2023-06-05
«Il mio successo grazie alla musica. Quella volta tra Berlusconi e De Benedetti»
True
Francesco Micheli sorride e nello sguardo ha ancora quel lampo vivido, che l'ha reso per tanti anni uno dei padroni della finanza italiana.Leggi l'intervista completa su veritaeaffari.it.Micheli come sta?«Un tempo quando mi facevano questa domanda rispondevo sempre: “Benissimo”. Adesso dico: “Credo bene”. Ma solo per scaramanzia, tenuto conto che lo stato di buona salute non promette niente di buono».Francesco Micheli, 86 anni, sorride e nello sguardo ha ancora quel lampo vivido, che l’ha reso per tanti anni uno dei padroni della finanza italiana. Il leone di Piazza Affari, protagonista della scalata alla Bi Invest di Carlo Bonomi, nel 1985, e alla Fondiaria. Che ha messo il turbo alle connessioni internet nelle case con e.Biscom-Fastweb nel 2000. Che ha fondato la casa d’aste Finarte e che nel 2003 Genextra con Umberto Veronesi per investire nelle terapie innovative. Ma che ha sempre coltivato le sue passioni per la musica (è nel cda del teatro La Scala e ha ideato la manifestazione culturale MiTo). E per la politica. Un leone, si diceva, ancora in grado di ruggire.Non si gode la pensione?«Certo, ma continuo a fare tutto quello che ho sempre fatto. Però la responsabilità gestionale delle aziende oggi ce l’hanno i miei figli, di cui ho il massimo della fiducia».E lei si dedica alla cultura e alla musica, le sue passioni da sempre.«Sono sempre stato impegnato nella cultura. Sono nato in una famiglia in cui non si sapeva la differenza tra titoli azionari e obbligazionari, ma nella quale si amava l’arte in tutte le sue forme. Mio padre era musicista, insegnava al Conservatorio di Milano. Mia madre era la sua allieva. Era una donna estremamente concreta e mi ha insegnato una delle cose che mi sono servite di più: l’importanza nella vita del network, della rete di persone di qualità. Da bambino mi iscrisse in quella che allora era la scuola più prestigiosa di Milano, il San Carlo, dove conobbi tanti ragazzi figli dei potenti. Non scelsi la carriera musicale, perché mia madre diceva che di musicista in famiglia ne bastava già uno. Ma se mi è andata spesso bene nelle varie iniziative che ho intrapreso lo devo, mi creda, proprio alla musica».E questo l’ha insegnato anche ai suoi figli?«Ma senza mai spingerli. Infatti, nessuno ha studiato musica. Qualsiasi cosa all’inizio è una fatica terribile. Il bello viene quando si riesce a farla, come quando s’impara ad andare in bicicletta. Sbaglia chi spinge i figli a fargli fare lo stesso mestiere dei genitori, specie se hanno un’aziendina. Magari non è quella la loro strada. Poi i giovani di oggi sono estremamente penalizzati. Non c’è più ascensore sociale, le porte sono strette, i vecchi non mollano e si sta troppo concentrati su questi apparecchi: i cellulari».Lei ha provato tantissimi lavori prima di trovare la sua strada. «Darsi da fare era un imperativo categorico. Ho fatto tutti i mestieri possibili, pur avendo da mangiare in casa. Ai tempi del liceo facevo lo scrutatore del Totip, la comparsa alla Scala, vendevo lubrificanti ed elettrodomestici. Allora c’era una fabbrica che si chiamava Blanka. Nel frattempo, chissà che è diventata».Poi gli inizi come agente di cambio a Piazza Affari.«Andavo a scuola con il figlio di Aldo Ravelli, che allora era un personaggio mitico della finanza. Uno che ha corrotto un kapò quando l’hanno messo a Mauthausen, parlando in dialetto ospiatese, un comune della provincia di Milano. Aveva fatto capire a questo kapò che lui era ricco e che se gli avesse dato una mano a sopravvivere lo avrebbe ricompensato. Quando ho cominciato a lavorare da Ravelli, appena finito il liceo, l’ho anche conosciuto. Si chiamava Frick e veniva a prendere la paghetta, perché Aldone, come lo chiamavamo tutti, non glieli aveva dati tutti insieme i soldi».Erano gli anni Sessanta, la Borsa era parecchio diversa da quella di oggi.«Ho lavorato alla cosiddetta Borsa gridata, come quella che si vede in un film di Michelangelo Antonioni. Era un mondo di cui non capivo assolutamente niente, perché se mi si pungeva un braccio non veniva fuori il sangue, ma crome e biscrome, le note musicali per intenderci. I primi giorni furono impressionanti. Palazzo Mezzanotte. Un migliaio di persone che urlavano come dei pazzi. Tutti che fumavano. Il cartellone con le quotazioni certe volte quasi non si vedeva per il fumo. Non so come ho raggiunto questa età dopo aver respirato per 9 anni quell’aria. Lì ho capito i meccanismi della finanza».Ravelli veniva anche chiamato il Re Mida di Piazza Affari.«Era temuto per la sua potenza finanziaria, ma soprattutto perché era un ribassista e non un rialzista. Allora in Borsa non c’erano computer. Era un far west, ma paradossalmente più serio. Perché oggi basta riempire carte e documenti e poi uno può fare quello che vuole. Vedi Madoff in America. Mentre allora, se sgarravi, non è che ti tagliavano la gola. Non ti consideravano. In quell’enorme stanzone, dove tutto era solo sulla fiducia, si faceva semplicemente finta di non sentire più quello che sgarrava. Quando ho iniziato a lavorare, lui mi ripeteva: “Mi dovresti pagare tu perché io ti insegno”. Poi dopo tre mesi mi ha detto: “Sei bravo”. E mi ha dato un rotolo di banconote. Da lui ho imparato come fare il ribassista, che è un modo più difficile di lavorare sull’azionario, ma che arricchisce molto di più: al rialzo tutti guadagnano, ma al ribasso, solo tu. È ovvio che poi eseguire gli ordini per conto di terzi, come agente di cambio, non mi interessasse più».Il grande salto nel 1985 con la scalata a Bi Invest della storica famiglia milanese Bonomi.«Fu un’operazione epocale, perché era la prima volta che avveniva una scalata in Italia. Chi aveva le aziende quotate in Borsa, fino ad allora cercava di non far scendere troppo il prezzo delle azioni per la paura di essere scalati. E di non farlo salire troppo se no altrimenti venivano vendute allo scoperto. Tutti sapevano che questa operazione sarebbe stata fatta, ma nessuno aveva il coraggio di farla, perché Bi Invest faceva parte del salotto buono di Mediobanca».Con Enrico Cuccia ebbe un rapporto conflittuale.«Con Cuccia all’inizio abbiamo lavorato spalla a spalla. Ma lui era il massimo protagonista del conflitto d’interessi. Lavorava contemporaneamente per i due padroni dell’Italia: Gianni Agnelli, che stava con Giulio Andreotti, e Eugenio Cefis, che stava con Amintore Fanfani. Avevamo delle impostazioni di pensiero diverse, ma io lo ammiravo moltissimo, perché, seppur diabolico, era colto ed estremamente intelligente».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.