2021-02-15
Katia Ricciarelli: «Fdi è stato coraggioso. Avrei preferitoche l’Italia votasse»
La cantante lirica: «La Meloni farà bene all'opposizione. Ho lasciato Montecarlo perché è nel mio Paese che voglio stare».Ci sarebbero da festeggiare ancora e per bene i suoi 50 anni di carriera «ma con questo clima… vorrà dire che farò festa per i prossimi 50». Da cantante lirica ha raggiunto la fama mondiale. Poliedrica, ha fatto l'attrice, il direttore artistico, l'insegnante: raggiungiamo Katia Ricciarelli, classe 1946, in una camera d'albergo di Matera. È lì perché ha curato, venerdì, la regia di uno streaming sulle pagine più belle di Giacomo Puccini.La pandemia non l'ha fermata. «Sto in campana, ma faccio tante cose. Ovvio, i contatti sono limitati. Mi occupo però della formazione dei miei giovani soprattutto. Incontri, master, eventi online».Il suo luogo a cui tornare?«Casa è sul lago di Garda». Forma quindi giovani artisti?«Dal 1991, sì. Corsi e stage sono organizzati da istituzioni o da privati. Non ho mai voluto dai giovani una lira, mai. Ne ho seguiti tanti. Quelli bravi li coltivo e non li abbandono fino al debutto».Sono cantanti-studenti dei conservatori? Come li sente oggi?«Sono sfiduciati, ma hanno la massima fiducia in me. E cerco di aiutarli dicendo loro che questo periodo finirà. È vero, possono aspettare, ma hanno voglia di cominciare. Un cantante lirico fa carriera tardi, si deve formare, deve maturare. Così a molti ragazzi tocca vivere sulle spalle dei genitori fino ai 25 anni. I talenti hanno bisogno di esibirsi e di quagliare, mi dispiace molto perché oggi non possono farsi un curriculum nemmeno nei piccoli teatri».A un anno di distanza possiamo farne ancora a meno di teatri, concerti, cultura?«No. È una cosa veramente indegna. C'è il lavoro di centinaia di migliaia di persone che si è fermato. C'è, anche, che noi artisti abbiamo bisogno del pubblico, ci dà la carica. Se continua così andrà a finire che tanti cantanti non ricominceranno più. La voce se non la utilizzi si atrofizza. È da tenere in allenamento, è un muscolo. Non è nemmeno più il tempo di cantare dalla finestra, forse è quello della malinconia. Senza la cultura un Paese è morto». Perché, al di là della retorica?«Ma come “perché"! La musica può dare la gioia di vivere, di sopportare i dispiaceri, le crisi, persino la fame. Altrimenti diventiamo aridi dentro. Personalmente i tre mesi di chiusura totale li ho vissuti nella mia veranda piena di fiori, con vista lago e con il mio cagnolino, ma quante persone sono state o sono chiuse in casa? Il melodramma è nato nel nostro Paese. Noi italiani abbiamo cominciato a cantare nei campi O sole mio coltivando patate, per esprimere gioia dal di dentro. Si canta per qualcuno: è un lavoro, ma non soltanto. Lo sa quante volte si chiudeva il sipario e uscivo da teatro con gli organizzatori che mi rincorrevano per il compenso, perché io me lo ero dimenticata, piena della gioia dello spettacolo».Il suo è un appello?«A tutti gli uomini di buona volontà. Spero non si guardi solo a certi problemi glissando su altri, perché non siamo dei clown, come qualcuno faceva intendere in questi mesi anche ai piani alti. Mortacci loro, direbbero a Roma». Si è esibita in tutto il mondo. Come eravamo considerati noi italiani?«La lirica piaceva tantissimo. So che i tempi sono cambiati, ma il nostro Paese non ha tutelato le sue ricchezze. E così all'estero hanno imparato a fare il melodramma anche meglio di noi». Davvero?«Oltre confine hanno più rispetto per gli artisti, li onorano fino alla morte. Ho conosciuto giovani che in Italia non si sono visti riconoscere un compenso nemmeno dopo un mese di prove. Che si sono dovuti pagare l'albergo di tasca loro. Stipendi che arrivavano dopo un anno. In Austria, in Francia o Germania non si comportano così». Il pesce puzza dalla testa? È un problema di classe dirigente?«I tempi sono cambiati, non lo so esattamente cosa sia successo. Il pubblico che compra il biglietto ci sarebbe ancora, anche se forse c'è un buco generazionale. Forse anche la tecnologia non ha aiutato. Ma qualche anno fa ho insegnato l'opera a 20.000 bambini delle scuole primarie, con il mio libro Vi canto una storia. Erano affascinati e divertiti. Capivano che è una cosa miracolosa la voce di un cantante, le luci, i costumi. Manca l'educazione dei piccoli, che da grandi potranno scegliere quanto preferiscono».Il mondo della cultura è un mondo maschilista?