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2024-09-12
Milano fuori controllo, via il capo dei ghisa
Marco Ciacci, comandante della polizia locale di Milano dal 2017 (Imagoeconomica)
Beppe Sala certifica il fallimento della sua amministrazione nel garantire la sicurezza dei cittadini di Milano. Marco Ciacci, comandante della polizia locale dal 2017 e confermato due anni fa, lascerà l’incarico prima della fine dell’anno. A dargli il benservito è stato proprio il sindaco. L’esito era quasi scontato, dopo l’arrivo lo scorso anno dell’ex capo della polizia Franco Gabrielli, nominato come delegato di Sala per la sicurezza e la coesione sociale. Di fatto l’arrivo di Gabrielli (sarà lui a indicare il sostituto) era già stato una sorta di commissariamento, tanto che a gennaio fu l’ex capo della polizia a snocciolare i dati sui reati. Spiegò che nell’arco di più di dieci anni gli omicidi erano calati ma erano aumentati i borseggi (+25%) e soprattutto le rapine in strada (+50%). Numeri che dovevano smentire il rischio sicurezza in città, ma che suonarono come campanello d’allarme soprattutto per i vigili urbani.
Ciacci quindi se ne va. Lasciandosi dietro non poche polemiche e soprattutto macerie nella gestione di un corpo di polizia che prima del suo arrivo aveva funzionato perfettamente. I sindacati (Sulpl, Uilfpl e Usb) da almeno un anno sono sul piede di guerra. Lo stato di agitazione è perenne. Vengono indetti scioperi ormai ogni due mesi con relativo blocco degli straordinari. E la partecipazione è talvolta superiore al 50%. Tutto ruota intorno ai coefficienti di uscita dai turni serali e notturni. Oggi i ghisa che sommano un’età anagrafica e un’anzianità di servizio pari a quota 60 smettono di fare le notti; e lo stesso discorso vale per le sere, con l’asticella che si alza a 70. Un meccanismo che per il Comune ha eccessivamente ridotto il numero di agenti che possono svolgere quel tipo di turni, con conseguente diminuzione delle pattuglie in servizio. Da qui la decisione di scardinare in parte quel meccanismo e di introdurre un criterio solo anagrafico per gli iscritti post 2017. Sarebbe bastato un piccolo accordo, ma non c’è stato verso. Così la sera le pattuglie che circolano sono sempre di meno. Si tratta di un passo indietro evidente, dal momento che nel 2015 la vecchia gestione di Antonio Barbato era arrivata a disporre di oltre 300 unità di polizia locale dedicate, senza soluzione di continuità. Certo, ci furono frizioni e discussioni sindacali anche all’epoca, in particolare sugli straordinari, ma poi una soluzione fu trovata. Da un anno invece né il sindaco né il comandante Ciacci sono riusciti a tamponare la situazione. In questo modo però la città resta scoperta, soprattutto di notte.
