54 sbarcati ieri da un veliero. Tra loro ci sono una donna con il suo bambino di pochi mesi e altri 13 minori non accompagnati. Sono stati intercettati da una motovedetta della Guardia di finanza che li ha condotti fino al porto). Dopo la discesa dalla Moby Zazà, i ponti della nave occupati dagli immigrati, dovranno essere sanificati, prima di poter eventualmente imbarcare i 180 della Ocean Viking. Sulla Moby Zazà sono rimaste 42 persone, tra cui 30 contagiati dal Covid-19, sistemati sul ponte numero 7, denominato «zona rossa». Le acque però si sono agitate non poco nell'area Sud della Sicilia, dove da tempo vengono chieste, senza esito, altre navi per le quarantene al largo delle coste.
L'assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, conferma la linea del governo di Nello Musumeci: «Sarò chiaro ancora una volta, nessuno può scendere se non dopo l'esito del tampone, se ne facciano una ragione quelli della Ong: la salute, dei nostri concittadini e dei migranti, viene prima di tutto». E già aveva bacchettato il governo in modo duro: «La Regione ha fatto 180 tamponi. E si è sostituita allo Stato. Non mi pare una cosa normale. Ma voglio ringraziare i medici dell'Asp di Ragusa. Qualcuno a Roma però dovrebbe iniziare a chiedersi perché in Sicilia l'Usmaf non ha personale per adempiere ai suoi compiti istituzionali. E fare qualcosa. Subito». Anche la reazione del sindaco di Messina, Cateno De Luca, è stata dura con il governo Conte bis: «Ci sono dati statistici che dimostrano che questo governo sta facendo male sull'immigrazione. Il fallimento è nei numeri e durante una fase di emergenza sanitaria come quella che viviamo a causa dell'epidemia da Covid-19 gettare benzina sul fuoco è la cosa peggiore che si possa fare». E la questione non è limitata solo alle due navi appena approdate. È ancora in in acque territoriali maltesi la nave Talia, mercantile libanese utilizzato per il trasporto di animali, che ha tirato su 58 immigrati a bordo. Il mercantile chiede da tre giorni alle autorità maltesi di poter trasbordare i passeggeri e proseguire nella sua rotta commerciale, ma le autorità della Valletta si rifiutano di intervenire se prima non avranno assicurazioni dall'Europa sulla redistribuzione dei migranti. Per la Talia, quindi, non c'è ancora un porto. Nel frattempo è partito il solito pressing sui social, con una foto che ritrae un marinaio portare in braccio un immigrato debilitato che non riusciva da solo a scendere una scaletta del mercantile. L'immagine è stata associata alla Pietà di Michelangelo. «La Talia viene punita solo per aver fatto la cosa giusta e aver rispettato la legge del mare», ha twittato Marta Sarralde, capo missione di Sea Watch per le operazioni aeree. Ed è facile immaginare che presto anche la Talia punterà verso le coste italiane.
In Francia scatta l’allarme algerini
In Francia, la seconda ondata di Covid-19 potrebbe arrivare in volo dall'Algeria. È ciò che temono vari medici citati dal quotidiano storico della sinistra transalpina Libération.
Secondo il quotidiano, numerosi ospedali francesi sono già in allerta. Tra questi figurano i giganti parigini della Pitié-Salpêtrière, Tenon, Saint-Antoine, Bichat, i grandi centri regionali di Lione e Marsiglia, nonché i nosocomi di Grenoble e Reims.
In un articolo pubblicato l'altro ieri, si parla di «una ventina di malati di Covid-19 ricoverati». Tutti questi pazienti avevano un punto in comune: «Erano tornati recentemente dall'Algeria». È importante precisare che nonostante il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune, abbia disposto il mantenimento della chiusura delle frontiere già lo scorso 28 giugno scorso, questa misura non è applicabile ai voli diretti in Francia. In effetti i cittadini francesi, quelli dei 27 Paesi Ue e gli algerini regolarmente residenti in Europa, possono salire su voli o navi aventi per destinazione il Vecchio continente. Basta che indossino una mascherina durante il viaggio.
