2022-07-10
Medici chiusuristi ormai minoranza. Il problema è che sono tutti al potere
Walter Ricciardi (Imagoeconomica)
L’infettivologo Pierluigi Viale: «Il virus è più debole, facciamolo circolare». È il ragionamento che oggi fanno tutti i dottori che lottano in corsia. Purtroppo a decidere sono i loro colleghi che frequentano di più i ministeri.A questo punto, almeno una certezza riguardo al Covid l’abbiamo: il vero, enorme problema è lo scollamento dalla realtà. A oggi, gli esperti che si occupano della pandemia si dividono in due categorie: da una parte chi lavora negli ospedali, a contatto con i pazienti o comunque alle prese con i guai della gestione quotidiana; dall’altra parte i presunti luminari che operano a contatto con la politica e che, purtroppo, continuano a vivere all’interno di una prigione -gabbia ideologica apparentemente indistruttibile.Noi lo scriviamo da una settimana, e ieri il Messaggero ha pubblicato stralci di un documento elaborato dalla Commissione Salute della conferenza delle Regioni. Il testo esprime le esigenze di chi deve appunto gestire gli ospedali e si rende conto di quali siano le effettive difficoltà sul campo. Al primo posto, ovviamente, c’è la carenza di personale: almeno 20.000 tra medici e infermieri costretti all’isolamento perché positivi al Covid. E non si tratta di scansafatiche che vogliono rimanere a casa, ma di personale bloccato dalle norme assurde ancora vigenti, le quali prevedono nel migliore dei casi un blocco di dieci giorni (che può prolungarsi se il tampone risulta ancora positivo). Ebbene, le Regioni chiedono che tali regole cambino subito: «Va considerata la necessità di aggiornare la durata dell’isolamento prevedendo un tempo complessivo di 5 giorni, con termine dello stesso in assenza di sintomi da almeno due giorni e senza necessità di affrontare un test. Tali strategie sono già applicate in diversi Paesi occidentali». Si tratta, manco a dirlo, di un compromesso al ribasso, perché per sciogliere il nodo basterebbe eliminare i tamponi a tappeto per i professionisti e pure per i pazienti. Ma già che le Regioni guidate da governatori di diverso orientamento politico chiedano regole meno stringenti è una evidenza di cui tenere conto.Per altro, i dati ufficiali non disegnano il quadro di una emergenza spaventosa, anzi. Secondo Giovanni Sebastiani, matematico del Cnr, il numero dei positivi è destinato a scendere: «Tra la prossima settimana e quella successiva inizierà la discesa», spiega lo studioso sempre al Messaggero. Persino Silvio Brusaferro ammette che la pressione sulle terapie intensive è bassa. C’è anche chi, come ha fatto Andrea Crisanti al nostro giornale, ormai ammette esplicitamente che più il virus circola e più la popolazione è protetta. Ancora più decisa la posizione dell’infettivologo Pierluigi Viale, direttore di Malattie infettive al Sant’Orsola di Bologna, che a Repubblica dichiara: «Il virus ora è più debole, facciamolo circolare o si bloccano gli ospedali». Secondo Viale, Omicron5 non è «un incubo mortale», tanto che «la quarantena non ha più senso».Ecco, queste sono le posizioni di chi sta in prima linea o comunque elabora teorie a partire dai fatti (atteggiamento sano e scientifico in senso proprio). Poi, però, c’è chi ha da sempre in testa un modello e cerca in tutti i modi di adattare la realtà allo schema predefinito (atteggiamento tipico del totalitarismo). Il fatto è che a questa seconda schiatta appartengono praticamente tutti i consulenti istituzionali, a partire dall’immancabile Walter Ricciardi, un uomo chiamato angoscia. Egli da settimane prosegue in direzione ostinata e contraria, e insiste a proporre un’unica ricetta, sempre la stessa: «Contro l’ondata vaccini e mascherine» (così ieri sulla Stampa).Basterebbe che il caro Ricciardi desse uno sguardo ai dati dell’Istituto superiore di sanità presenti nel rapporto uscito venerdì per rendersi conto che l’incidenza di casi gravi in chi non si è vaccinato e in chi si è sottoposto al booster (terza dose) è estremamente simile. Addirittura, nella fascia di età 40-59 anni, chi si è vaccinato con ciclo completo da meno di 120 giorni si ammala gravemente più dei non vaccinati.Ricciardi, tuttavia, dai fogli dell’Iss estrapola due soli dati, relativi ai decessi, e li pubblica con orgoglio su Twitter. Il tasso di mortalità standardizzato, gongola Ricciardi, nei non vaccinati è «sei volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da meno di 120 giorni e sette volte più alto rispetto ai vaccinati con booster». In realtà, come è facilmente visibile dai grafici dell’Istituto superiore di sanità, la mortalità aumenta a dismisura solo nella fascia over 80, mentre in tutte le altre fasce è ai minimi termini (ed evitiamo qui di ripetere le consuete osservazioni critiche sul calcolo dei decessi). Per altro, se si fa una piccola ricerca, ci si rende conto che la differenza nel tasso di mortalità è andata progressivamente riducendosi. A marzo, per dire, l’Iss parlava di rischio di decesso 14 volte più alto nei non vaccinati rispetto ai boosterati, qualche tempo dopo si è scesi a dieci, ora siamo a sette.In buona sostanza, i benefici delle iniezioni nei minori di sessant’anni sono difficili da osservare, e nelle fasce d’età più elevate progressivamente vanno riducendosi. Dunque che senso ha intignarsi a dire che servono più iniezioni e più mascherine? A pensar male, verrebbe da dire che il governo e suoi consulenti ci vogliano rifilare le dosi in eccesso già acquistate. Ma poiché preferiamo evitare i pensieri scuri, ci limitiamo a credere che i profeti della Cattedrale Sanitaria siano semplicemente obnubilati dall’ideologia.Ricciardi, a questo riguardo, appare notevolmente tignoso. Su Twitter non fa altro che prendersela con i medici più aperturisti e snocciolare previsioni nefaste. Immagina scenari da 30.000 morti, ripete che lui l’aveva sempre detto di non togliere l’obbligo di mascherina e via gufando. Nel resto del tempo, il nostro si diletta ad attaccare Lega e 5 stelle e a condividere i commenti di Carlo Calenda, il suo referente politico (da lì, forse, il suo pessimismo). Intendiamoci: il caro Walter è libero di scrivere quel che gli pare. A infastidirci leggermente è solo il fatto che egli sia consulente di Roberto Speranza, e contribuisca a indirizzarne le decisioni che rimbalzano sulla nostra pelle. Ricciardi vuole restare scollegato dalla realtà? Faccia pure. Ma lo faccia bene: si scolleghi una volta per tutte, e ci lasci vivere in pace.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)