2021-05-20
Mattarella sostiene che vuole «riposarsi» ma manda pizzini sulla lite Letta-Salvini
Il presidente sembrerebbe ancora escludere una ricandidatura. Un suo richiamo letto come una bacchettata al leader leghista.Secondo un'antica regola giornalistica, una smentita è una notizia data due volte. E in politica? Lì siamo nel regno delle interpretazioni: gli ottimisti, gli ingenui, i puri di cuore credono a ciò che viene detto dai protagonisti; altri, più maliziosi, tendono invece a considerare un «no» alla stregua di un «ni», o magari addirittura come un «sì, ma dovete supplicarmi».Non sappiamo a quale categoria appartengano le parole pronunciate ieri da Sergio Mattarella in una scuola di Roma: al momento dell'elezione, ha detto il capo dello Stato, »mi sono preoccupato perché sapevo quanto era impegnativo il compito. Ma due cose mi hanno aiutato: ho ottimi collaboratori ma soprattutto il fatto che in Italia in base alla Costituzione non c'è un solo organo che decide, ma le decisioni sono distribuite tra tanti organi. Il presidente della Repubblica deve conoscere tutti, seguire tutti per poter intervenire con suggerimenti. Ma tra otto mesi il mio mandato termina. Io sono vecchio, e tra qualche mese potrò riposarmi». Da più parti, la frase è stata interpretata come il secco rifiuto di un ipotetico bis. Ma - si sa - molto dipenderà dalle circostanze, e, come La Verità ha già scritto, forse non manca chi lavora per creare un clima che renda concreta l'ipotesi (di per sé, assai anomala) di una rielezione, come già accadde per Giorgio Napolitano. Sta di fatto che, per essere un'idea campata per aria lo stesso Mattarella vi allude un po' troppo spesso. Intanto, però, nella rappresentazione sceneggiata dai mainstream media, a Mattarella tocca la parte del preside che rimbrotta gli scolari, l'ultimo aggiornamento di un copione ormai logoro prevede altri due ruoli: a Matteo Salvini invariabilmente quello dell'alunno cattivo, praticamente il Franti del libro Cuore, mentre a Enrico Letta viene assegnata - non si sa bene perché - la parte del capoclasse serio e giudizioso, anche se è proprio lui, sempre più regolarmente, a creare il caos. Tutto nasce dalle frasi pronunciate dal capo dello Stato l'altro ieri a Brescia: «Questo è il tempo per progettare il futuro insieme». Il che, ha aggiunto Mattarella, «non vuol dire abbandonare le proprie prospettive, idee e opinioni, quanto confrontarsi in maniera costruttiva, perché confrontarsi è ben diverso che agitare le proprie idee come motivi di contrapposizione insuperabile». Stando al testo, un richiamo a tutti, non indirizzato a una sola parte. E così lo hanno inteso due osservatori non certo catalogabili come sostenitori di Salvini. Ecco Ugo Magri, quirinalista della Stampa, che ha commentato: «Lassù (ndr: sul Colle) rimandano semplicemente alle cronache di questi giorni, dominate prima dal braccio di ferro sulle riaperture, poi dalla legge Zan rilanciata da Enrico Letta, quindi dai referendum sulla giustizia che strumentalmente Salvini sponsorizza, e infine, adesso, dagli scambi di colpi tra Lega e Pd sul futuro di Mario Draghi (…)». E naturalmente si può eccepire su qualche passaggio (in particolare, sembra un processo alle intenzioni ritenere strumentale l'impegno di Salvini sui referendum in materia di giustizia), ma complessivamente l'analisi di Magri è del tutto equanime. Stesso approccio, sempre sulla Stampa, anche da parte di Marcello Sorgi: «Il presidente non pensa solo al comportamento di Salvini, a quel suo stare con un piede dentro e uno fuori dal governo, e alla recente decisione di promuovere insieme ai radicali i referendum sulla giustizia, destinati ad acuire le divergenze già registrate dalla ministra Cartabia (…). Ma anche - e questo è l'aspetto più delicato - all'atteggiamento che sta connotando la nuova segreteria del Pd, al continuo faccia a faccia di Letta con il leader leghista, agli inviti rivoltigli per farlo uscire dal governo (…)». Anche qui, ad esser pignoli, Sorgi attribuisce al Quirinale una valutazione inopportuna (se fosse vera), nel senso che non tocca al Colle stabilire se un partito debba o meno promuovere dei referendum. Ma complessivamente pure Sorgi è correttissimo nel distribuire equamente le preoccupazioni del Quirinale.Attenzione a ciò che accade invece sul Corriere della Sera, dove cambia tutto. Qui è Marzio Breda a scrivere, individuando un colpevole per gli affanni del presidente: «Un rilancio polemico permanente che vede svettare su chiunque altro il capo leghista Matteo Salvini. Il quale è scafatissimo nella politica degli annunci, prova ne sia che ha imparato a bruciare le misure del governo dandone notizia come una “cosa sua" prima ancora che il Cdm si riunisca». E qui il lettore si domanderà: possibile che il Corriere si sia dimenticato di Letta? Tutt'altro: Breda non solo non lo dimentica, ma anzi sembra salvarlo e promuoverlo: «Un gioco propagandistico che il segretario del Pd Enrico Letta tenta giorno per giorno di smascherare. L'effetto finale del battibecco infinito è però quello di vedere inutilmente alzarsi il livello di litigiosità della maggioranza». Avete letto bene: Letta tenta di «smascherare» il «gioco» di Salvini. Non risultano al momento smentite dal Quirinale. E dunque il dubbio resta. Se quelle che ha scritto il Corriere sono solo opinioni di Breda, il problema è del Corriere. Ma se per caso l'interpretazione di Breda, spesso usato dal presidente per far filtrare il suo pensiero, fosse esatta e le preoccupazioni di Sergio Mattarella fossero in quei termini (per Salvini e non per Letta), il problema sarebbe per tutti i cittadini italiani. Sarebbe davvero il caso di fare chiarezza, anche nell'interesse del Quirinale: perché il doppio standard praticato da un giornalista può essere spiacevole, ma un doppio standard eventualmente praticato dalla presidenza della Repubblica sarebbe qualcosa di molto diverso e più allarmante.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.