Per un infettivologo citato da Libération le autorità «stanno facendo ripartire l'epidemia artificialmente con i viaggiatori!». Secondo il medico, «a febbraio è stata la stessa cosa con i cinesi», che in Francia come in Italia, nessuno ha voluto bloccare per non essere tacciato di razzismo o forse per non subire le ritorsioni di Pechino. Purtroppo sappiamo tutti cosa è accaduto in seguito. Se l'Italia ha pagato un tributo pesantissimo di vite umane a causa anche dei diktat delle sinistre, contro quarantene e isolamenti di viaggiatori provenienti dalla Cina (indipendentemente dalla loro cittadinanza), anche la Francia non è stata risparmiata. I decessi provocati dal Covid-19 sono stati poco meno di 30.000.
Per questo, l'arrivo di malati da oltre confine, ha fatto arrabbiare il personale sanitario citato dal quotidiano di sinistra. Secondo un medico parigino intervistato anonimamente da Libération, «a giudicare dal loro stato al momento del ricovero» è chiaro che i pazienti arrivati dall'estero fossero «già malati quando hanno preso il volo di rimpatrio».
Lo stesso testimone ha espresso preoccupazione ciò che potrebbe accadere nelle prossime settimane «vista l'importanza dei flussi di popolazione tra la Francia e l'Algeria bisogna prendere delle disposizioni urgentemente, per evitare che il virus non ricominci a circolare silenziosamente».
Ma la Francia è un Paese in cui vive una numerosissima comunità algerina. Una nazione che è attraversata dalle proteste ispirate al movimento Black lives matter. Questo significa che affermare, anche solo a denti stretti, che potrebbe esserci un problema sanitario proveniente dall'Algeria, rischierebbe far esplodere la polveriera delle banlieue, spesso controllate da spacciatori, islamisti e dove nemmeno la Polizia può quasi più entrare.
Eppure il problema esiste e anche la direzione generale della Sanità l'ha ammesso sotto voce. Tuttavia, nonostante le migliaia di vittime, due mesi di lockdown, e il cataclisma economico provocato dal virus cinese, a chi atterra in Francia non viene misurata nemmeno la febbre, né vengono effettuati tamponi o test sierologici.
A questo punto verrebbe da chiedersi se Emmanuel Macron, e il suo nuovo primo ministro Jean Castex, preferiscano rischiare una ripresa del morbo nato a Wuhan, piuttosto che prendere misure dettate dal buon senso ma che assomigliano troppo a quelle che avrebbe potuto decidere un sovranista qualunque.
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I 169 migranti concentrati sulla nave lazzaretto e risultati negativi al Covid sono sbarcati, andranno a Crotone. Il natante delle Ong entra in porto, adesso si aspetta solo l'esito dei test. Salvini: «L'esecutivo cala le braghe».Sono già una ventina i malati ricoverati dopo essere rientrati dal Paese nordafricano. Gli ospedali sono pronti al peggio. E i medici si lamentano: «È gente partita infetta»Lo speciale contiene due articoliNon deve essere stata una buona idea quella di far arrivare in rada la Ocean Viking, visto che nel pomeriggio di ieri dalla Ong Sos Mediterranée hanno fatto sapere che dopo aver visto la costa si sono create tensioni a bordo. La nave aveva buttato l'ancora a largo di Porto Empedocle intorno alle 5 del mattino, dopo che domenica l'organizzazione aveva annunciato di aver ricevuto l'ok allo sbarco. Così non era. E la situazione è rimasta in un limbo per quasi tutta la giornata di ieri. Poi è stato comunicato al comandante che avrebbe potuto avviare le manovre per entrare in porto. Niente sbarco, però, fino all'esito dei tamponi. L'approdo: alla banchina Todaro 3, il punto più lontano del porto. La decisione è stata presa dalla Prefettura di Agrigento che ha ritenuto l'ingresso in porto necessario, viste le condizioni del mare. Nel frattempo resta in piedi il gioco delle tre carte. Perché non è ancora chiaro se gli immigrati, come sta avvenendo per quelli a bordo della Moby Zazà, potranno sbarcare per essere trasferiti in un centro di accoglienza dove passare i 14 giorni di isolamento obbligatorio o se, invece, dovranno