2019-08-29
Mattarella dà la benedizione alle nozze contro natura. Ora Conte le deve celebrare
L'avvocato al Colle alle 9.30 per ricevere l'incarico. Da quel momento sarà lui a cercare la quadra sul programma con i dem. E quel tempo servirà per spegnere le mire Luigi Di Maio.Al termine del secondo giro di consultazioni, Sergio Mattarella ha tirato le somme, conferendo l'incarico di formare il governo a Giuseppe Conte, indicato da Pd e M5s, e convocato al Quirinale stamattina alle 9.30. L'incaricato - con ogni probabilità - accetterà con riserva, e potrà usufruire di un po' di tempo: pudicamente, per «costruire un programma omogeneo»; più prosaicamente, per gestire il seguito della rissa sulle poltrone. In particolare, resta da chiarire la questione - politicamente di alto valore simbolico - dei vicepremier: non ci saranno, oppure ce ne saranno due (lui incluso) come chiede Luigi Di Maio, o ce ne sarà uno solo (Andrea Orlando o Dario Franceschini) come pretende il Pd? Ieri sera la posizione di Di Maio sembrava più debole, per almeno due ragioni. La prima: nel suo stesso partito, tranne alcune voci di fedelissimi, tra i parlamentari monta il fastidio per quella che appare come una richiesta personalistica. E non è mai un buon segno per un leader esser diventato un problema da risolvere a casa propria. La seconda: Pd e M5s hanno già varato un comune documento di impegni sui contenuti. Per carità: nessuno è così ingenuo da credere ai «programmi», ma comunque, una volta messo nero su bianco un elenco di temi, parrebbe difficile far saltare tutto per una casella: a quel punto, sarebbe complicato negare l'esistenza di una pura questione di poltrone. La realtà, dura da digerire per Di Maio, è l'evidenza della sfida di Giuseppe Conte nei suoi confronti. Come in ogni spy story, Conte sta rivelando la sua vera natura di double agent: pochi giorni fa, si è offerto a Di Maio per colpire Matteo Salvini; ma subito dopo, si è reso disponibile come strumento (per Mattarella e per gli stessi capi di M5s, a partire da Beppe Grillo, che lo ha addirittura assunto tra gli «elevati» al suo pari) per ridimensionare il giovane capo politico. Il fattore umano, sotto forma di un'enorme diffidenza politica, è dunque esploso: in pochi giorni, Di Maio si è ritrovato con mezza Europa, una parte delle gerarchie vaticane, il deep state italiano, tutti mobilitati per Conte, con l'obiettivo di ridimensionare e commissariare lui, che pure sarebbe ancora la guida politica M5s. Uscendo dal Colle, Di Maio, dopo aver formalizzato l'intesa con il Pd, ha cercato di dissimulare la realtà e la sua delusione. Ha reso nota (e ha rifiutato, nel tentativo di depotenziare la narrazione di Matteo Salvini) una presunta offerta leghista di divenire premier, ha elogiato Conte con dubbio slancio (arrivando perfino a evocare, con sprezzo del ridicolo, un «nuovo umanesimo»), e ha sciorinato un repertorio da Prima Repubblica: «politica come servizio» e «non ci sottrarremo alle nostre responsabilità». Ma è inutile girarci intorno. C'è un disegno di «normalizzazione» e di ritorno al passato che sta prendendo corpo: prima l'estromissione dal governo della Lega, e poi un inesorabile accerchiamento ai danni di Di Maio. Il quale ben difficilmente potrà far saltare tutto: centinaia di suoi parlamentari non rinunceranno a mutuo e stipendio per lui, e anche gli aspiranti ministri grillini (nuovi o rientranti) non rinunceranno di certo agli agi di auto blu, scorte, segreterie, a cui si sono mollemente abituati. La stessa arma finale del voto sulla piattaforma Rousseau appare spuntata, per Di Maio. Quasi nessuno crede alla minaccia che possa bocciare l'intesa, specie se - com'è ormai inevitabile - la consultazione avvenisse a giochi fatti. Platea controllata e selezionata, pacchetto avallato dai vertici: difficile immaginare una sorpresa, peraltro mai avvenuta in casa grillina in quel tipo di consultazioni. Morale: resta solo la necessità di rosolare ancora Di Maio. E Mattarella, con antica perfidia Dc, sembra orientato a usare il fattore tempo in modo uguale e contrario rispetto ai giorni scorsi: allora, aveva accelerato (per forzare M5s ad accettare); adesso, sembra concedere un po' di tempo, per consentire a Conte di logorare Di Maio. Di più: le voci dal Colle insistono anche su un aspetto formale, che in questo caso gioca a favore di Conte. Tocca al presidente incaricato condurre nuove consultazioni, rispondere al Quirinale, essere il pivot della nuova fase. Tutto il resto è già scritto. La filiera che conduce da Bruxelles al Colle, passando per qualche ministro tecnico, assicurerà che l'Italia sia riassoggettata al pilota automatico dell'Ue. Al massimo, sarà garantita un po' di flessibilità per la prossima manovra, allungando leggermente la catena francotedesca a cui l'Italia sarà più che mai costretta. I 5 stelle, a partire dall'innaturale voto a favore di Ursula von der Leyen, hanno accettato questo schema. Quanto al Pd, è naturaliter parte di un'operazione di questo genere: e semmai, anche in vista della designazione del prossimo Commissario ue (Enrico Letta, Paolo Gentiloni, Matteo Renzi), è pronto a offrire personale alla bisogna. Contro tutto questo ha sparato Salvini, mettendo in fila gli argomenti forti della nuova stagione di opposizione a cui si prepara: il rischio di una svendita del Paese, l'influenza di Parigi-Berlino-Bruxelles, e soprattutto lo sconcerto per il fatto che siano rientrati dalla finestra gli sconfitti delle ultime elezioni politiche, regionali ed europee, cioè il Pd. Delitto perfetto, dunque, da parte di M5s e dem? Nel palazzo, forse sì. Ma fuori dal palazzo ci sono una sessantina di milioni di testimoni, gli italiani: a cui è stata sottratta la possibilità di decidere la partita, e che stanno assistendo a una brutale guerra per i posti.