Che l’insediamento di Ciacci non sarebbe stato così gradito in piazza Beccaria, sede della locale, lo si era capito subito. La giunta si trovò costretta ad aspettare il via libera del ministero degli Interni utilizzando una norma per motivate esigenze organizzative,
D’altra parte, la nomina stessa nel 2017 non passò inosservata. Per far spazio all’ex responsabile (dal 2003 al 2017) della sezione di Polizia Giudiziaria della Procura, infatti, fu allontanato l’ex comandante Antonio Barbato che era finito in un’inchiesta della Dda dove non fu mai indagato. In pratica, Barbato finì in un procedimento della Procura per far posto a chi aveva lavorato per 14 anni con la stessa Procura. Caso vuole che, proprio in quegli anni, sotto indagine della stessa magistratura milanese ci fosse lo stesso Sala, accusato di turbativa d’asta sul maxiappalto per la Piastra dei Servizi di Expo. Alla fine, anche l’indagine sul primo cittadino fu archiviata e Ciacci si ritrovò subito a dover affrontare una vicenda spinosa legata all’ex pm Ilda Boccassini. Il 3 ottobre del 2018 Alice, figlia della storica toga milanese, travolse e uccise un pedone. La donna patteggiò nove mesi, e si vide la patente ritirata per due anni. Dopo un esposto a Brescia e relativa indagine per presunti favoreggiamenti, Ciacci fu assolto dalle accuse di abuso d’ufficio. Eppure, quella vicenda si trascinò per anni lasciando un lungo strascico di polemiche. Dopo la denuncia della sua presenza sull’incidente della Boccassini, infatti, la polizia locale di Milano, capitanata dallo stesso Ciacci, indagò Barbato per frode nelle forniture dopo aver ricevuto una lettera anonima. A questo si aggiunge che lo stesso Barbato (che fu demansionato dopo aver retto il corpo durante la stagione del terrorismo islamico) è stato denunciato penalmente e civilmente da Sala e Ciacci per le sue dichiarazioni contro l’assunzione dell’ex numero uno della polizia giudiziaria di Milano.
Ma a lato degli incroci tra palazzo Marino e la procura, bisogna segnalare anche le criticità che molti agenti hanno dovuto affrontare in questi anni. Lo scorso novembre, dopo l’ennesima inondazione per le forti piogge, il nostro giornale pubblicò la foto di due vigili costretti a usare sacchi della spazzatura come stivali per farsi largo nell’acqua alta. Al comando di piazza Beccaria sono rimasti per mesi senza bagni con i lavori bloccati. Del resto si dice che negli ultimi mesi Ciacci si sia fatto vedere poco, più impegnato in palestra che sulle strade. Quando Milano nel luglio del 2023 fu spazzata via da una tempesta (caddero più di 5.000 alberi) il comandante era al concerto di Bruce Springsteen.
La Regione Puglia rinnova il mobilio. E l’appalto va ai fratelli di Emiliano
Arriva un momento nella vita di ciascun padrone di casa in cui decide che è giunto il momento di rinnovare il mobilio. E così ha fatto anche Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia dal 2015, che, come ha riportato ieri il Corriere del Mezzogiorno, ha arredato l’area ristoro e la biblioteca del Consiglio regionale con un appalto da oltre 41.000 euro, affidato alla Emiliano srl. Curioso, visto che si tratta proprio dell’azienda fondata nel 1969 dal babbo di Emiliano, Giovanni, e ora gestita dai fratelli Alessandro e Simonetta. «La Emiliano affianca da oltre cinquant’anni i propri clienti nella progettazione, realizzazione ed assistenza tecnica di attività commerciali e locali legati alla ristorazione, al food retail e alla grande distribuzione», si legge sul sito della società.
Gli arredi, già collocati nel luglio scorso, comprenderebbero la fornitura di: quattro tavolini rotondi, due divani da due posti (colore blu, di materiale similpelle ignifugo), 13 sedie, due tavolini d’attesa di diverse misure (59x25 centimetri l’uno e 42x45 centimetri l’altro), un forno a microonde, un frigorifero ad incasso a due porte e un mobile di servizio creato su misura. Il tutto per l’area ristoro. Per la biblioteca invece sono inclusi quattro divanetti e altrettante poltrone con struttura in legno e rivestimento in ecopelle di vario colore e due tavolini.
