Nonostante lo stop ai licenziamenti, l'Italia ha bruciato in un anno 444.000 posti di lavoro (101.000 solo a dicembre). E in 482.000 rinunciano a cercarlo. Intanto il piano di Domenico Arcuri per la profilassi è un flop: serviranno 7 anni. Ma il suk delle poltrone non si ferma.
Nonostante lo stop ai licenziamenti, l'Italia ha bruciato in un anno 444.000 posti di lavoro (101.000 solo a dicembre). E in 482.000 rinunciano a cercarlo. Intanto il piano di Domenico Arcuri per la profilassi è un flop: serviranno 7 anni. Ma il suk delle poltrone non si ferma.Mentre è in corso un tentativo di respirazione bocca a bocca per tenere in vita una legislatura morente, l'Italia va a rotoli. Sì, nelle stesse ore in cui Sergio Mattarella, con la collaborazione di Roberto Fico e la compartecipazione di esimi esperti come Matteo Renzi, Nicola Zingaretti e Giuseppe Conte (Luigi Di Maio, come sempre resta a guardare), provano qualsiasi tipo di trattamento per scongiurare le urne, il Paese è costretto a registrare un generale peggioramento delle proprie condizioni.I primi segnali che l'accanimento terapeutico non sta ottenendo risultati se non una perdita di tempo arrivano dall'Istat, ovvero dall'istituto deputato a vigilare sugli andamenti statistici. Secondo quanto risulta all'ente, nonostante il blocco dei licenziamenti deciso dal governo per far fronte alla crisi economica indotta dalla pandemia, l'Italia ha subìto una perdita di posti di lavoro pesantissima. Nel solo mese di dicembre, ne sono andati in fumo 100.000, ma se si fa un confronto con l'anno precedente all'appello mancano 444.000 contratti, mentre alla fila degli inattivi, ossia di coloro che non lavorano ma che un'assunzione nemmeno la cercano (vuoi perché sono sfiduciati, vuoi perché si accontentano del reddito di cittadinanza e dei vari sussidi statali) si aggiungono 482.000 persone. Le più colpite, a quanto pare, sono le donne, che tra novembre e dicembre 2020 avrebbero perso il posto di lavoro in 99.000. La crisi colpisce invece in eguale misura sia gli autonomi sia i dipendenti e le classi di età, fatta eccezione per chi ha più di 55 anni, a riprova che le cose vanno talmente male che nessuno è risparmiato.Non solo calano i contratti, ma diminuiscono pure le ore lavorate: pro capite, cioè divise per il numero di lavoratori, passano da quasi 32 al mese a meno di 29, con una immaginabile perdita secca di produttività. A dicembre, l'andamento è stato talmente negativo che una nota dell'Istat avverte che la prossima rilevazione, quella di gennaio, non verrà comunicata come d'abitudine il mese successivo a quello computato, ma sarà posticipata al 6 aprile, contestualmente al rilascio del dato di febbraio. Ufficialmente, a far slittare la comunicazione sono motivi tecnici, di aggiornamento del sistema, ma certo è difficile non scorgere nel rinvio anche l'esigenza di non aggravare una situazione politico-economica tesa, per di più con un governo a bagnomaria, che rischia di affogare se già non è annegato.Tuttavia, tra i motivi di preoccupazione non c'è solo il mercato del lavoro, con la drastica riduzione appena segnalata. A questo si aggiunge il caos dei vaccini che, com'era prevedibile dato che la faccenda era stata posta nelle mani del commissario straordinario, Domenico Arcuri, ora sta travolgendo le Regioni. A differenza di ciò che il governo e il suo plenipotenziario assicuravano fino a poco tempo fa, la situazione non è affatto sotto controllo, perché dopo un mese di campagna vaccinale può dirsi completamente vaccinato solo l'1,07% della popolazione, mentre il primo vaccino è stato inoculato a poco più di 2 milioni di italiani. Fino all'altro ieri il governo si gonfiava il petto, sostenendo di avere il primato in Europa per numero di cittadini immunizzati, ma a causa del ritardo nella distribuzione delle dosi, l'Italia negli ultimi giorni si è vista scavalcare da altri e ben più piccoli Paesi e ora anche Germania e Spagna procedono spediti, per non dire di alcuni Paesi extraeuropei come Gran Bretagna e Israele. A questo ritmo, calcolando che in un mese sono state vaccinate appena mezzo milione di persone, per arrivare all'immunità di gregge, ossia all'immunizzazione del 70% della popolazione, ci vorranno sette anni.E che le cose non stiano filando lisce nonostante le dichiarazioni tranquillizzanti del flop manager Arcuri, lo dimostra il disastro registrato nel Lazio, dove il portale delle prenotazioni è collassato, mentre in Campania, come nel resto d'Italia, non sono chiare né le procedure né i tempi per la vaccinazione. Del resto, la task force di vaccinatori che avrebbe dovuto affiancare le strutture ospedaliere con i famosi centri «Primula» ancora non c'è. Le assunzioni di medici e infermieri languono e così pure, come ormai quasi tutti si sono resi conto (perfino il Corriere della Sera ci è arrivato, pubblicando ieri un articolo di Milena Gabanelli), le forniture del materiale sanitario indispensabile, dalle siringhe ai frigoriferi e a tutto ciò che serve per completare il piano vaccinale.E mentre l'occupazione va a ramengo e le misure per proteggere gli italiani dal Covid sono ferme, nel Palazzo si discute del programma, come se non fossero trascorsi invano sette mesi dagli Stati generali e dal piano di Colao meravigliao. Sì, mentre il Paese boccheggia, i partiti della maggioranza fanno bocca a bocca, continuando a scannarsi sulle poltrone. Forse Italia viva ce la farà a guadagnare uno strapuntino in più, ma l'Italia morente difficilmente perdonerà questa classe politica cinica e incapace.
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