2021-03-23
Mentre lo Stato pensa di alzare l’Imu i Comuni cedono concessioni in saldo
Pronta una legge che permette ai sindaci di aumentare le aliquote. Per rimpolpare i bilanci, però, si potrebbe eliminare la prelazione delle società di Tlc sui terreni in cui sorgono impianti e «affittarli» a prezzi maggioriSchizofrenia curiosa. C’è qualcuno, in Parlamento, che lavora per consegnare ai Comuni un’ennesima pistola (fiscale) carica da usare contro i proprietari di immobili, come se già non bastassero i 22 miliardi annui di patrimoniale immobiliare. Contemporaneamente, però, le istituzioni non sembrano prestare particolare attenzione a un fenomeno che va allargandosi, e cioè a contratti che consentono a operatori delle telecomunicazioni un sistematico uso del diritto di prelazione nell’acquisto di terreni (anche comunali, non solo di privati), spesso imponendo prezzi al ribasso, e determinando sia una restrizione della concorrenza sia un danno economico ai Comuni stessi. Procediamo con ordine. La prima insidia è in Parlamento: si tratta di un testo base di disegno di legge in materia di rigenerazione urbana. È ipotizzabile (e auspicabile) che la proposta, attualmente in discussione al Senato, non faccia troppa strada, ma il problema è che, accanto a misure di incentivo, l’ipotesi di leggina prevede la possibilità che le amministrazioni comunali alzino le aliquote Imu su «unità immobiliari o edifici inutilizzati o incompiuti da oltre cinque anni». Ora, per evidenti ragioni, l’esperienza insegna che consegnare a un sindaco e a un assessore all’Economia di un Comune una pistola carica li indurrà a usarla. E contro questa prospettiva ha giustamente alzato un preventivo fuoco di sbarramento il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, che per primo ha sollevato il caso su Twitter: sarebbe veramente una beffa un aumento di tasse sugli immobili che i proprietari non riescono a utilizzare o ad affittare. Come se un aumento di tasse potesse essere un buon viatico per investimenti di riqualificazione: una logica inspiegabile, prima ancora che perversa e illiberale. Del resto, è da tempo che anche diversi sindaci si lasciano andare a dichiarazioni a dir poco curiose: «Da settembre via al censimento del centro storico e quello ci farà vedere chi ci abita davvero», ha detto il primo cittadino di Firenze Dario Nardella. E ancora: «Se ci vivi, bene, sennò paghi l’Imu. Ho disposto maggiori controlli fiscali. Ma penso anche a manovre più ambiziose: abbassare l’Imu seconda casa a chi affitta per un medio lungo periodo e non fa affitti brevi. E aumentarla a chi la lascia sfitta chiedendo una norma statale». Come se non riuscire ad affittare un immobile, oppure utilizzarlo per locazioni turistiche brevi, fossero due colpe da punire. Stupisce che, a fronte di questo incessante lavorio tassatorio, le istituzioni (in questo caso, più che il Parlamento, altri soggetti, a partire dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato) sembrino non dedicare sufficiente attenzione a un altro fenomeno, che porta alla svendita o comunque alla mancata valorizzazione di asset pubblici comunali. Tutto nasce dai contratti con cui i Comuni cedono in concessione a operatori delle telecomunicazioni terreni e immobili da utilizzare per impianti telefonici, di comunicazione e usi simili: fenomeno di per sé interessante e positivo, sia chiaro. Spesso sono contratti molto lunghi, com’è naturale per questo genere di attività.Ma il problema è che sempre più spesso in queste intese il soggetto concedente (nel caso di proprietà pubblica, si tratta di un Comune, in genere) si vincola a non vendere se non avendo prima concesso l’esercizio del diritto di prelazione al concessionario. Risultato? Tale uso discutibile della prelazione fa dei soggetti concessionari gli unici competitori in campo, di fatto acquisendo con prezzi al ribasso. Ciò produce una oggettiva restrizione della concorrenza: e l’Authority (in una logica volta a occuparsi non solo di operatori ma di ogni possibile restrizione del mercato) potrebbe utilmente valutare di occuparsene, forse anche prendendo in considerazione una ipotesi di sterilizzazione della prelazione. Anche vista nell’ottica di un Comune, la cosa è discutibile: un’interpretazione severa potrebbe perfino far ipotizzare un eventuale danno erariale da parte di amministratori che accettino questo modus operandi, rinunciando alla possibilità di vendere meglio, in una competizione più aperta e libera. Resta dunque la contraddizione che si sottolineava all’inizio. Da un lato, si continuano a minacciare aumenti di tasse a danno di cittadini e proprietari, mentre dall’altro non si fa il possibile per indurre i Comuni a valorizzare (ed eventualmente vendere meglio) i propri asset.
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