2021-08-02
Marcell e Gimbo fratelli d’Italia. In mezz’ora due medaglie mai vinte
Marcel Jacobs e Gianmancaro Tamberi (Ansa)
Jacobs da leggenda nei 100 metri, gara regina dei Giochi, e Tamberi nel salto in alto: dopo l'infortunio divide l'oro con il rivale. E sul velocista nato negli Usa. Giovanni Malagò dice: «Aberrante l'assenza dello ius soli sportivo»Ancora qualcosa da dire contro la dieta mediterranea? Oro puro. Una miniera d'oro scoperta fra Brescia e Ancona, metallo che acceca venuto allo scoperto nei 20 minuti che cambiano la storia dello Sport italiano. Serve la maiuscola per l'impresa di Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi detto Gimbo, fratelli d'Italia ma non di taglia: il primo una tigre, un colosso gentile che porta il tricolore sul podio più alto dei 100 piani, la corsa della leggenda, quella che illumina anche il medagliere olimpico più triste. Il secondo un airone che decolla sul mondo nel salto in alto e da Tokyo lo guarda a distesa; un uccello del paradiso che vola sull'asticella, la fa tremare ma riesce a fermarla per sempre con lo sguardo. Oro, due volte oro. Nell'atletica, la regina delle specialità olimpiche, senza nulla togliere al taekwondo e alla boxe femminile. Tutto dalle 14,33 alle 14,53 del 1° agosto 2021, numeri da ricordare come quelli dello sbarco sulla Luna.«Per andare in finale devo correre in 10» e spiccioli». Era la previsione di Jacobs, texano di cognome ma italiano in tutto il resto. Era il suo massimo obiettivo. Non ci ha preso per difetto, si stava sottovalutando come al solito. Poiché Dio si annida nei particolari, sono gli «spiccioli» a contare, quelli che lo portano a 9'80", l'uomo più veloce del mondo, l'erede (almeno per oggi) del cannibale Usain Bolt. Nella folle estate italiana arriva il Giorno dei Giorni e due ragazzi nati alla fine del secolo breve riescono ad andare oltre la fantasia, oltre l'Europeo del pallone, oltre la finale di Wimbledon di Matteo Berrettini. Immensa la gioia e immenso il fondoschiena di Mario Draghi, che telefona quasi in diretta ai vincitori: «State onorando l'Italia».Nato a El Paso per via del papà marine, Jacobs (26 anni) poteva scegliere di gareggiare per gli Stati Uniti, la patria dell'atletica. Invece ha scelto mamma Viviana, con lei è arrivato a Desenzano del Garda a un anno e mezzo, con lei ha conosciuto l'amore ed è cresciuto con il sogno di correre veloce. La mamma non tradisce mai. Ma c'era un problema: Marcell non credeva in sé stesso, sbagliava regolarmente le gare che contano, travolto dall'emotività. E si creava un paravento di giustificazioni: il fastidio muscolare, la pista scivolosa, la luna storta, la lunga ombra di Filippo Tortu (il rivale eliminato in semifinale) che aveva tempi migliori dei suoi. Quest'anno il salto di qualità grazie a Francesca Romanazzi, sua mental coach, capace di invertire i poli della mente e di scatenare la tigre.Così, quando entra sulla pista per la finale della gara che conduce alla leggenda - idealmente accanto a Livio Berruti e Pietro Mennea - Jacobs ha azoto liquido nelle vene e non teme nessuno. È lì, in trance, davanti a quella che Carl Lewis definiva «l'apnea assoluta, una ruga sulla fronte lunga 100 metri». L'americano più quotato (Trivon Brommel) è sparito nella tonnara delle semifinali, un rivale pericoloso (l'inglese Zharnel Hughes) si elimina da solo con una falsa partenza, il cinese Su Bingtian è micidiale soltanto all'uscita dai blocchi. Marcell parte forte, è subito terzo, poi ai 50 accelera e mette dietro il mondo: argento a Fred Kerley (Usa), bronzo ad Andre De Grasse (Canada). L'italiano piomba letteralmente fra le braccia di Tamberi che sta festeggiando il suo oro: i due ridono, piangono, urlano avvolti nel tricolore. Dirà Jacobs in conferenza stampa: «Quando ho visto Gimbo vincere la sua gara mi sono gasato e ho detto: perché non posso farlo anch'io?». Poi chiude la porta a ogni dubbio: «A 18 mesi ero in Italia, i miei figli sono nati qui (ne ha tre - ndr), mi sento italiano in ogni cellula del mio corpo, tanto che con l'inglese ho sempre avuto qualche difficoltà». Ha la vita scritta nei tatuaggi: una tigre, le date di nascita dei figli, la rosa dei venti, una frase sul rapporto recuperato con il padre. A chi gli chiede se si rende conto di avere fatto qualcosa di enorme sorride largo: «Stanotte, guardando il soffitto senza sonno, comincerò a crederci».L'esatto contrario di Tamberi. A 29 anni lui coglie subito il senso di un'impresa che sa di rivincita e gli cambia per sempre la vita. Salta divinamente dall'inizio, non sbaglia mai fino ai 2,37, il muro del destino, limite di un duello a distanza con il fuoriclasse qatariota Mutaz Essa Barshim e con il guerriero bielorusso Maksim Nedasekau. Gimbo nella borsa ha uno stivaletto di gesso per ricordare la sventura da esorcizzare: alla vigilia dei Giochi di Rio si ruppe un tendine quando era uno dei favoriti. Cinque anni di purgatorio, riempiti dal lavoro, dalla volontà assoluta di risalite la china e dall'amore per Chiara, alla quale fa una dichiarazione di matrimonio su Instagram prima di partire per Tokyo, con 100 rose rosse e la promessa di portarle una medaglia. Il ragazzo è un po' showman: ha recitato in «Don Matteo» con Terence Hill e suonava in un gruppo rock.Due e trentasette, oltre non va nessuno. Tamberi e Barshim sono pari e quando il giudice chiede loro se vogliono tentare lo spareggio, è il campione di Doha a perdere qualcosa. Lui su quelle misure da Everest passeggia più spesso, ma chiede: «Possiamo avere due ori?». Risposta affermativa, allora stringe la mano all'italiano. «Siamo amici, dividere il trionfo è un piacere». Anche il marchigiano, che per la prima volta ha rinunciato a tagliarsi la barba su una guancia sola (era il suo gesto scaramantico preferito), entra nei 20 minuti che portano nella leggenda. «È una gioia infinita, ho sofferto troppo. Questa notte mi ripaga di ogni sacrificio».C'è qualcosa di magico nell'aria, pure Alessandro Sibilio in quei minuti di follia mediterranea entra nella finale dei 400. Nel nuoto la staffetta 4x100 conquista un bronzo, ma a salvare Giovanni Malagò dal fallimento sono i fratelli d'Italia. Il numero uno del Coni la butta subito in politica e chiede, sfiorando il ridicolo, lo ius soli per un campione nato negli Usa: «Non riconoscere lo ius soli sportivo è qualcosa di aberrante». Sullo stivaletto di gesso, feticcio di Tamberi e oggi prezioso come un piede di Fidia, c'è scritto a penna: «Road to Tokyo». Una strada lastricata d'oro che nessuno al mondo poteva neppure sognare.
Il caffè di ricerca e qualità è diventato di gran moda. E talvolta suscita fanatismi in cui il comune mortale si imbatte suo malgrado. Ascoltare per credere.