2023-06-06
A occultare, omettere e oscurare è Damilano
L’allora direttore dell’«Espresso» iniziò così l’editoriale che, nei suoi piani, doveva inchiodare Matteo Salvini al suo silenzio. Ora che però le carte sono scoperte, ne subisce il contrappasso. Adesso è lui a dover parlare e non può nascondersi dietro il cavallino della Rai.«Marco Damilano ha occultato, omesso, oscurato. La pena del contrappasso, per l’ex direttore sempre in tv. Marco Damilano ha mentito: sul ruolo ricoperto dai suoi inviati in terra di Russia. Il giornalista che si presenta come paladino della libera informazione è finito in un gioco più grande di lui. L’uomo del programma di approfondimento di Rai 3, Il cavallo e la torre, è intrappolato nella cortina di ferro, dove non si vede nulla. Questa è l’unica conclusione possibile, al momento in cui scrivo, del lungo e paziente lavoro di ricerca su quel che quattro anni fa pubblicò l’Espresso, con la sua redazione e i suoi reporter Giovanni Tizian e Stefano Vergine».Ora togliete alle righe appena lette il nome di Damilano e sostituitelo con quello di Matteo Salvini. Infatti, le parole che avete appena scorso non sono farina del mio sacco, ma di quello dell’ex direttore del settimanale che un tempo fu di Carlo De Benedetti e poi della famiglia Agnelli prima di essere comprato da Danilo Jervolino e, di recente, da un imprenditore vicino a Massimo D’Alema. Sì, fu Damilano a vergare un editoriale, dal titolo La superficie della menzogna, in cui accusava il leader della Lega di non rispondere alle domande dei suoi cronisti, i quali erano convinti di aver scovato a Mosca le tracce di un affare petrolifero milionario, per finanziare il Carroccio con i soldi di Putin. A distanza di tempo, la Procura di Milano sulla vicenda ha messo la pietra tombale, non avendo rintracciato né il petrolio che avrebbe dovuto essere scambiato con una società pubblica, né i soldi che avrebbero dovuto finire nelle casse della Lega. In compenso, dagli atti di archiviazione dell’inchiesta, grazie - questo sì - al lungo e paziente lavoro di ricerca di Giacomo Amadori, sono emersi una serie di documenti che ribaltano completamente la prospettiva di questa strana storia. Non era la Lega che stava cercando un contatto con Mosca per ottenere fondi, ma era una simpatica combriccola, composta da massoni e agenti dei servizi segreti russi che stavano cercando di incastrare un collaboratore di Salvini per poi denunciare il tutto. E dell’operazione facevano parte fin dall’inizio i giornalisti dell’Espresso.A rileggerlo oggi, l’editoriale di Damilano, ormai non più direttore del settimanale radical chic, ma conduttore di un programma Rai ottenuto quasi come risarcimento appena lasciata la poltrona del magazine, sembra un’autodenuncia. Infatti, ciò che il giornalista rimprovera all’allora ministro dell’Interno, oggi può essere rimproverato a lui stesso, con l’aggravante che gran parte delle accuse rivolte a Salvini non hanno trovato riscontro giudiziario, mentre quelle che richiamano la sua direzione sono state passate al vaglio degli inquirenti. I documenti che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi dimostrano che prima del famoso incontro all’hotel Metropol di Mosca ci furono una serie di contatti fra l’avvocato al centro della vicenda e uno dei giornalisti dell’Espresso. Qual era lo scopo di quegli appuntamenti a cui, per dirla con Damilano, ne seguirono altri, «con il codazzo di faccendieri, intermediari, avvocati, brasseur d’affaires» e, aggiungo io, di 007 russi travestiti da manager?All’epoca, quando pubblicò l’editoriale da cui abbiamo preso le frasi all’inizio, Damilano si lamentava perché pochi, secondo lui, avevano preso sul serio il lavoro della sua redazione, preferendo sottovalutare, minimizzare, confondere con un pettegolezzo giornalistico, al contrario della stampa internazionale che aveva dato grande eco all’inchiesta. L’ex direttore accusava Salvini di aver taciuto imbarazzato di fronte alle domande poste dai suoi cronisti. «Un atteggiamento che dice molto, ancora una volta, dei meccanismi del potere, della sua attitudine alla bugia». Secondo Damilano, il ministro dell’Interno - per non voler parlare della faccenda del Metropol - avrebbe voluto introdurre in Italia «un addomesticamento del dissenso, un conformismo che convive con le forme della democrazia». I leader alla Salvini, secondo lui, erano pronti a spegnere le luci quando si tratta di rispondere, rendere conto, replicare alle richieste di un giornale. Beh, adesso siamo noi a chiedere conto, per sapere chi guidò l’operazione nell’hotel russo e perché i giornalisti dell’Espresso andavano a braccetto con massoni, brasseur d’affaires, faccendieri e spioni. E però Damilano da giorni spegne la luce, senza rispondere, senza replicare alle richieste di un giornale. È la legge del contrappasso, come lo stesso ex direttore scrisse. Con una differenza. Damilano sta in tv tutti i giorni, pagato dal servizio pubblico. Ma il primo servizio pubblico che dovrebbe svolgere è quello di raccontarci la verità sul caso Metropol. Può un giornalista continuare a informare nascondendo i fatti che più lo riguardano da vicino? La risposta tocca a lui, ma anche alla direzione della Rai.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)