2021-06-09
Missione per l’addio all’Afghanistan. Gli Emirati ci vietano lo spazio aereo
Il C130 con giornalisti e militari al seguito di Lorenzo Guerini è dovuto atterrare in Arabia. Convocato l'ambasciatore. Cresce la tensione con Abu Dhabi dopo il divieto all'export di armi. E Kabul ora rischia di tornare ai talebani.L'ultimo viaggio di un ministro della Difesa italiano in Afghanistan. Lorenzo Guerini è volato assieme al capo di Stato maggiore, Enzo Vecciarelli, a Herat per ammainare il Tricolore. La cerimonia per il ritiro delle truppe italiane è però stata rovinata dagli Emirati Arabi Uniti: Abu Dhabi ha infatti negato il passaggio nel suo spazio aereo al C130 dell'aeronautica militare che avrebbe dovuto portare giornalisti e militari nella sede afghana della nostra missione. Su indicazione del ministro, Luigi Di Maio, la Farnesina ha convocato l'ambasciatore emiratino al quale il segretario generale, Ettore Sequi, non ha nascosto «la sorpresa e il forte disappunto per un gesto inatteso che si fa fatica a comprendere». Uno sgarbo, con l'aggravante che la tratta di volo era stata inizialmente autorizzata, ma che si innesta su rapporti complicati, inaspriti dal divieto italiano all'export di armi ad Abu Dhabi e dal supporto emiratino, con armi e mercenari, all'esercito guidato in Libia dal generale Khalifa Haftar. Le autorità emiratine sono state irremovibili, riservandosi fino all'ultimo di dare un via libera che poi non è arrivato. Dopo un lungo scalo nell'aeroporto saudita di Dammam, i circa 70 passeggeri sono potuti decollare verso l'Afghanistan, con una rotta più lunga per aggirare il territorio degli Emirati. Il volo è arrivato a Herat in tempo per la cerimonia, ma comunque 4 ore dopo l'arrivo di Guerini che viaggiava su un Falcon dell'Aeronautica. Il ministro ha avvertito che nel Paese la sfida è ancora aperta: «Dobbiamo continuare a essere al fianco degli afgani. I nemici della pacificazione cercheranno di fermare questo processo», ha avvertito, «continueremo a fare la nostra parte». «Non abbandoniamo il personale civile afgano che ha collaborato con il nostro contingente a Herat e le loro famiglie», ha assicurato il ministro, «270 sono già stati identificati e su altri 400 si stanno svolgendo accertamenti. Verranno trasferiti in Italia a partire da metà giugno». Un modo per non esporli a ritorsioni dopo il completamento del ritiro. Anche il ritiro delle truppe americane procede di gran carriera, è già stato completato al 50% e si prevede che verrà ultimato prima della scadenza dell'11 settembre indicata dal presidente americano, Joe Biden. Gli Stati Uniti hanno ritirato oltre il 50% delle truppe e delle attrezzature dal Paese, secondo quanto stimato dal Pentagono in un aggiornamento pubblicato martedì scorso. A partire dall'8 giugno, il dipartimento della Difesa ha rimosso l'equivalente di circa 500 carichi di materiale che è volato fuori dal Paese su grandi aerei da carico. Circa 13.000 pezzi di equipaggiamento, compresi beni personali in eccesso, sono stati consegnati all'agenzia per la logistica della difesa perché vengano distrutti. Inoltre, sei strutture statunitensi sono state consegnate al ministero della Difesa afgano. Sul fronte opposto non esistono statistiche. Ma già numerosi avamposti gestiti dalle truppe locali sarebbero stati abbandonati per evitare scontri con i talebani, la cui avanzata procede però in parallelo: nelle ultime 24 ore due nuovi distretti sono caduti nelle mani dei miliziani, ora in totale sono 11. E c'è il timore che la stessa Kabul possa cadere nelle mani dei talebani nel giro di qualche anno. Si conclude così il più imponente sforzo logistico militare italiano in un teatro operativo all'estero, uno sforzo costato la vita a 53 italiani. Si conclude dopo 20 anni di missione in una provincia importante e delicata per gli equilibri politici del Paese asiatico; e dove l'Italia, con le sue attività di cooperazione civile ad ampio spettro - dall'istruzione alla sanità e alla parità di genere - ha giocato un ruolo fondamentale. «Lasciamo oggi l'Afghanistan», ha concluso Guerini, «dopo aver ottenuto sicuramente importanti risultati per la sicurezza internazionale e per la libertà, soprattutto del popolo afghano. Vi sono stati progressi nella vita democratica», ha specificato il ministro, «nella tutela dei diritti umani, nell'accesso all'istruzione e nella parità di genere che hanno contribuito a marcare profondamente la società afgana». È stato fondamentale, in questo senso, proprio il lavoro svolto in supporto e al fianco delle forze di sicurezza locale. «Shona ba shona», spalla a spalla, è stato il motto che rappresenta in ogni caso il passato. Come dimostra il divieto di sorvolo imposto a un velivolo militare italiano, le nostre forze armate devono ora focalizzarsi su luoghi più vicini a noi. L'Iraq è il confine estremo del Medioriente, ma è la Libia il posto dove si stanno concentrando tutte le tensioni. Emiratini con Bengasi, turchi e russi che spingono su Tripoli e l'incognita Egitto.