2022-07-30
M&M, da liberali a stampella della sinistra
Da sinistra, Mariastella Gelmini, Carlo Calenda, Mara Carfagna (Ansa)
Show e battute al veleno di Mariastella Gelmini e Mara Carfagna che entrano nella segreteria di Azione. Per interposto Carlo Calenda si troveranno a sostenere le politiche chiusuriste di Roberto Speranza, i tassatori e gli ecofondamentalisti. Senza considerare i temi etici.In tempi di calciomercato, Carlo Calenda ha ufficializzato ieri due presunti «colpi» ormai annunciati, e quindi pressoché scontati: il passaggio prima negli organi dirigenti e poi nelle liste di Azione di Mariastella Gelmini e Mara Carfagna.Sono lontani i tempi in cui volavano insulti tra i conferenzieri di ieri. Tre anni fa, nel giugno del 2019, la Carfagna scrisse su Twitter: «Il cattivo gusto e la maleducazione di Calenda si commentano da soli. Oltre a essere confuso, è un ragazzino viziato e cafone». Ieri invece era tutto un trionfo di sorrisi e complicità. Le due ministre, presso la sede della stampa estera, si sono infatti rese protagoniste di uno show abbastanza prevedibile insieme al loro nuovo capo: per un verso, il rito ipocrita della sofferenza (come quando i calciatori parlano di «scelte di vita»); per altro verso, attacchi velenosi ai luoghi che hanno frequentato fino a un attimo prima, ricavandone non solo fama ma incarichi che le due - peraltro - si guardano bene dal lasciare. È parsa involontariamente comica l’enfasi autoreferenziale con cui Calenda ha annunciato la novità: «Mariastella Gelmini e Mara Carfagna entreranno nella segreteria di Azione», come se le due ministre stessero entrando nel War Cabinet di Winston Churchill. Poi la parte più retorica del discorsetto: confluisce in Azione «la parte migliore, più attenta e illuminata di Forza Italia». E ancora: «Sono grato a Mariastella e a Mara di essere venute perché non è facile cambiare partito», e perché «i gesti di dignità e coraggio in Italia si contano sulla punta delle dita». Curiosa inversione logica: un comportamento serio sarebbe stato quello di dichiarare un dissenso politico, lasciare un partito e quindi rinunciare (di propria volontà) agli incarichi istituzionali ottenuti per quella via. Qui invece tutto è avvenuto a rovescio: le due hanno visto oggettivamente a rischio il mantenimento delle loro poltrone (che fino all’ultimo non mollano), e solo allora hanno esplicitato il proprio dissenso politico, con relativo cambio di casacca. Ma Calenda non la racconta così, e anzi si lancia in un’introduzione in cui cucina un minestrone ideologico in virtù del quale socialdemocratici, popolari e liberali (cioè tre culture tra loro diversissime) dovrebbero unirsi contro il pericolo degli «estremisti». E dove starebbero questi estremisti? Solo a destra: ed è soltanto contro la destra che Calenda spara a palle incatenate («La destra vince? Maddeché? La rimandiamo nella bolgia degli irresponsabili»). Poi il fervorino delle due. Ecco la Gelmini: «È stata una scelta sofferta e ponderata ma di cui sono straconvinta. Sono una donna libera». Ed ecco la Carfagna, che arriva al punto di dichiararsi «costretta» a cambiare maglia: con la decisione di far cadere il governo «siamo stati costrette» a lasciare Fi. Si è trattato di una «scelta enorme. La scelta di oggi è stata una scelta di serietà e soprattutto di verità». Poco dopo arriva la bordata più velenosa della Carfagna, che, dopo sedici anni da deputata (dal 2006), e quattordici anni dopo aver fatto il ministro per la prima volta (2008), scopre ora un insopprimibile dissenso in politica estera: «Ho la certezza di trovarmi in un partito in cui nessuno si sognerà di tramare con la Russia ai danni del governo in carica». Calenda, apparentemente, non presenta come già presa la decisione di convergere con il centrosinistra («Qualunque decisione sulle alleanze la prenderemo insieme nei prossimi giorni»). Ma tutto il tono della conferenza è orientato a senso unico: contro la destra: «Una vittoria di questa destra sovranista porterebbe l’Italia fuori dalle grandi nazioni europee».La realtà è un’altra. Se questa compagnia di giro scegliesse una presentazione autonoma da tutti gli schieramenti, si potrebbe dissentire, ma si tratterebbe indubbiamente di un atto degno di rispetto politico. Ma se - come oggi appare probabile - saremo in presenza del cespuglio destro della coalizione di centrosinistra, si tratterà di un vero e proprio specchietto per le allodole, volto a tentare di incantare qualche elettore deluso di centrodestra per portarlo a sostenere il Pd, sia pure attraverso l’»interposizione» di Calenda-Carfagna-Gelmini.Non si tratta solo di temi controversi o di coscienza («questioni rispetto alle quali», ha osservato criticamente Giorgio Mulè di Fi, «la sinistra che oggi li accoglie la pensa in modo opposto: cito la posizione ferma della Gelmini sulla droga e quella della Carfagna sull’utero in affitto», ha sostenuto il sottosegretario forzista alla Difesa), ma soprattutto di questioni economiche: chi sta con il Pd e Leu sta con i tassatori e i fautori della patrimoniale. Si tratta anche di ecofondamentalismo: i tre conferenzieri di ieri hanno spesso attaccato gli eccessi verdi in quella materia, ma quasi certamente convergeranno con i portatori delle politiche green e anti industria. Si tratta - ancora - delle politiche chiusuriste di Roberto Speranza, che sarà uno dei campioni della lista allargata del Pd. Di tutti costoro e di quella che potremmo chiamare la linea Letta-Fratoianni, i tre protagonisti della conferenza di ieri si candidano a fare da stampella politica. Ed è presumibile che alla comitiva si aggiungerà presto Renato Brunetta, con cui, ha sottolineato Calenda, «ho un’interlocuzione». In giornata è giunto l’attacco di Antonio Tajani: «Qualche mese fa Calenda diceva che la Carfagna era incompatibile coi suoi progetti. Evidentemente la coerenza non fa parte di questo “centrino” che sta nascendo».