Scrive il Corriere del Mezzogiorno: «Nell’elencare le ragioni che hanno portato alla trattativa diretta il documento spiega che “il soggetto, Emiliano srl, ha elaborato la propria migliore offerta, pari ad un ribasso in percentuale dell’1%, da applicare all’importo totale della prestazione da espletare, non considerando soggetti a ribasso il costo della manodopera ed i costi della sicurezza. Nell’offerta economica l’operatore ha indicato, a pena di esclusione, i costi della manodopera, pari a 660 euro e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro pari a 150 euro”». E, oltre alla determinazione dirigenziale della Regione, sul sito Internet del Consiglio regionale figura anche il provvedimento del pagamento emesso lo scorso 28 agosto: «Determina di liquidare e pagare la complessiva somma di 41.016,88 euro (di cui 7.396,48 euro da versare all’erario) come fattura elettronica del 30 luglio 2024 avente importo complessivo pari a 41.016,89 euro che trova copertura sull’impegno di spesa sopra citati, in favore di Emiliano srl, con imputazione della predetta spesa sul bilancio di previsione del corrente esercizio finanziario».
Eppure la Regione Puglia non è nuova a forme di spese controverse come questa. Nel 2020, durante la pandemia, Emiliano avviò la costruzione di un ospedale d’emergenza alla Fiera del Levante di Bari utilizzando 30 milioni di euro di fondi pubblici. Il progetto si era rivelato un disastro finanziario e giudiziario, con costi che erano lievitati a 31 milioni; altri 5 milioni sono stati poi necessari per lo smantellamento, dato che la struttura è ora in stato di abbandono.
L’inchiesta della Procura di Bari ha rivelato che l’appalto, inizialmente previsto per 9 milioni, era stato assegnato tramite un sorteggio irregolare a sei ditte, con successivi ordini di servizio che avevano fatto salire i costi. Nonostante la Cobar di Altamura, vincitrice dell’appalto, non avesse esperienza in edilizia sanitaria, aveva ricevuto il massimo punteggio nella valutazione dell’esperienza e le attrezzature erano state acquistate a prezzi molto superiori rispetto al valore di mercato, come un tomografo per la Tac pagato 650.000 euro anziché 250.000.
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Riduci
A Milano il sindaco Beppe Sala certifica il suo fallimento sul fronte sicurezza e dà il benservito al comandante della polizia locale Marco Ciacci, già «commissariato» con l’arrivo in città di Franco Gabrielli. Da tempo gli agenti contestano turni e condizioni di lavoro precarie.In Puglia l’azienda fondata dal papà del governatore Michele Emiliano arrederà l’area ristoro e la biblioteca della sede regionale.Lo speciale contiene due articoli Beppe Sala certifica il fallimento della sua amministrazione nel garantire la sicurezza dei cittadini di Milano. Marco Ciacci, comandante della polizia locale dal 2017 e confermato due anni fa, lascerà l’incarico prima della fine dell’anno. A dargli il benservito è stato proprio il sindaco. L’esito era quasi scontato, dopo l’arrivo lo scorso anno dell’ex capo della polizia Franco Gabrielli, nominato come delegato di Sala per la sicurezza e la coesione sociale. Di fatto l’arrivo di Gabrielli (sarà lui a indicare il sostituto) era già stato una sorta di commissariamento, tanto che a gennaio fu l’ex capo della polizia a snocciolare i dati sui reati. Spiegò che nell’arco di più di dieci anni gli omicidi erano calati ma erano aumentati i borseggi (+25%) e soprattutto le rapine in strada (+50%). Numeri che dovevano smentire il rischio sicurezza in città, ma che suonarono come campanello d’allarme soprattutto per i vigili urbani. Ciacci quindi se ne va. Lasciandosi dietro non poche polemiche e soprattutto macerie nella gestione di un corpo di polizia che prima del suo arrivo aveva funzionato perfettamente. I sindacati (Sulpl, Uilfpl e Usb) da almeno un anno sono sul piede di guerra. Lo stato di agitazione è perenne. Vengono indetti scioperi ormai ogni due mesi con relativo blocco