2023-07-14
Mantovano frena la fuga di Nordio sulla riforma del concorso esterno
Giorgia Meloni e Sergio Mattarella (Ansa)
Il plenipotenziario di Palazzo Chigi chiude a una rivisitazione del reato: «Lotta alla mafia prioritaria». Giorgia Meloni un’ora a colloquio con Sergio Mattarella: «Non abbiamo intenzione di fare la guerra ai magistrati».«Bisogna abbassare i toni». La distensione condivisa sulla giustizia aleggia sull’incontro fra Sergio Mattarella e Giorgia Meloni al Quirinale. È una premier determinata, garante degli interessi italiani all’interno dell’Alleanza atlantica e di quelli politici della coalizione conservatrice al governo, quella che sale al Colle verso le 17 per riferire al capo dello Stato sul vertice Nato di Vilnius. Il motivo istituzionale del colloquio è il Consiglio supremo di Difesa, con al tavolo anche Antonio Tajani (Esteri), Guido Crosetto (Difesa), Giancarlo Giorgetti (Economia), Adolfo Urso (Made in Italy), Giuseppe Cavo Dragone (capo di Stato maggiore), al termine del quale viene ribadita «la ferma condanna dell’invasione russa e il sostegno all’Ucraina e la ricerca di sentieri di dialogo fra le parti che permettano di giungere a una pace giusta e duratura». Al centro delle analisi anche le rotte migratorie del Mediterraneo centrale, con picchi di arrivi che preoccupano.Alla fine, nell’agenda non scritta del tête-à-tête fra i velluti, c’è soprattutto la questione giustizia. Nell’ora di colloquio a due Meloni rassicura il presidente della Repubblica sull’intenzione di non aprire un fronte ideologico contro la magistratura e quindi di non rispondere alle provocazioni dell’ala più radicale delle toghe, affezionata da 30 anni allo status quo uscito dalla stagione giacobina di Mani Pulite. «Non c’è alcun conflitto con la magistratura, chi confida nel ritorno allo scontro rimarrà deluso», ribadisce la presidente del Consiglio. Quello di «abbassare i toni» è un impegno preso proprio con il Colle. Ciò non significa arrendersi a inghiottire brodini postdemocristiani come fece Mario Draghi al tempo della riforma di Marta Cartabia, costruita con un parlamento a maggioranza grillina, caratterizzata da veti incrociati e rivelatasi impalpabile.La premier difende le scelte del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e conferma che in fondo alla traversata del deserto ci sarà la separazione delle carriere, come avviene in numerosi Paesi dell’Occidente: «Un obiettivo dichiarato del nostro programma. Perché rafforzare la terzietà dei giudici non è un modo per aggredire i magistrati». Alla vigilia dell’incontro al Quirinale era stata fatta trapelare la contrarietà di Mattarella alla presentazione alle Camere del disegno di legge passato in Consiglio dei ministri. Questo sì sarebbe un golpe; non è mai successo che un’iniziativa dell’esecutivo sia stata censurata dal capo dello Stato prima di essere discussa in parlamento. L’articolo 87 della Costituzione spiega che il presidente della Repubblica «autorizza» la presentazione alle Camere e solo al termine dell’iter entra nel merito della costituzionalità del testo da promulgare.Il nodo del disegno di legge sta nei due articoli sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio e sulla ridefinizione di quello molto fumoso del «traffico di influenze», pretesti per aprire inchieste su chiunque, che si concludono immancabilmente con due risultati: il discredito dell’indagato e l’assoluzione sistematica dello stesso, mentre il pm fa comunque carriera. È la felicità dei manettari, è la continua sconfitta dello Stato di diritto che poco interessa alla tifoseria giustizialista affezionata agli azzardi in voga ai tempi del guardasigilli Alfonso Bonafede, altrimenti noto come Fofò, un dj a via Arenula.La ridefinizione dell’abuso d’ufficio (la sua eliminazione tout court è incostituzionale e creerebbe attriti con l’Europa, come avrebbe ribadito Mattarella a Meloni) dovrebbe essere cara allo stesso capo dello Stato, che partecipando all’assemblea Anci di Bergamo ha definito i sindaci «le sentinelle dello Stato». Ed è molto sensibile a non vedere paralizzata l’azione dei primi cittadini, costretti a vivere nell’incubo della firma di qualsivoglia atto. La richiesta di riforma è bipartisan, vissuta anche dai sindaci del Pd (Giorgio Gori, Beppe Sala e Matteo Ricci su tutti) come un punto fermo per rendere più efficace la macchina amministrativa. Una posizione osteggiata da Elly Schlein, impegnata a non irritare il giustizialismo endemico di Giuseppe Conte e dei suoi pasdaran.Nessuna intenzione di aprire un fronte. Questo ha detto Meloni, che avrebbe tranquillizzato il Colle su un altro punto spinoso: la rimodulazione del concorso esterno, definito «un reato evanescente» da Nordio. Il braccio destro della premier, Alfredo Mantovano, ha stoppato l’idea del ministro: «Modificarlo non è in discussione, le priorità sono altre, l’esecutivo non farà passi indietro nella lotta alla criminalità organizzata. Sul concorso esterno la giurisprudenza è consolidata». Un altro tema di confronto avrebbe riguardato la terza e quarta rata del Pnrr che tardano ad arrivare per cavilli procedurali degli uffici di Bruxelles. Una tassa da pagare all’infantilismo UE, dove per ammissione dei burocrati «in Italia avevamo in filo diretto con il Pd». Le gastriti elettorali sono le più difficili da guarire.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.