stare in quarantena al largo, a bordo proprio della nave che costa all'Italia quasi 2 milioni di euro al mese ed è stata noleggiata dalla Protezione civile per la quarantena degli immigrati. Non è stato chiarito neppure se il trasbordo da una nave all'altra avverrà via terra o al largo della costa siciliana. Dopo oltre dieci giorni alla Ocean Viking non è stato assegnato alcun porto sicuro (senza che qualche Procura abbia valutato ipotesi di sequestri di persona). Matteo Salvini ha colto la palla al balzo per ricordare: «Se ci fossi stato io al governo mi avrebbero sicuramente mandato a processo, ma purtroppo oggi l'Italia con questo governo torna ad essere il campo profughi d'Europa». E ha aggiunto: «Ha calato le braghe, è tornato a essere complice dei criminali, dei trafficanti di esseri umani». D'altra parte, quando ci sono di mezzo gli immigrati in arrivo sui barconi, il governo dimostra di non tenere nessuna «linea dura». Nonostante i casi di contagio: tra quelli sbarcati dalla Sea Watch, 30 erano infetti. Sulla Mare Jonio c'erano altri otto contagiati. Altri ancora arrivano con gli sbarchi autonomi, alcuni dei quali fantasma.E dopo l'esito negativo dei tamponi, sono sbarcati a Porto Empedocle i 169 passeggeri della nave lazzaretto Moby Zazà. Con degli autobus sono stati spostati nei centri di accoglienza di Crotone e provincia (dove sono arrivati anche 54 sbarcati ieri da un veliero. Tra loro ci sono una donna con il suo bambino di pochi mesi e altri 13 minori non accompagnati. Sono stati intercettati da una motovedetta della Guardia di finanza che li ha condotti fino al porto). Dopo la discesa dalla Moby Zazà, i ponti della nave occupati dagli immigrati, dovranno essere sanificati, prima di poter eventualmente imbarcare i 180 della Ocean Viking. Sulla Moby Zazà sono rimaste 42 persone, tra cui 30 contagiati dal Covid-19, sistemati sul ponte numero 7, denominato «zona rossa». Le acque però si sono agitate non poco nell'area Sud della Sicilia, dove da tempo vengono chieste, senza esito, altre navi per le quarantene al largo delle coste. L'assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, conferma la linea del governo di Nello Musumeci: «Sarò chiaro ancora una volta, nessuno può scendere se non dopo l'esito del tampone, se ne facciano una ragione quelli della Ong: la salute, dei nostri concittadini e dei migranti, viene prima di tutto». E già aveva bacchettato il governo in modo duro: «La Regione ha fatto 180 tamponi. E si è sostituita allo Stato. Non mi pare una cosa normale. Ma voglio ringraziare i medici dell'Asp di Ragusa. Qualcuno a Roma però dovrebbe iniziare a chiedersi perché in Sicilia l'Usmaf non ha personale per adempiere ai suoi compiti istituzionali. E fare qualcosa. Subito». Anche la reazione del sindaco di Messina, Cateno De Luca, è stata dura con il governo Conte bis: «Ci sono dati statistici che dimostrano che questo governo sta facendo male sull'immigrazione. Il fallimento è nei numeri e durante una fase di emergenza sanitaria come quella che viviamo a causa dell'epidemia da Covid-19 gettare benzina sul fuoco è la cosa peggiore che si possa fare». E la questione non è limitata solo alle due navi appena approdate. È ancora in in acque territoriali maltesi la nave Talia, mercantile libanese utilizzato per il trasporto di animali, che ha tirato su 58 immigrati a bordo. Il mercantile chiede da tre giorni alle autorità maltesi di poter trasbordare i passeggeri e proseguire nella sua rotta commerciale, ma le autorità della Valletta si rifiutano di intervenire se prima non avranno assicurazioni dall'Europa sulla redistribuzione dei migranti. Per la Talia, quindi, non c'è ancora un porto. Nel frattempo è partito il solito pressing sui social, con una foto che ritrae un marinaio portare in braccio un immigrato debilitato che non riusciva da solo a scendere una scaletta del mercantile. L'immagine è stata associata alla Pietà di Michelangelo. «La Talia viene punita solo per aver fatto la cosa giusta e aver rispettato la legge del mare», ha twittato Marta Sarralde, capo missione di Sea Watch per le operazioni aeree. Ed è facile immaginare che presto anche la Talia punterà verso le coste italiane.