2023-12-18
Massimo Bitonci: «Più controlli alle coop che fanno affari con l’immigrazione»
Il sottosegretario leghista: «Quelle finte sono la principale fonte di lavoro nero. Faremo emergere i nuovi casi Soumahoro».«Il Patto di stabilità? Se lo firmiamo così com’è, sarebbe come stringersi un cappio al collo. Tornerebbe l’austerity che ha rovinato gli italiani». Massimo Bitonci, sottosegretario al ministero delle Imprese e del Made in Italy nonché anima «pragmatica» della Lega, non ha dubbi: «Non è una questione elettorale ma di sostenibilità: nel frattempo, continuiamo a lavorare per supportare le imprese e combattere la piaga delle cooperative fantasma».Cooperative fantasma? Proprio mentre la famiglia di Soumahoro viene mandata a processo per presunti reati fiscali sulla gestione dei migranti? «Di vicende simili a quella di Soumahoro ne potrei citare a centinaia. Le false cooperative, numeri alla mano, sono la principale centrale del lavoro nero in Italia». Addirittura? «Dietro lo schermo della mutualità, ottengono ingiuste agevolazioni, quando in realtà perseguono interessi economici privati, spesso legati alla malavita. E le prime vittime di questo andazzo sono le cooperative sane, come ad esempio le cooperative di comunità e sociali, quelle che aiutano la collettività svolgendo servizi che lo Stato non riesce più ad erogare». Dunque, come si affronta il problema?«Il ministero ha cancellato, con un colpo solo, 4.000 cooperative fantasma, scatole vuote che non presentavano bilanci. Ma non basta: a gennaio apriremo un tavolo per riformare il sistema di vigilanza». Cambiare il controllo sulle cooperative? Sulla base di quale filosofia? «Bisogna intervenire sul meccanismo di controllo: oggi le verifiche vengono effettuate da revisori con patentino, ma per due terzi delle centomila coop spetta al ministero la verifica ordinaria, che però visti i numeri diventa occasionale. Vogliamo rendere obbligatoria la revisione biennale per tutti, da parte di operatori esterni, con patentino e corso di formazione, i quali si assumeranno la relativa responsabilità. Ci sono interessi economici nascosti, o lavoro irregolare, o sospetto di malaffare? In questo caso, partirà la segnalazione al ministero che interverrà con i controlli straordinari, liquidazione, scioglimento e denunce del caso. Solo così faremo emergere i tanti “casi Soumahoro” in giro per l’Italia». A proposito di imprese: dal primo gennaio parte il nuovo Fondo di garanzia per le Pmi. «È una riforma che ho fortemente voluto, ci ho lavorato per mesi: con questi tassi imposti dalla Bce c’è stato un credit crunch importante. Senza il fondo, che nel tempo ha concesso oltre 430 miliardi garanzie sui finanziamenti, molte imprese italiane sarebbero state in forte difficoltà».Cosa cambierà?«Per ogni singola impresa, il tetto raddoppia in regime ordinario a 5 milioni di importo massimo garantito, 80% di garanzie su investimenti, anche con l’ammissione degli enti del terzo settore e delle aziende “small mid cap” fino a 499 dipendenti. Si allarga dunque la platea dei beneficiari, anche con il contributo delle Regioni». Questo mentre nella manovra, oggi al rush finale, si è puntato soprattutto sulla riduzione del cuneo, e meno sugli aiuti alle imprese? «Però abbiamo chiesto e ottenuto dall’Europa di mettere al servizio delle imprese i fondi del Pnrr e del RepowerEu per 9,2 miliardi. A gennaio arriverà il “transizione 5.0”: sei miliardi di crediti di imposta per progetti certificati sulla transizione energetica, digitale e formazione. Visto il contesto, non è poco: mentre, sullo sfondo, la trattativa sul nuovo Patto di stabilità sarà ancora lunga». Per l’appunto: un confronto infinito. La firma sulla riforma del Patto slitterà al prossimo anno, ma sembra quasi che le posizioni si stiano avvicinando. La Lega insiste sul veto? «Approvare il Patto così com’è, sarebbe come mettersi da soli un cappio al collo: vorrebbe dire tornare all’austerity, imponendo misure molto pesanti per gli italiani. Nuove tasse e tagli alle spese sociali sappiamo bene cosa hanno significato nella storia: sono la strada più breve per condannarsi a una recessione ancora peggiore». Quindi?«Non potremo mai rispettare le regole europee sul “veloce” rientro del debito ed il rispetto del parametro deficit/Pil al 3%. Questo governo non può assumersi la responsabilità di mettere un macigno sulle future politiche industriali, sulle future leggi di bilancio, e in definitiva sulle future generazioni».Perché le considera regole insostenibili?