degli straordinari. E la partecipazione è talvolta superiore al 50%. Tutto ruota intorno ai coefficienti di uscita dai turni serali e notturni. Oggi i ghisa che sommano un’età anagrafica e un’anzianità di servizio pari a quota 60 smettono di fare le notti; e lo stesso discorso vale per le sere, con l’asticella che si alza a 70. Un meccanismo che per il Comune ha eccessivamente ridotto il numero di agenti che possono svolgere quel tipo di turni, con conseguente diminuzione delle pattuglie in servizio. Da qui la decisione di scardinare in parte quel meccanismo e di introdurre un criterio solo anagrafico per gli iscritti post 2017. Sarebbe bastato un piccolo accordo, ma non c’è stato verso. Così la sera le pattuglie che circolano sono sempre di meno. Si tratta di un passo indietro evidente, dal momento che nel 2015 la vecchia gestione di Antonio Barbato era arrivata a disporre di oltre 300 unità di polizia locale dedicate, senza soluzione di continuità. Certo, ci furono frizioni e discussioni sindacali anche all’epoca, in particolare sugli straordinari, ma poi una soluzione fu trovata. Da un anno invece né il sindaco né il comandante Ciacci sono riusciti a tamponare la situazione. In questo modo però la città resta scoperta, soprattutto di notte. Che l’insediamento di Ciacci non sarebbe stato così gradito in piazza Beccaria, sede della locale, lo si era capito subito. La giunta si trovò costretta ad aspettare il via libera del ministero degli Interni utilizzando una norma per motivate esigenze organizzative, D’altra parte, la nomina stessa nel 2017 non passò inosservata. Per far spazio all’ex responsabile (dal 2003 al 2017) della sezione di Polizia Giudiziaria della Procura, infatti, fu allontanato l’ex comandante Antonio Barbato che era finito in un’inchiesta della Dda dove non fu mai indagato. In pratica, Barbato finì in un procedimento della Procura per far posto a chi aveva lavorato per 14 anni con la stessa Procura. Caso vuole che, proprio in quegli anni, sotto indagine della stessa magistratura milanese ci fosse lo stesso Sala, accusato di turbativa d’asta sul maxiappalto per la Piastra dei Servizi di Expo. Alla fine, anche l’indagine sul primo cittadino fu archiviata e Ciacci si ritrovò subito a dover affrontare una vicenda spinosa legata all’ex pm Ilda Boccassini. Il 3 ottobre del 2018 Alice, figlia della storica toga milanese, travolse e uccise un pedone. La donna patteggiò nove mesi, e si vide la patente ritirata per due anni. Dopo un esposto a Brescia e relativa indagine per presunti favoreggiamenti, Ciacci fu assolto dalle accuse di abuso d’ufficio. Eppure, quella vicenda si trascinò per anni lasciando un lungo strascico di polemiche. Dopo la denuncia della sua presenza sull’incidente della Boccassini, infatti, la polizia locale di Milano, capitanata dallo stesso Ciacci, indagò Barbato per frode nelle forniture dopo aver ricevuto una lettera anonima. A questo si aggiunge che lo stesso Barbato (che fu demansionato dopo aver retto il corpo durante la stagione del terrorismo islamico) è stato denunciato penalmente e civilmente da Sala e Ciacci per le sue dichiarazioni contro l’assunzione dell’ex numero uno della polizia giudiziaria di Milano. Ma a lato degli incroci tra palazzo Marino e la procura, bisogna segnalare anche le criticità che molti agenti hanno dovuto affrontare in questi anni. Lo scorso novembre, dopo l’ennesima inondazione per le forti piogge, il nostro giornale pubblicò la foto di due vigili costretti a usare sacchi della spazzatura come stivali per farsi largo nell’acqua alta. Al comando di piazza Beccaria sono rimasti per mesi senza bagni con i lavori bloccati. Del resto si dice che negli ultimi mesi Ciacci si sia fatto vedere poco, più impegnato in palestra che sulle strade. Quando Milano nel luglio del 2023 fu spazzata via da una tempesta (caddero più di 5.000 alberi) il comandante era al concerto di Bruce Springsteen. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/milano-sicurezza-puglia-spreco-soldi-2669172676.