2025-01-29
La furia dei pm: governo indagato
Giorgia Meloni. Nel riquadro, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano (Ansa)
Lo Voi, lo stesso del caso Salvini, ha inviato «avvisi di garanzia» a Meloni, Piantedosi, Nordio, e Mantovano. Il premier: «Non sono ricattabile». Tajani: «Sembra una ripicca delle toghe per la riforma». Il leader leghista parla di vergogna. C’è una parte della magistratura che si sente al di sopra di tutto e persegue scelte che spettano alla politica. Non mi è chiaro in che cosa consistano il favoreggiamento e il peculato che la Procura di Roma contesta a Giorgia Meloni, ai ministri Piantedosi e Nordio e al sottosegretario Mantovano, per non aver consegnato un cittadino libico ai giudici dell’Aja. Tuttavia, mi è abbastanza evidente che una certa magistratura, forse per effetto della riforma della giustizia in discussione in Parlamento, si sente al di sopra di tutto, anche della ragion di Stato, e dunque legittimata a perseguire scelte che dovrebbero essere di totale competenza della politica. La deriva di una parte dei nostri pubblici ministeri mi era manifesta fin dall’inchiesta che i pm di Palermo avevano aperto contro Matteo Salvini, ritenuto responsabile di aver sequestrato da ministro dell’Interno un centinaio di migranti, per avere negato il diritto di attracco alla nave su cui viaggiavano. Con la complicità dei 5 stelle, che ai tempi del primo governo Conte avevano condiviso le decisioni del leader della Lega, Salvini era stato rinviato a giudizio e solo una recente resipiscenza dei giudici ha evitato una condanna. Ma adesso, in un clima già reso incandescente dalla protesta contro la legge che separa la carriera delle toghe, arriva l’inchiesta a carico di mezzo governo, per la liberazione del capo delle guardie di una prigione libica. Arrestato in Italia dopo aver girovagato per buona parte d’Europa senza essere stato trattenuto, l’aguzzino di Tripoli era stato sbattuto in cella su ordine della Corte penale dell’Aja, ma fin da subito erano risultate palesi non soltanto l’anomalia dell’ordine di carcerazione, ma pure le conseguenze. È inutile nascondersi dietro un dito: il trattenimento del carceriere e la sua consegna ai magistrati che perseguono la violazione dei diritti umani, comportava la reazione libica, con la scarcerazione di decine di migliaia di migranti lasciati liberi di partire per le coste italiane. Eventualità che il governo ha deciso di scongiurare. E che cosa c’entra la magistratura in tutto questo? Niente. Come niente c’entrò quando Bettino Craxi, statista di cui oggi si rimpiange la scomparsa, fece liberare il capo dei terroristi dell’Achille Lauro. Abu Abbas era responsabile della morte di un turista americano costretto su una sedia a rotelle. Un assassinio spregevole, perché i palestinesi uccisero un uomo inerme. E tuttavia a nessun pm venne in mente di indagare Craxi. Così come a nessun magistrato è passato per la testa di mandare un avviso di garanzia a chi ha permesso la scarcerazione di Cecilia Sala in cambio della liberazione di un ingegnere iraniano accusato di aver procurato il materiale per un attentato. Forse per la giornalista di sinistra, cara a tutto il mondo radical chic, si può chiudere un occhio sul favoreggiamento e sul peculato? O forse, come nel caso di Craxi, essendo palestinesi i sequestratori si poteva fare un’eccezione e rilasciare il terrorista? In ogni Paese esiste la ragion di Stato, ovvero una ragione che compete all’autorità politica e non ai pm. In passato, la Procura di Milano provò a processare i capi dei servizi per l’aiuto dato a un’operazione della Cia sul nostro territorio, ma le richieste furono respinte con l’opposizione del segreto di Stato, costringendo i magistrati a fermare la loro offensiva. Se l’aguzzino libico non è stato consegnato alla Corte penale dell’Aja e l’ingegnere iraniano sospettato di aiutare i terroristi non è stato estradato negli Usa una ragione c’è ed è l’interesse nazionale. Nel primo caso si trattava di evitare migliaia di nuovi sbarchi di immigrati, nel secondo la motivazione aveva il volto di Cecilia Sala. Ma al di là di quale sia la ragion di Stato, se sia accettabile o meno, se sia giusto o meno scambiare un presunto terrorista con una giornalista, se sia un reato pagare i tagliagole per avere indietro delle volontarie o un giornalista rapiti da assassini islamici, resta un fatto: non spetta ai pm decidere che cosa sia giusto. Le sanzioni non possono essere penali, al massimo elettorali, nel senso che a decidere saranno gli italiani, i quali stabiliranno se riportando a casa una cronista o scarcerando un aguzzino si è fatto l’interesse nazionale oppure no.Tuttavia, l’inchiesta della Procura di Roma suggerisce anche un’altra riflessione: fino a quando la magistratura continuerà a provare a essere un potere dello Stato contro un altro potere dello Stato? I politici non sono al di sopra della legge, ma non lo possono essere neppure i magistrati. I quali devono essere soggetti alla legge e a dei limiti, altrimenti si trasformano in un potere - enorme - che non risponde a nessuno e non paga per i propri errori e i propri eccessi.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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