«Non direi, no. Ho vissuto senza padre, e senza la necessità di averlo perché mia madre era una lavoratrice fantastica che ha mantenuto da sola una famiglia. Io stessa ho lavorato da quando avevo 13 anni. Il soprano lo fai se lo sai fare, conta la qualità della voce».Così anche in altri mestieri dello spettacolo? Lei per esempio è stata anche direttore artistico del Politeama di Lecce. «Quella del direttore artistico è un'esperienza che rifarei volentieri. Ma sono tutte cariche politiche, e con questo ho detto tutto. In molti non capiscono il mondo dei miei colleghi e mio, e così oggi impongono persone non all'altezza, oppure va di moda importarle dall'estero. Non lo sopporto». Questioni di destra o sinistra?«Non sono mai stata penalizzata, sarebbe squallido. Ho conosciuto persone intelligenti al di là delle loro appartenenze politiche. Non ho mai preso una tessera, sono sempre stata così. Un'artista va a cantare ovunque. Non come i cantanti di musica leggera, che sono di sinistra e si sa e scelgono dove andare. Mi esibivo per gente della Dc come per i comunisti, avevo amici dappertutto. Bisogna solo guardare alla capacità della persona, alle sue competenze».Meritocrazia. Pure la politica ci sta arrivando?«Me lo auguro. Se io canto e non vado bene, mi spernacchiano. A quelli dietro una scrivania, invece… Ora voglio vedere cosa combinano, sono molto ansiosa di capirlo. Occorre che ci mettiamo tutti a collaborare, pure sulla salute, perché vedo troppi assembramenti in giro. Ma ho fiducia in Mario Draghi, credo ci possa togliere da questa situazione, raddrizzarci un po'. Mi sembra al di sopra di ogni sospetto. Non lo conosco ma l'ho incontrato, una volta». Ha un aneddoto su di lui? Sa che noi giornalisti ne siamo ghiotti. Specialmente di quelli agiografici. «Ero a Bologna, aspettavo il treno, con due borse e un trolley. Draghi era al binario in compagnia di tre o quattro persone, andavano a Roma come me. Ha sorriso come se mi conoscesse, forse mi avrà anche riconosciuta, io ho riconosciuto lui. Con semplicità disarmante ha detto ai suoi collaboratori: diamo una mano alla signora, mi raccomando. Non era ruffiano, era un gesto naturale. L'avrei abbracciato, davvero, ho pensato: che gentiluomo».Vuole che resti al governo per un po'? Non è quindi del parere di Giorgia Meloni? «Qualche tempo fa ho cantato l'inno nazionale su un palco di Fratelli d'Italia: mi hanno invitato e sono andata per chiedere a Giorgia di fare qualcosa per aiutare i giovani a non scappare dall'Italia. Ho la massima stima di lei, la amo tantissimo: è una donna con tutti gli attributi, ammesso e non concesso che questo sia un complimento. Perché ci sono anche uomini che non sanno nemmeno dove stiano di casa. Giorgia Meloni sa il fatto suo e se all'inizio ero perplessa per la sua scelta ora penso che occorra qualcuno all'opposizione. Ha fatto bene. Lei di coraggio ne ha. Ha fatto bene anche Salvini, secondo me. Perché ha pensato al suo Paese. Sono per il voto perché è tanto che non votiamo, ma in un momento del genere non si poteva fare. Poi si vedrà».Katia Ricciarelli sovranista?«A me piace la difesa dell'italianità. Ho girato il mondo in lungo e in largo, ma mi sono sempre sentita italiana. Qualche anno fa ho preso residenza a Montecarlo perché ci andavano tutti, ma sono stata stupida e non avevo idea di cosa significasse ritornare. È stato un rientro salato (c'è stato un contenzioso con il fisco, ndr), ma io è nel mio Paese che voglio stare».Non lo si difende abbastanza?«Non lo si rispetta abbastanza. Credo di aver dato tantissimo all'Italia. Se sono arrivata persino in Africa per cantare vorrà pur dire qualcosa. Ribadisco: non per un guadagno, ma per cuore. Mi accontento di vivere bene, ma senza esagerazioni. Però, ecco, so che se dovessi chiedere qualcosa a qualcuno credo mancherebbe la riconoscenza». Cosa desidererebbe?«A volte mi ritrovo a guardare i dischi, i libri, le registrazioni, tutto quello che ho raccolto durante la mia vita. Mi chiedo a chi lasciarlo, non ho quasi più nemmeno parenti. Immagino allora una scuola per i giovani, qualcosa di concreto che possa restare. Ma poi mi scoraggio, qualcuno opporrebbe che non si può fare perché mancano i fondi eccetera. Ma comunque io non mi sono mai persa d'animo, mai. Amo tantissimo lavorare. Ho tanto da dare. Sono un po' pazza, lo so, ma è così che combatto l'età e dico al Covid “non mi avrai"».
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Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
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