2023-01-12
Meloni: «Scelta di giustizia sociale. Risorse dirette a chi ha più bisogno»
Il premier fornisce una spiegazione plausibile al mancato intervento per calmierare il prezzo del carburante. Diverse le promesse fatte in campagna elettorale. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin: «Valuteremo in sede di riforma fiscale».Questa volta Giorgia Meloni non convince pienamente neanche i suoi followers: la spiegazione al mancato taglio delle accise sulla benzina, affidato dal premier a una puntata speciale del suo format «L’agenda di Giorgia», in onda ieri sui suoi canali social, viene commentata in modo meno entusiastico del solito. Il motivo dello scetticismo? Non è tanto la decisione presa dalla Meloni, che fornisce una spiegazione plausibile alla scelta del governo di non intervenire per calmierare il prezzo del carburante, ma le promesse fatte in campagna elettorale e soprattutto quelle dei bei tempi dell’opposizione, quando si poteva dire qualsiasi cosa non avendo responsabilità di governo.Proprio un video del 2019 nel quale la Meloni si ferma al distributore e dice: «Pretendiamo che le accise vengano progressivamente abolite», che sta girando vorticosamente sui social negli ultimi giorni, è lo spunto dal quale parte il discorso di ieri della Meloni: «Gira da più parti un video del 2019», spiega la Meloni, «in cui io, facendo benzina con la mia auto, parlavo della necessità di tagliare le accise. E, ovviamente, non avendo il governo deciso di modificare la norma del precedente governo che prevedeva che il taglio delle accise sarebbe terminato alla fine di quest’anno, si è detto che la Meloni è incoerente perché in campagna elettorale promette alcune cose e al governo ne fa altre. Siccome io sono una persona abbastanza seria», puntualizza la Meloni, «non è un caso che quel video sia del 2019 e non di questa ultima campagna elettorale. Sono ancora convinta che sarebbe ottima cosa tagliare le accise sulla benzina. Il punto è che si fanno i conti con la realtà con la quale ci si misura. E non sfuggirà, a chi non ha pregiudizi», aggiunge la Meloni, «che dal 2019 a oggi il mondo intorno a noi è cambiato e purtroppo stiamo affrontando una situazione emergenziale su diversi fronti che ci impone di fare alcune scelte. Quindi io non ho promesso in questa campagna elettorale che avrei tagliato le accise sulla benzina perché banalmente sapevo quale era la situazione di fronte alla quale mi sarei trovata».Volendo cercare il pelo nell’uovo, in realtà nel programma elettorale di Fratelli d’Italia, nel capitolo «Energia pulita, sicura e a costi sostenibili» c’è scritto «Sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise». Trattasi di campagna elettorale, non di un contratto sottoscritto davanti a un notaio, e quindi non è il caso di accanirsi sul punto: fatto sta che la Meloni, probabilmente, avrebbe fatto meglio a non inserire nel programma un impegno di difficilissima realizzazione. Il presidente del Consiglio entra nel dettaglio: «Invece di spalmare 10 miliardi», dice la Meloni riferendosi al costo dell’intervento sulle accise, «abbiamo deciso di concentrare le risorse su chi ne aveva più bisogno. Abbiamo fatto una scelta che rivendico e che è di giustizia sociale. Ci dicono che abbiamo sbagliato i calcoli», aggiunge la Meloni, «io ho sentito di tutto, io il prezzo della benzina lo sto monitorando. Per tagliare le accise non avremmo potuto aumentare il fondo sulla sanità, la platea delle famiglie per calmierare le bollette domestiche, per i crediti delle piccole e medie imprese: tutte queste misure sarebbero state cancellate per prevedere il taglio delle accise. Io sono convinta delle scelte che ho fatto», argomenta il capo del governo, «perché penso che fosse più sensato aiutare chi ha il salario basso, chi non aveva un posto di lavoro, chi non riesce a fare la spesa piuttosto che usare le risorse per consentire diciamo a me, parlo di me, che comunque ho uno stipendio di tutto rispetto, di pagare la benzina di meno. Questo è un governo che deve fare delle scelte». La Meloni ricorda che il governo ha aumentato i controlli sui distributori: «La gran parte dei benzinai è onesta e responsabile», sottolinea la Meloni, «e a tutela loro dobbiamo intervenire. In Consiglio dei ministri abbiamo deciso di rafforzare le norme sanzionatorie per chi non adempie alle comunicazioni previste dalla legge e abbiamo stabilito che ogni benzinaio esponga il prezzo medio giornaliero».Sulla vicenda interviene anche il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, di Forza Italia: rispondendo al question time alla Camera, in merito alla riduzione strutturale delle accise sui carburanti, l’esponente del governo sostiene che «si tratta di una misura di legislatura da valutare con attenzione sulla base dell’andamento dei conti pubblici e sulla base del riordino complessivo delle misure fiscali. Considerati gli aumenti disomogenei sul prezzo del carburante, che si sono registrati da inizio anno», aggiunge Pichetto Fratin, «non tutti strettamente correlati all’eliminazione del taglio delle accise, e valutata la necessità di garantire la massima trasparenza ai consumatori finali, il governo ha approvato un decreto che mira ad attuare una operazione di trasparenza dei prezzi, nonchè a rafforzare i poteri di controllo e sanzionatori del Garante dei prezzi».
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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