2019-12-21
Mittal detta la linea su Ilva. In arrivo soldi dallo Stato che sarà socio di minoranza
I commissari firmano davanti ai giudici il pre accordo. C'è tempo fino al 31 gennaio per definire un piano ambientale e incontrare i sindacati sul tema dell'occupazione.Alla fine possiamo dirlo. Governo e Arcelor Mittal sono seduti dalla stessa parte del tavolo. Dopo qualche settimana di baruffe e di minacce per conto terzi, di fronte ai giudici milanesi i Commissari (che rappresentano la «vecchia» Ilva) e i legali del colosso indiano hanno deciso di prendersi tempo fino al 31 gennaio prossimo, garantendo al tribunale che il sito non sarà chiuso né abbandonato. Cosa succederà in futuro è un tema complesso. Un tema che, dal testo sottoscritto ieri, non si capisce ancora con chiarezza. In pratica, le due parti sono d'accordo sul fatto che la tutela dell'ambiente è il futuro, e dunque questo vale anche per il sito di Taranto e per gli altri impianti lungo la penisola che potranno essere rilanciati grazie un green new deal. Il nome richiama il mega progetto europeo, nel concreto dovrebbe trattarsi di ridefinire il Piano ambientale di bonifica.Dovrà essere messo a punto uno schema con una serie di paletti: oltre ai target di produzione dell'acciaio, fissati in 8 milioni di tonnellate annue entro il 2023, l'obiettivo sarà dire addio al carbone. Con il governo italiano che, si legge nel testo del pre accordo, «alla luce dell'interesse strategico nazionale del patrimonio dell'Ilva e dell'impegno a realizzare il green new deal, è fortemente dedicato a preservare la continuità aziendale e gli attuali livelli occupazionali. Il business plan, come emerge ancora dal documento, «fornirà dettagli sui livelli di occupazione nel periodo di esecuzione del piano stesso». Nelle quattro pagine non c'è scritto però che sono esclusi esuberi di personale nel passaggio verso la newco. Non solo, al punto uno si spiega che l'evoluzione green sarà possibile grazie alle nuove tecnologie. Il riferimento è chiaramente all'uso dell'elettrico per la gestione dei forni. Un passaggio che implicitamente prevede tempi più ridotti rispetto al ciclo del carbone. Meno tempo e più tecnologia significano minor manodopera. A meno che non si decida di riconvertire il personale per altre attività: anche a questo, però, il pre accordo non fa cenno. Al contrario, si stabilisce che, per il momento di transazione, sarà banca Intesa a fare da garanzia e, in caso di firma definitiva, a occuparsi del nuovo piano industriale sarà una nuova società partecipata da Arcelor e da aziende pubbliche o para statali. Dettagli al momento non ce ne sono. Non si sa se sarà il Mef, Invitalia o qualcosa di nuovo ancora da creare. Unica certezza: i franco indiani chiedono di restare azionisti di maggioranza. Anzi, ottengono di rimanere soci oltre il 51%, visto che i commissari hanno apposto la loro firma. Certo, c'è sempre la possibilità che da qui al 31 gennaio cambino i dettagli e il piano venga stravolto. Ma dal punto di vista politico per il governo è un fallimento. A dettare la linea è Arcelor, che alla fine dei giochi ha ottenuto quello che non avrebbe mai potuto chiedere se i grillini, sostenuti dal Pd e da Italia viva, non avessero reso definitivo lo stop allo scudo penale creato dal governo Gentiloni. I 5 stelle ci avevano già provato durante il Conte Uno. La Lega aveva cercato di bloccare il folle iter, ma è riuscita solo a posticipare le scelte a livello parlamentare. Così lo scorso ottobre la mozione di Barbara Lezzi ha trovato terreno fertile ed è arrivata a maturazione. A quel punto Arcelor, che - bene ribadirlo - perde circa 50 milioni di euro al mese, ha trovato il modo di chiedere un alleggerimento del personale (inizialmente 5.000 esuberi, poi si è parlato di 3.500) e al tempo stesso una revisione del piano industriale e degli investimenti necessari ai fini delle bonifiche. Esattamente i pilastri del pre accordo firmato ieri. Non sappiamo se ci saranno esuberi, sicuramente i costi per gli investimenti green saranno spalmati per circa metà sulle spalle dello Stato, mentre l'ultima parola spetterà sempre ad Arcelor. Dal punto di vista degli imprenditori franco indiani è più che comprensibile: chi vorrebbe buttare soldi in una azienda e lasciare che decida il governo di turno, influenzato da scelte elettorali nel migliore dei casi o in balia dell'incompetenza nel peggiore. La risposta è: nessuno. Solo che di fronte a questa situazione i commissari hanno esultato, e il ministro Roberto Gualtieri ha celebrato l'ingresso dello Stato nel capitale precisando che «poi saranno coinvolti i sindacati per negoziare nuovi accordi». Sembra dare per scontato che le sigle accetteranno qualunque cosa come ha fatto Giuseppe Conte, il quale è andato alla guerra con Mittal senza armi e senza un piano B. Voce fuori dal coro quella del titolare del dicastero del Sud, Bernardo Provenzano che ha detto in radio: «Non si brinda per un pre accordo». Occhio però: se a fine gennaio il governo deciderà di cambiare ancora le carte in tavola, finirà per rimetterci ancora di più.