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/moby-si-svuota-ocean-si-avvicina-il-governo-e-schiavo-dei-barconi-2646352127.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-francia-scatta-lallarme-algerini" data-post-id="2646352127" data-published-at="1594065998" data-use-pagination="False"> In Francia scatta l’allarme algerini In Francia, la seconda ondata di Covid-19 potrebbe arrivare in volo dall'Algeria. È ciò che temono vari medici citati dal quotidiano storico della sinistra transalpina Libération. Secondo il quotidiano, numerosi ospedali francesi sono già in allerta. Tra questi figurano i giganti parigini della Pitié-Salpêtrière, Tenon, Saint-Antoine, Bichat, i grandi centri regionali di Lione e Marsiglia, nonché i nosocomi di Grenoble e Reims. In un articolo pubblicato l'altro ieri, si parla di «una ventina di malati di Covid-19 ricoverati». Tutti questi pazienti avevano un punto in comune: «Erano tornati recentemente dall'Algeria». È importante precisare che nonostante il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune, abbia disposto il mantenimento della chiusura delle frontiere già lo scorso 28 giugno scorso, questa misura non è applicabile ai voli diretti in Francia. In effetti i cittadini francesi, quelli dei 27 Paesi Ue e gli algerini regolarmente residenti in Europa, possono salire su voli o navi aventi per destinazione il Vecchio continente. Basta che indossino una mascherina durante il viaggio. Per un infettivologo citato da Libération le autorità «stanno facendo ripartire l'epidemia artificialmente con i viaggiatori!». Secondo il medico, «a febbraio è stata la stessa cosa con i cinesi», che in Francia come in Italia, nessuno ha voluto bloccare per non essere tacciato di razzismo o forse per non subire le ritorsioni di Pechino. Purtroppo sappiamo tutti cosa è accaduto in seguito. Se l'Italia ha pagato un tributo pesantissimo di vite umane a causa anche dei diktat delle sinistre, contro quarantene e isolamenti di viaggiatori provenienti dalla Cina (indipendentemente dalla loro cittadinanza), anche la Francia non è stata risparmiata. I decessi provocati dal Covid-19 sono stati poco meno di 30.000. Per questo, l'arrivo di malati da oltre confine, ha fatto arrabbiare il personale sanitario citato dal quotidiano di sinistra. Secondo un medico parigino intervistato anonimamente da Libération, «a giudicare dal loro stato al momento del ricovero» è chiaro che i pazienti arrivati dall'estero fossero «già malati quando hanno preso il volo di rimpatrio». Lo stesso testimone ha espresso preoccupazione ciò che potrebbe accadere nelle prossime settimane «vista l'importanza dei flussi di popolazione tra la Francia e l'Algeria bisogna prendere delle disposizioni urgentemente, per evitare che il virus non ricominci a circolare silenziosamente». Ma la Francia è un Paese in cui vive una numerosissima comunità algerina. Una nazione che è attraversata dalle proteste ispirate al movimento Black lives matter. Questo significa che affermare, anche solo a denti stretti, che potrebbe esserci un problema sanitario proveniente dall'Algeria, rischierebbe far esplodere la polveriera delle banlieue, spesso controllate da spacciatori, islamisti e dove nemmeno la Polizia può quasi più entrare. Eppure il problema esiste e anche la direzione generale della Sanità l'ha ammesso sotto voce. Tuttavia, nonostante le migliaia di vittime, due mesi di lockdown, e il cataclisma economico provocato dal virus cinese, a chi atterra in Francia non viene misurata nemmeno la febbre, né vengono effettuati tamponi o test sierologici. A questo punto verrebbe da chiedersi se Emmanuel Macron, e il suo nuovo primo ministro Jean Castex, preferiscano rischiare una ripresa del morbo nato a Wuhan, piuttosto che prendere misure dettate dal buon senso ma che assomigliano troppo a quelle che avrebbe potuto decidere un sovranista qualunque.
