2021-06-19
Per non discriminare il sospetto terrorista gli fecero compiere la strage al concerto
Ariana Grande durante il concerto di Manchester del 2017 (Getty Images)
Nel 2017 la security aveva notato l'attentatore di Manchester, ma non andò a fermarlo per paura di passare per razzista.Meglio favorire una strage che correre il rischio di passare per razzista. E strage fu. Salman Ramadan Abedi, il libico di 22 anni che il 22 maggio 2017 si fece esplodere al concerto di Ariana Grande, alla Manchester Arena, poteva essere fermato, più volte. Eppure, dal suo arrivo fino al momento in cui causò una esplosione all'altezza della biglietteria, causando 22 morti e centinaia di feriti, fu lasciato agire indisturbato a causa di una serie di incredibili defaillance della sicurezza, in almeno un caso motivate da un riflesso condizionato politicamente corretto. Lo si è appreso in seguito a una inchiesta pubblica in corso in Gran Bretagna che ha messo nel mirino le falle dell'organizzazione dell'evento. John Saunders, che presiede l'inchiesta, ha parlato di «gravi mancanze» e di «serie lacune» da parte soprattutto di Showsec, l'azienda a cui era stata appaltata la sicurezza della serata. «Salman Abedi», ha detto Saunders, «avrebbe dovuto essere identificato il 22 maggio 2017 come una minaccia dai responsabili della sicurezza dell'Arena» e se si fosse agito così «avrebbe senza dubbio fatto esplodere lo stesso il suo ordigno, ma è molto probabile che le perdite di vite umane e i feriti sarebbero stati minori». Colpisce soprattutto la testimonianza di Kyle Lawler, una degli addetti alla sicurezza, all'epoca diciotenne. L'uomo ha dichiarato di aver avuto subito un «cattivo presentimento» vedendo il giovane libico aggirarsi con fare sospetto, ma non essersi rivolto a lui per paura di essere etichettato come razzista. Lawler avrebbe in compenso cercato di contattare via radio la sala di controllo, ma senza riuscirci. Tutto questo accadeva cinque minuti prima dell'esplosione. Nell'inchiesta è stato ricordato come, delle 22 vittime, solo una si trovasse all'uscita dell'Arena, dove è avvenuta la strage, 15 minuti prima dell'attentato. Il che significa che, agendo con tempestività, il numero delle vittime sarebbe stato infinitamente minore. Lawler ha però preferito lasciar correre anziché rischiare di passare per un arcigno esponente del razzismo sistemico britannico dedico alla profilazione razziale. Non si tratta, comunque, dell'unica occasione persa per evitare la strage. Un membro del pubblico, Christopher Wild, segnalò Abedi alla guardia di sicurezza Mohammed Agha pochi minuti prima dell'attentato, ma venne liquidato con sufficienza. Lo stesso Agha non si è accorto che il terrorista agiva in modo sospetto all'ingresso dell'Arena già un'ora prima dell'attacco. Sotto accusa anche il sistema di telecamere a circuito chiuso, che aveva un punto cieco che ha permesso al libico di nascondersi. Non solo: nessuno dei quattro agenti di polizia di pattuglia era all'ingresso quando la bomba è esplosa. Anzi, due degli ufficiali, Jessica Bullough e Mark Renshaw, si erano presi una pausa di due ore per andare a mangiare un kebab a cinque miglia di distanza dall'Arena. Il che getta una luce inquietante non solo sulla securuty privata, ma anche sulle forze di polizia. Le autorità hanno in effetti dichiarato come all'epoca non fossero per nulla pronte a un attacco di quella portata lontano da Londra, il che è assurdo, dato che già da anni il terrorismo colpiva ovunque in Europa.La storia di Abedi è comunque istruttiva. Nato a Manchester da una famiglia di profughi libici fuggiti dal regime di Muammar Gheddafi, già al liceo si era fatto notare come «vittima di islamofobia», quando aveva lanciato accuse contro un professore che si era permesso di parlare male degli attentatori suicidi. Nel 2011 lui - appena adolescente - e il padre erano andati a combattere in Libia con il Libyan islamic fighting group, durante la «primavera araba» che aveva rovesciato il Rais. In seguito, i genitori erano rimasti in Libia mentre lui era tornato a Manchester, dove aveva studicchiato senza alcun profitto, usando presumibilmente i prestiti studenteschi contratti per finanziare l'attentato. Più volte segnalato come pericoloso estremista, era però considerato dalle autorità un pesce piccolo dedito alla micro criminalità. Il 22 novembre 2018, la commissione per l'intelligence e la sicurezza del Parlamento britannico ha pubblicato un rapporto in cui affermava che l'MI5, l'ente per la sicurezza interna, aveva agito «troppo lentamente» e con «una serie di carenze» nella gestione del caso di Salman Abedi. Abbiamo quindi riassunte nella parabola biografica di un solo uomo tutti i luoghi comuni che compongono il requiem per l'Europa: un «profugo» che scappa dalle «persecuzioni», le «primavere arabe», la denuncia della «islamofobia», lo stato sociale che butta soldi a pioggia per l'«inclusione» e l'antirazzismo come strategia di intimidazione e inibizione dei residui istinti di sopravvivenza. A ciò aggiungiamo un dispositivo antiterroristico buono a limitare le libertà dei cittadini normali ma non a fermare un libico con un pesante zaino che si aggira per un'ora nei dintorni di un evento affollato con fare sospetto e il quadro è completo.
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