2024-11-23
Per i maliani siamo razzisti. Però restano qui
Ilaria Cucchi. Nel riquadro, Mahamoud Idrissa Bouné, presidente dell’Alto consiglio dei maliani in Italia (Ansa)
Ilaria Cucchi porta in Senato l’associazione degli immigrati dal Paese africano e il fratello di Moussa Diarra, ucciso a Verona dall’agente che stava per colpire. Da loro non sarebbe successo, dicono. Lo spieghino alle toghe che ritengono quello Stato «insicuro».Bisogna che il governo provvede prima di subito a modificare il decreto sui Paesi sicuri. Occorre infatti inserire nell’elenco dei luoghi di origine non problematici uno Stato che finora abbiamo tutti ingiustamente trascurato e trattato con sufficienza: il Mali. Grazie a nuove e importanti informazioni apprendiamo che non soltanto non è (come invece erroneamente credevamo) una nazione in preda a terribili sconvolgimenti politici e sociali. Ma è pure una culla della civiltà a cui possiamo guardare per apprendere la maniera migliore di esercitare tolleranza e filantropia. A farcelo sapere è stato Mahamoud Idrissa Bouné, presidente dell’Alto consiglio dei maliani in Italia. Bouné era presente a una conferenza stampa intitolata «Alla prova della verità. Un processo trasparente per Moussa Diarra» organizzata in Senato su iniziativa della senatrice Ilaria Cucchi. L’evento era dedicato al caso di Moussa Diarra, ventiseienne del Mali rimasto ucciso lo scorso 20 ottobre davanti alla stazione di Verona Porta Nuova. La vicenda è nota. Diarra era presente in Italia da qualche anno, e dopo aver ottenuto un lasciapassare di due anni per protezione umanitaria non aveva ancora avuto il permesso di soggiorno. Una mattina alle 5.30 si è presentato nel piazzale della stazione di Verona e stando alle ricostruzioni prima ha aggredito due vigili gettandone uno a terra. Poi ha rotto i vetri della biglietteria e della tabaccheria dentro la stazione. Infine, un paio di ore dopo, si è ripresentato sulla scena con un coltello in mano, avvicinandosi a un agente della Polfer che a un certo punto ha esploso tre colpi di cui uno mortale. Il problema è che alcuni esponenti di spicco della comunità maliana in Italia, a partire dall’ottimo Mahamoud Idrissa Bouné, contestano questa ricostruzione. «Il procuratore ci ha detto che aveva visto i video e Moussa aveva un coltello in mano. Tre settimane dopo mi è stato detto che le telecamere di zona non erano in grado di registrare», ha detto Bouné in Senato. Poi, non contento di aver contestato il procuratore veronese, il nostro ha inteso dare una lezione a tutti gli italiani: «Purtroppo abbiamo un governo razzista», ha dichiarato. «Noi faremo di tutto, qualsiasi cosa serva per arrivare alla verità. Se un poliziotto maliano uccide un italiano in Mali va in prigione, perché non ha fatto formazione per uccidere una persona. Vogliamo la verità, perché Moussa è stato ucciso». Bouné non è il solo a pensarla così. Che siamo razzisti lo crede anche Djemanga Diarra, fratello di Moussa anche lui presente in Senato alla conferenza stampa di Ilaria Cucchi. «Ho provato a chiedere più volte di vedere i video tramite il mio avvocato, ma fino adesso non ho avuto risposte. Perché le telecamere non funzionano in una grande stazione?», ha detto Djemanga. «lo penso che non me li stanno mostrando perché sono una persona di colore, perché se fossi stato italiano, non avrebbero potuto guardarmi in faccia e dire che le telecamere non sono funzionanti». Ma certo: se il povero Djemanga fosse bianco di sicuro gli si spalancherebbero le porte degli uffici pubblici, la burocrazia si snellirebbe in un lampo e la macchina della giustizia si inchinerebbe al suo cospetto per servirlo. Chissà, magari le cose stanno effettivamente così. Magari hanno ragione i due amici maliani ad accusarci di razzismo. Ci domandiamo però: se la nostra nazione è così terribile e ingiusta nei riguardi dei neri, per quale motivo migliaia di maliani continuano a venire qui? Stando ai più recenti dati del Viminale dal Mali è giunto il 3% degli stranieri approdati sulle nostre coste quest’anno. Forse dovremmo informare tutti costoro che qui da noi avranno una vita grama, saranno perseguitati perché neri e magari presi a colpi di pistola dagli agenti di polizia. Il fatto è che, nonostante tutto ciò, i maliani continuano a venire in Italia e i tribunali italiani continuano a negare il rimpatrio ad alcuni di loro. Poche settimane fa il tribunale di Roma ha sancito che un cittadino del Mali non si poteva rimandare a casa per via della «sussistenza di un conflitto armato interno e internazionale in tutto il Mali (in particolare, nella zona di Koulikoro)». Qualche mese fa a Reggio Calabria stessa storia: rimpatrio negato «alla luce della grave situazione sociopolitica e di generalizzata insicurezza che regna attualmente in Mali, in quanto il suo eventuale rimpatrio lo esporrebbe ad un elevato rischio di vedere violati i propri diritti umani, se non addirittura la vita».Conoscendo quale sia la prassi dalle nostre parti possiamo anche concedere che in qualche caso le ragioni fornite dai tribunali siano un tantinello esagerate. Resta che abbiamo seri dubbi sul fatto che in Mali un poliziotto che spara a un bianco finisca in galera, come ha affermato ieri Mahamoud Idrissa Bouné. Magari il ministro degli Esteri del Mali potrà aiutarci a fare chiarezza lunedì o martedì della settimana che arriva: è previsto che giunga qui proprio per occuparsi della morte di Moussa Diarra. Vedremo se anche lui ci accuserà di essere razzisti: casomai gli venisse il capriccio di farlo, si potrebbe invitarlo a far rimpatriare immediatamente tutti i suoi connazionali che ancora ospitiamo. A casa propria si troverebbero sicuramente meglio, e non sarebbero toccati qualora si aggirassero armati di coltello nei pressi delle stazioni.