2019-01-07
«Miei cari colleghi, Mattarella non è il capo dell’opposizione»
Il quirinalista del Tg 2, Luciano Ghelfi: «È assurdo pretendere che il Capo dello Stato non firmi le leggi. Si può lavorare al Colle senza fare i lacchè: lo stipendio me lo paga chi versa il canone...».Quasi ogni sera Luciano Ghelfi entra nelle case degli italiani dagli schermi del Tg2: lo ha fatto per oltre 20 anni raccontando la giornata politica, e da tre come inviato al Quirinale. Nella settimana in cui i riflettori sono stati maggiormente puntati sul Colle, ha accettato di conversare con La Verità.Ti sono largamente riconosciute qualità di correttezza ed equilibrio. Allora è possibile fare il quirinalista senza indossare il cappello da corazziere…«Penso di sì. È una questione di onestà intellettuale: essere leali al telespettatore, e insieme rendersi conto che si sta gestendo l'informazione sulla carica più importante e delicata del nostro ordinamento».Ma arrivando al Quirinale trovi già colleghi quirinalisti che si alternano ai corazzieri nei vari turni? Scherzi a parte, senza fare nomi, non ti pare che a volte il racconto sia esageratamente zelante verso l'inquilino del Palazzo? «Eh, ci sono tanti modi di interpretare il ruolo, e ognuno è ovviamente libero di scegliersi il proprio…».Ok, non attacchiamo i tuoi colleghi. Però sinceramente, che dobbiamo pensare quando, su tre quotidiani, in tre servizi sul Quirinale, leggiamo gli stessi concetti con le stesse parole? È telepatia o qualcuno ha fatto girare una velina?«No, ovviamente non è telepatia. È chiaro che dietro c'è un lavoro di contatto con i collaboratori del presidente per avere chiavi di lettura, che poi alcuni interpretano in modo più zelante… Però devo dirti che a volte qualche conferma è necessaria: quindi è evidente che un'interlocuzione c'è». È complicato destreggiarsi rispetto all'ufficio stampa del Colle? «È un gioco delle parti, ognuno fa il suo mestiere. Credo di avere un rapporto di reciproco rispetto: tengo conto delle informazioni che ricevo, ma mi sento fedele solo ai telespettatori. Non dimentico che il mio stipendio è pagato con i soldi del canone. Non a caso evito aggettivi. Cerco semmai di contestualizzare ciò che dice il presidente e di avere memoria storica».È chiaro che ci saranno state occasioni in cui l'ufficio stampa del Colle sarà stato meno contento. Ma in fin dei conti non pensi che sia ritenuto più credibile un cronista corretto ma libero, rispetto a qualche retroscenista-postino?«Anch'io la penso così. Devo anche dirti che non mi è mai stato fatto pesare un eventuale pezzo meno gradito di altri».Come giudichi il tentativo di sinistra e giornaloni di trasformare Sergio Mattarella nel capo dell'opposizione? Non ti pare un po' grossolano?«Condivido. Tra l'altro non è che Mattarella nel discorso di fine anno abbia detto cose così diverse dal passato. Parlare di “svolta contro il governo" mi sembra una forzatura». E la pantomima su qualunque legge o decreto: «Sergio, non firmare»? E poi invece lui firma…«Non ho mai abboccato a questa scenetta. E non mi sono mai pronunciato per dire che avrebbe o non avrebbe firmato prima che lo facesse l'interessato. Tra l'altro nel 2017 dichiarò pubblicamente che, secondo la sua interpretazione, lui può negare la firma solo se c'è una palese violazione della Costituzione. Anche l'idea, veicolata da alcuni, che lui non avrebbe firmato la legge di bilancio dopo che aveva spinto per l'interlocuzione con Bruxelles, mi era sempre sembrata lunare…».Post 4 marzo. Il Quirinale diede mandato a Roberto Fico di esplorare l'ipotesi M5s-Pd, a Elisabetta Alberti Casellati (forse con meno convinzione) di esplorarne altre, poi ci fu il fantasma di Carlo Cottarelli per una notte prima di arrivare a Giuseppe Conte. Secondo te perché non fu dato mandato a Matteo Salvini di cercare una maggioranza di centrodestra? Era un'opzione sgradita al Colle?«Ma non c'erano i numeri…».Sarebbe stato un problema di Salvini. Perché non farlo tentare?«Fu fatto valere il precedente di Giorgio Napolitano rispetto a Pier Luigi Bersani, che ebbe solo un preincarico e non un incarico pieno proprio in mancanza di numeri. E poi, a quanto mi risulta, l'incarico a Salvini al buio era un'ipotesi gradita a Silvio Berlusconi più che a Salvini stesso. Per lui non sarebbe stato il massimo, credo, andare a cercarsi i voti…».La tv è fatta di immagini. Come funzionano le riprese che riguardano il capo dello Stato? «La Rai ha una convenzione con la presidenza, e funziona quasi da tv ufficiale. Un operatore Rai, che è a sua volta un giornalista, segue da vicino il capo dello Stato e poi siamo noi come Rai a fornire le immagini alle altre emittenti. L'ufficio stampa del Quirinale produce anche video, ma in prevalenza si avvale di immagini Rai».Quanto è forte il rischio di preoccuparsi troppo delle reazioni degli inquilini del Palazzo e poco dei telespettatori? «È doveroso porsi il problema di aver reso correttamente il punto di vista dell'interessato, nel mio caso ciò che il presidente ha voluto dire. Fatto questo, l'altro dovere è fornire al telespettatore gli elementi per farsi un suo giudizio, per condividere o dissentire». S'incazzano quelli che non vengono citati, o che magari sono citati più brevemente di altri? Alla fine di ogni servizio è un supplizio per te aprire sms e Whatsapp? Ti tempestano?