Trump blocca il petrolio del Venezuela. Domanda elettrica, una questione di sicurezza nazionale. Le strategie della Cina per l’Artico. Auto 2035, l’Ue annacqua ma ormai il danno è fatto.
Dinanzi a tale insipienza strategica, i popoli non rimangono impassibili. Già alla vigilia del vertice dei 27, Politico aveva pubblicato i risultati di un sondaggio, secondo il quale sia in Francia sia in Germania sono aumentati quelli che vorrebbero «ridurre significativamente» il sostegno monetario all’Ucraina. I tedeschi che chiedono tagli drastici sono il 32%, percentuale cui va sommato il 14% di quanti si accontenterebbero di una qualsiasi stretta. Totale: 46%. I transalpini stufi di sborsare, invece, sono il 37% del totale. Per la Bild, l’opinione pubblica di Berlino è ancora più netta sull’opportunità di continuare a inviare armi al fronte: il 58% risponde di no. Infine, una rilevazione di Rtl e Ntv ha appurato che il 75% dei cittadini boccia l’operato del cancelliere Friedrich Merz, principale fautore della poi scongiurata «rapina» dei fondi di Mosca. Non è un caso che, stando almeno alle ricostruzioni del Consiglio Ue proposte da Repubblica, Emmanuel Macron e Giorgia Meloni abbiano motivato le proprie riserve sul piano con la difficoltà di far digerire ai Parlamenti nazionali, quindi agli elettori, una mozza così azzardata. Lo scollamento permanente dalla realtà che caratterizza l’operato della Commissione, a quanto pare, risponde alla filosofia esposta da Sergio Mattarella a proposito del riarmo a tappe forzate: è impopolare, ma è necessario.
La disputa sulle sovvenzioni a Zelensky - e speriamo siano a Zelensky, ovvero al bilancio del Paese aggredito, anziché ai cessi d’oro dei suoi oligarchi corrotti - ha comunque generato pure un’altra forma di divaricazione: quella tra i fatti e le rappresentazioni mediatiche.
I fatti sono questi: Ursula von der Leyen, spalleggiata da Merz, ha subìto l’ennesimo smacco; l’Unione ha ripiegato all’unanimità sugli eurobond, sebbene Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca siano state esentate dagli obblighi contributivi, perché abbandonare i lavori senza alcun accordo, oppure con un accordo a maggioranza qualificata, sarebbe stato drammatico; alla fine, l’Europa si è condannata all’ennesimo salasso. E la rappresentazione?
La Stampa ieri è partita per Plutone: titolava sulla «svolta» del debito comune, descritta addirittura come un «compromesso storico». Il corrispondente da Bruxelles, Marco Bresolin, in verità ha usato toni più sobri, sottolineando la «grande delusione» di chi avrebbe voluto «punire la Russia» e riconoscendo il successo del premier belga, Bart De Wever, ostile all’impiego degli asset; mentre l’inviato, Francesco Malfetano, dava atto alla Meloni di aver pianificato «la sua mossa più efficace». Sul Corriere, il fiasco di Merz si è trasformato in una «vittoria a metà». Repubblica ha borbottato per la «trappola» tesa dal cancelliere e a Ursula. Ma Andrea Bonanni, in un editoriale, ha lodato l’esito «non scontato» del Consiglio. L’Europa, ha scritto, «era chiamata a sostituirsi a Washington per consentire a Kiev di continuare la resistenza contro l’attacco russo. Lo ha fatto. Doveva trovare i soldi. Li ha trovati ricorrendo ancora una volta a un prestito comune, come fece al tempo dell’emergenza Covid». Un trionfo. Le memorie del regimetto pandemico avranno giocato un ruolo, nel convincere le firme di largo Fochetti che, «stavolta», l’Ue abbia «battuto un colpo».
