2025-08-20
Le mosse e i risultati della Meloni fanno impazzire i rosiconi da salotto
Carlo Calenda, Marcello Sorgi e Angelo Bonelli (Ansa)
Mentre «Le Monde» ammette che Roma conta più di Parigi, la stampa nostrana parla di plagio del premier sull’idea dell’articolo 5. Opposizione e Fnsi si stracciano le vesti: «Gravissimo non dialogare con i media».A Piazza Affari c’è un detto: chi ha i dané ha vinto. È l’articolo quinto: quello invocato da Giorgia Meloni in ambito Nato attraverso cui si è guadagnata gli elogi di Donald Trump e il consenso dei partner europei. Perfino Emmanuel Macron, che ha provato a fare il galletto francese nei colloqui trilaterali di Washington, ha dovuto constatare che l’idea della premier italiana - offrire a Kiev l’ombrello Nato allargando la previsione di intervento, ma senza far entrare l’Ucraina nell’Alleanza - è buona. Glielo ha riconosciuto anche Le Monde (quotidiano della gauche caviar) che ricorda all’inquilino, molto pro tempore, dell’Eliseo che l’Italia va forte anche in economia: «Ai francesi fa male sentirlo, ma agli occhi di gran parte degli investitori, non ci sono più dubbi: l’Italia di Giorgia Meloni è attualmente credibile quanto la Francia in materia di finanze pubbliche. O anche di più». E lo è anche sul piano dell’iniziativa diplomatica se al termine dei colloqui di Washington con Volodymyr Zelensky e l’Europa che conta (o vorrebbe contare sotto l’egida dei «volenterosi») Donald Trump ha detto a Giorgia Meloni: «È una grande leader, d’ispirazione per tanti. Nonostante la giovane età governa da molto, altri non durano come lei. Governerai a lungo». In un Paese normale tali apprezzamenti avrebbero prodotto un consenso unitario: è l’Italia che emerge come protagonista. E invece no. La nostra opposizione si è esercitata nel suo sport preferito: la rosicata. Su due fronti: la Meloni spaccia per sua la proposta sulla Nato ma sua non è e fugge dalla libera stampa. Approfittando di un fuori onda in cui la nostra premier dice: «Io invece non voglio mai parlare con la stampa italiana». La Stampa - si occupa di tutto, ma non della produzione di auto Stellantis che in Marocco ha superato quella italiana - pubblica il video e offre ai rosicatori un pretesto. In quel di Torino avevano già visto i sorci, pardon i Sorgi nel senso di Marcello, verdi per via dell’articolo quinto che loro sospettano non essere farina del sacco di Meloni. Scrive l’ex direttore dell’house organ di casa Elkann: «La condivisione manifestata dal presidente Usa (della proposta sull’articolo quinto ndr.) fa perfino nascere il dubbio che l’uccellino che ha convinto Meloni a impegnarsi su questo progetto potrebbe avere a lungo volato, attraversando l’Atlantico, da una sponda all’altra prima di atterrare a Palazzo Chigi. Si tratterebbe di un primo chiaro esempio di cosa s’intenda quando si assegna un ruolo di mediazione tra l’Europa e gli Usa: una mediazione piuttosto sbilanciata». Insomma la «pensata» di Giorgia Meloni, che ha sbloccato la trattativa tra Trump e Zelensky aprendo al negoziato con Putin non è della premier, ma le è stata suggerita. Lo sostiene anche Nadia Urbinati su Il Domani (Carlo De Benedetti ha sempre copiato la Fiat) che vede «inutile la proposta di Meloni all’ombra degli autocrati». Il Pd - Elly Schlein è afona: deve trattare con Giuseppe Conte sulle regionali che le si stanno mettendo male - ha affidato ad Alessia Morani un commento al veleno: «La Meloni ha mancato di coraggio». Ma Pina Picierno, vicepresidente dell’Eurocamera, ormai dichiaratamente anti Schlein invece dice: «Sono convinta che la presenza del nostro Paese nella coalizione dei “volenterosi” sia un’ottima notizia, rafforza il ruolo dell’Italia e attribuisce maggiore peso all’iniziativa. Quindi bene presidente Meloni era ora». Viene da chiedersi quanti Pd ci sono? A Bondeno - feudo ferrarese di Dario Franceschini - hanno fatto fuori il segretario per una vignetta porno di Trump con Putin. Da quelle parti Catullo scriveva «Rufa Rufulus fellat»! Carlo Calenda - nei giorni scorsi ha fatto un tifo disperato così come Conte ed Elly Schlein perché i colloqui in Alaska e a Washington fallissero - entra in Azione e stigmatizza: «Dire “io non voglio mai parlare con la stampa italiana” a un aspirante autocrate che compila quotidianamente liste di proscrizione dei giornalisti è ancora più grave. Pessima figura». Riccardo Magi di +Europa e meno voti sentenzia: «L’Oscar come peggiore protagonista va a Giorgia Meloni, abbiamo ben capito che Meloni vorrebbe giornalisti compiacenti e stampa adulante». Per Silvia Fergolent (renziana): «Un premier che scappa dai giornalisti scappa anche dai cittadini». Il Pd si affida a Sandro Ruotolo: «Il fastidio di Giorgia Meloni verso i giornalisti non è un dettaglio: rivela un’idea di democrazia debole, autoritaria, figlia di una cultura politica che conosciamo bene». Poteva mancare Angelo Bonelli (Avs)? Eccolo: «Mentre Trump mercifica la pace Giorgia Meloni si sottrae al ruolo che i giornalisti hanno in una democrazia: quello di fare domande e chiedere conto al governo». Il suo sodale Nicola Fratoianni aggiunge: «Tutti buoni e zitti, mentre lei riverisce il capo di turno per fare bella figura». La contiana Barbara Floridia rileva che «c’è la propensione a una comunicazione di mero stampo propagandistico, a senso unico». Non poteva esimersi la Fnsi - il sindacato non più unitario dei giornalisti - che con la segretaria, Alessandra Costante, sottolinea: «Che la presidente del Consiglio non ami i giornalisti e le domande è cosa nota. Ha sostituito le conferenze stampa con monologhi online. Propaganda, non informazione. Una mancanza di rispetto verso la stampa che ha avuto conferma nel vertice con Trump». Quando però Conte con i dpcm impedì l’informazione sul Covid la Fnsi restò muta. Chissà se ora metteranno in croce Paolo Madron: ha intitolato l’editoriale di Lettera 43 «Giorgia Washington».
Simona Marchini (Getty Images)