«Le ultime previsioni di Bankitalia sul Pil 2024 sono intorno allo 0,6, meno delle nostre previsioni di Def e Nadef. Consideriamo la nostra situazione particolare: paghiamo 85 miliardi di interessi passivi, il prossimo anno saranno 96. Aggiungiamo i 100 miliardi di costo del Superbonus alla fine del 2023: in buona sostanza è stato un suicidio contabile con un basso impatto sul patrimonio immobiliare, meno del 3%. Alla luce di tutto ciò, diventerebbe impossibile chiudere una manovra con una zavorra del genere, frutto anche di una cattiva gestione dei conti pubblici che purtroppo abbiamo ereditato».Continuare ad opporsi non rientra anche nella strategia elettorale per le Europee?«Non c’entrano le elezioni: c’entra la sostenibilità del debito pubblico. Durante la pandemia abbiamo fatto debito d’emergenza per favorire un rimbalzo del Pil. Adesso l’Europa non può farci pagare il conto con regole inaccettabili. Occorre escludere dal Patto gli investimenti legati ai fondi del Pnrr, e poi le spese concernenti i nostri impegni militari e quelle sulla transizione energetica». I Paesi nordici continuano a remare contro. Chi, in Europa, dovrebbe marciare al nostro fianco, vista la situazione? «La Germania dovrebbe capire che è il momento giusto per allentare alcune misure e rilanciare gli investimenti. A Berlino sono messi peggio di noi, sono in recessione tecnica, l’indice Pmi è in caduta libera. E l’Italia rischia l’effetto trascinamento». Giorgia Meloni intanto ha sganciato la trattativa sul Patto dal confronto sul Mes, altro fascicolo scottante. «Il Mes è un tema delicato, e credo debba essere il Parlamento a decidere. Lo considero uno strumento superato, che andrebbe sicuramente rivisto». Qual è il rischio più grande? «Il rischio è che gli italiani si ritrovino a tirar fuori soldi per salvare altre banche tedesche ed europee, dopo i tanti sacrifici che abbiamo fatto per mettere in regola le nostre. Da veneto, non posso dimenticare la liquidazione coatta amministrativa della Popolare Vicentina e di Veneto Banca, con 200.000 risparmiatori a terra, per i quali abbiamo dovuto attivare un fondo di un miliardo e mezzo per ristorarli parzialmente». Il capogruppo leghista Molinari dice che sono allo studio clausole di salvaguardia per dare al Parlamento potere di controllo sul Mes. Ne sa qualcosa?«Ribadisco, il protagonista dev’essere il Parlamento. Per il resto, dobbiamo ricordare che, durante la pandemia, l’Europa ha potuto benissimo operare in autonomia, mediante emissione di bond (Pandemic Bond), con prestiti, emissioni di titoli e liquidità concessa agli Stati in tempo di crisi. Lo si faccia subito. Purtroppo, quando si tratta di decidere, l’Europa ha la prontezza di riflessi di una tartaruga e la pesantezza burocratica di un elefante». Al Consiglio Europeo, Orban si mette di traverso, bloccando il bilancio e i 50 miliardi di euro per l’Ucraina. È il cortocircuito del sovranismo? «Gli aiuti all’Ucraina non possono essere messi in discussione, e spero che il sostegno a Kiev continui. Penso sia positivo il fatto che in Europa si cominci a prendere coscienza che sull’immigrazione ci si debba muovere insieme, e i Paesi di confine non vanno lasciati soli». Intanto si apre all’ingresso di Kiev nell’Unione europea. Chi pagherà il costo della ricostruzione? «Fare certi ragionamenti oggi è prematuro. Credo che i Paesi europei dovranno essere solidali con l’Ucraina, ma non potranno caricarsi in solitaria i costi della ricostruzione. Questo è un conflitto di portata mondiale, e dunque le grandi potenze coinvolte, che dispongono di risorse ben più importanti, avranno il dovere di contribuire». Nel nuovo trattato Cop28 si conferma l’obiettivo zero emissioni per il 2050, triplicando le rinnovabili entro il 2030. Sono regole realistiche, o siamo di fronte ancora una volta al festival dei buoni propositi?«È un accordo irrealizzabile. Certo, non possiamo fingere che il problema ambientale non esista, ed è bene che l’Europa cerchi l’autonomia energetica: ma ogni stato deve decidere come arrivarci, attraverso la neutralità tecnologica». In pratica? «Non possiamo farci imporre un modello tecnologico unico: in Italia siamo ai primi posti per biocarburanti, e certamente non avrebbe senso per noi convertirci totalmente all’elettrico. Noi abbiamo il diritto di scegliere qual è la strada migliore: le centrali nucleari di ultima generazione, l’idrogeno, l’idroelettrico, o magari puntare anche sulle tante aziende italiane che stanno iniziando a produrre batterie e pannelli sul nostro territorio. Sui temi di carattere strategico, è bene incentivare le produzioni nazionali».
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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