Un colpo dev’essere venuto ai leader continentali. Costoro, compiuto il giro di boa, forse si convinceranno a smetterla di sabotare le trattative. Prova ne sia la sveglia di Macron, che ha avvisato gli omologhi: se fallisce la mediazione Usa, tocca agli europei aprire un canale con Vladimir Putin. Tutto sommato, avere gli asset in ostaggio può servire a scongiurare l’incubo dell’Ue: sparire di scena.
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Volodymyr Zelensky (Ansa)
La soluzione del prestito dunque salva capra e cavoli, ovvero gli interessi di chi ritiene giusto dover alimentare con aiuti e armi la resistenza di Kiev e anche quelli di quanti temevano la reazione russa all’uso dei fondi. Una mediazione soddisfacente per tutti, dunque? Non esattamente, visto che la soluzione escogitata non è affatto gratis. Già: mentre i vertici della Ue si fanno i complimenti per aver raggiunto un’intesa, a non congratularsi dovrebbero essere i cittadini europei, perché l’accordo raggiunto non è gratis, ma graverà ancora una volta sulle tasche dei contribuenti. Lasciate perdere per un momento come e quando l’Ucraina sarà in grado di restituire il prestito che le verrà concesso. Se Kiev fosse un comune cittadino nessuna banca la finanzierebbe, perché agli occhi di qualsiasi istituto di credito non offrirebbe alcuna garanzia di restituzione del mutuo concesso. Per molti anni gli ucraini non saranno in grado di restituire ciò che ricevono. Dunque, i soldi che la Ue si prepara a erogare rischiano di essere a fondo perduto, cioè di non ritornare mai nelle tasche dei legittimi proprietari, cioè noi, perché il prestito non è garantito da Volodymyr Zelensky, in quanto il presidente ucraino non ha nulla da offrire in garanzia, ma dall’Europa, vale a dire da chi nel Vecchio continente paga le tasse.
Lasciate perdere che, con la corruzione che regna nel Paese, parte dei soldi che diamo a Kiev rischia di sparire nelle tasche di una serie di politici e burocrati avidi prima ancora di arrivare a destinazione. E cancelliamo pure dalla memoria le immagini dei cessi d’oro fatti installare dai collaboratori mano lesta del presidente ucraino: rubinetti, bidet, vasca e tutto il resto lo abbiamo pagato noi, con i nostri soldi. Il grande reset della realtà, per come si è fin qui palesata, tuttavia non può cancellare quello che ci aspetta.
Il prestito della Ue, come ogni finanziamento, non è gratis: quando voi fate il mutuo per la casa, oltre a rimborsare mese dopo mese parte del capitale, pagate gli interessi. Ma in questo caso il tasso non sarà a carico di chi riceve i soldi, come sempre capita, ma - udite, udite - di chi li garantisce, ovvero noi. Politico, sito indipendente, ha calcolato che ogni anno la Ue sarà costretta a sborsare circa 3 miliardi di interessi, non proprio noccioline. Chi pagherà? È ovvio: non sarà lo Spirito Santo, ma ancora noi. Dividendo la cifra per il numero di abitanti all’interno della Ue si capisce che ogni cittadino dovrà mettere mano al portafogli per 220 euro, neonati e minorenni inclusi. Se poi l’aliquota la si vuol applicare sopra una certa soglia di età, si arriva a 300.
Ecco, la pace sia con voi la pagheremo cara e probabilmente pagheremo cari anche i 90 miliardi concessi all’Ucraina, perché quasi certamente Kiev non li restituirà mai e toccherà a noi, intesi come Ue, farcene carico. Piccola noticina: com’è che, quando servivano soldi per rilanciare l’economia e i salari, Bruxelles era contraria e adesso, se c’è da far debito per sostenere l’Ucraina, invece è favorevole? Il mistero delle scelte Ue continua. Ma soprattutto, si capisce che alla base di ogni decisione, a differenza di ciò che ci hanno raccontato per anni, non ci sono motivazioni economiche, ma solo politiche.
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