«Per paradosso al Quirinale è più facile, perché l'interlocutore apicale è uno solo. Anche i suoi collaboratori potranno magari essere contenti se passa una loro immagine, ma nessuno si lamenta se non succede. Fuori invece…».Ricordi episodi del passato particolarmente spiacevoli? «Uhhh, qualche episodio c'è stato. A volte anche cose banalissime: non hai citato uno, ma ne hai fatto vedere le immagini, e a quello non è andato bene… È complicato».Ma davvero qualcuno pensa che con una citazione in più in un pastone cambino le sue sorti elettorali?«Tragicamente la risposta è: sì». Che consiglio daresti a un leader politico rispetto alle sue presenze tv? «Di essere continuo, ma senza esagerare. Ovviamente non deve sparire per tre mesi, ma neanche ricercare una presenza ossessiva, se si tratta di un leader di medio calibro o in crescita. Discorso diverso (ma sono solo tre o quattro) per i pochissimi che sono obbligati a comparire tutti i giorni».E ai telespettatori per decifrare quello che vedono? Facci un vademecum. Partiamo dalle immagini: quand'è che un leader viene «trattato bene»?«Ah beh, è trattato bene chi viene ripreso o in pose ufficiali o soprattutto in atteggiamenti particolarmente umani: in mezzo alla gente, strette di mano, applausi. È facile capire da un'immagine se invece uno è trattato male…».Passiamo alle domande. Come ti organizzi?«Le interviste vanno preparate. Devi ragionare sulle domande: puoi porre la stessa questione in modo diverso, e ottenere o una risposta anodina o una molto efficace, e dipende in buona misura dall'intervistatore. E a volte vanno preparate anche con l'intervistato, e non è una questione di contiguità: puoi lo stesso essere spigoloso o duro. Ma le cose vanno pensate: contrariamente a quanto uno può immaginare, è rarissimo che una domanda posta a bruciapelo porti a una risposta che faccia notizia».Come ti poni rispetto alla soglia di attenzione degli spettatori? Recenti ricerche sono terrificanti: pochi secondi e l'attenzione crolla.«Intanto la lunghezza dei servizi è drasticamente ridotta rispetto al passato. E poi devi usare molti strumenti: un montaggio veloce, molti cambi di inquadratura, alternare la tua voce con quella dell'intervistato, ma senza che il sonoro sia troppo lungo, 20 secondi sono un tempo enorme, altrimenti l'attenzione cala inevitabilmente…».Talk a tutte le ore. Costano niente, i politici si prestano. Ma non c'è il rischio che si perda la «solennità» e la forza di un messaggio?«È così. È la forma più economica per fare tv. Ma non tutti i politici sono autorevoli allo stesso modo, e - spiace dirlo - non tutti hanno cose da dire. Poi io aggiungo una forte perplessità su certe risse e pollai…».Ovvio che ogni leader è diverso dagli altri. Ma secondo te hanno tempo per pensare, per elaborare una visione, o rischiano di seguire l'onda emozionale del momento, essere più follower che leader?«Io credo che i leader più avveduti abbiano una strategia in testa: può risultare ostico decifrarla, ma c'è. E anche i diversi strumenti sono ormai integrati tra loro: la diretta Facebook è un modo anche per andare in tv e sui media tradizionali».Che futuro ha la tv generalista? Per anni avevano detto che era spacciata. «Sarà ancora protagonista per molto tempo. È il modo più efficace per raggiungere il grande pubblico, specie la fascia di età più elevata, non sempre digitalmente alfabetizzata. Chiaro che invece sui giovani andrebbe fatta una riflessione: sono padre di due figlie, di 16 e 19 anni, e so che loro la tv non la toccano praticamente…».E la Rai? L'invadenza dei partiti (in tutte le stagioni) ti consente di respirare? «La Rai resta centrale. A volte si dice: troppi tg. Ma quando in altri Paesi ci si è chiesti come mai la Rai continui ad avere il maggior share complessivo tra i servizi pubblici europei, è venuto fuori che dipende anche da un'offerta informativa diversificata. Il pluralismo è un bene non solo dal punto di vista democratico, ma pure da quello degli ascolti».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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