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-regione-puglia-rinnova-il-mobilio-e-lappalto-va-ai-fratelli-di-emiliano" data-post-id="2669172676" data-published-at="1726134433" data-use-pagination="False"> La Regione Puglia rinnova il mobilio. E l’appalto va ai fratelli di Emiliano Arriva un momento nella vita di ciascun padrone di casa in cui decide che è giunto il momento di rinnovare il mobilio. E così ha fatto anche Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia dal 2015, che, come ha riportato ieri il Corriere del Mezzogiorno, ha arredato l’area ristoro e la biblioteca del Consiglio regionale con un appalto da oltre 41.000 euro, affidato alla Emiliano srl. Curioso, visto che si tratta proprio dell’azienda fondata nel 1969 dal babbo di Emiliano, Giovanni, e ora gestita dai fratelli Alessandro e Simonetta. «La Emiliano affianca da oltre cinquant’anni i propri clienti nella progettazione, realizzazione ed assistenza tecnica di attività commerciali e locali legati alla ristorazione, al food retail e alla grande distribuzione», si legge sul sito della società. Gli arredi, già collocati nel luglio scorso, comprenderebbero la fornitura di: quattro tavolini rotondi, due divani da due posti (colore blu, di materiale similpelle ignifugo), 13 sedie, due tavolini d’attesa di diverse misure (59x25 centimetri l’uno e 42x45 centimetri l’altro), un forno a microonde, un frigorifero ad incasso a due porte e un mobile di servizio creato su misura. Il tutto per l’area ristoro. Per la biblioteca invece sono inclusi quattro divanetti e altrettante poltrone con struttura in legno e rivestimento in ecopelle di vario colore e due tavolini. Scrive il Corriere del Mezzogiorno: «Nell’elencare le ragioni che hanno portato alla trattativa diretta il documento spiega che “il soggetto, Emiliano srl, ha elaborato la propria migliore offerta, pari ad un ribasso in percentuale dell’1%, da applicare all’importo totale della prestazione da espletare, non considerando soggetti a ribasso il costo della manodopera ed i costi della sicurezza. Nell’offerta economica l’operatore ha indicato, a pena di esclusione, i costi della manodopera, pari a 660 euro e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro pari a 150 euro”». E, oltre alla determinazione dirigenziale della Regione, sul sito Internet del Consiglio regionale figura anche il provvedimento del pagamento emesso lo scorso 28 agosto: «Determina di liquidare e pagare la complessiva somma di 41.016,88 euro (di cui 7.396,48 euro da versare all’erario) come fattura elettronica del 30 luglio 2024 avente importo complessivo pari a 41.016,89 euro che trova copertura sull’impegno di spesa sopra citati, in favore di Emiliano srl, con imputazione della predetta spesa sul bilancio di previsione del corrente esercizio finanziario». Eppure la Regione Puglia non è nuova a forme di spese controverse come questa. Nel 2020, durante la pandemia, Emiliano avviò la costruzione di un ospedale d’emergenza alla Fiera del Levante di Bari utilizzando 30 milioni di euro di fondi pubblici. Il progetto si era rivelato un disastro finanziario e giudiziario, con costi che erano lievitati a 31 milioni; altri 5 milioni sono stati poi necessari per lo smantellamento, dato che la struttura è ora in stato di abbandono. L’inchiesta della Procura di Bari ha rivelato che l’appalto, inizialmente previsto per 9 milioni, era stato assegnato tramite un sorteggio irregolare a sei ditte, con successivi ordini di servizio che avevano fatto salire i costi. Nonostante la Cobar di Altamura, vincitrice dell’appalto, non avesse esperienza in edilizia sanitaria, aveva ricevuto il massimo punteggio nella valutazione dell’esperienza e le attrezzature erano state acquistate a prezzi molto superiori rispetto al valore di mercato, come un tomografo per la Tac pagato 650.000 euro anziché 250.000.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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