2025-01-29
Mafia nigeriana, arrestati 8 pusher a Bari
La Questura di Bari (Imagoeconomica)
Per la Dda gli spacciatori, attivi anche nel centro per immigrati locale, erano in contatto con le violentissime cosche africane. Nelle intercettazioni la violenza del gruppo: «Facciamolo sparire prima! Molto presto!». Sequestrati anche 25 chili di droga.Tutto è cominciato con l’arresto a Monaco di Baviera di un nigeriano che aveva in tasca pochi grammi di marijuana. La polizia tedesca nota l’uomo aggirarsi con fare sospetto tra i binari di una stazione affollata. La segnalazione arriva dritta in Italia, agli uffici della Direzione centrale per i servizi antidroga del ministero dell’Interno, perché contiene una soffiata: il nigeriano ha comprato la droga da un connazionale in stazione a Bari, e l’uomo si chiama «Ifany». Bari, con il suo quartiere Libertà, è un microcosmo di contrasti. Tra mercati improvvisati, capannelli di persone agli angoli delle strade e occhi che si incrociano con diffidenza. Agli investigatori della Squadra mobile di Bari è bastato quel nome per risalire a Ifeanyi Ezeiru, che si è rivelato «al vertice» della banda «con indiscussa autonomia decisionale». Ed è scattata l’inchiesta. Intercettazione dopo intercettazione, si srotola un mondo sotterraneo di violenza e droga, nascosto dietro la facciata apparentemente placida della città. La Procura antimafia di Bari parla di un «sodalizio» dedito allo spaccio, con esponenti in contatto con la confraternita di matrice cultista dei Black Axe e degli Aye, gruppi della potente mafia nigeriana. «Mafia Africa», la chiama uno degli indagati nelle intercettazioni, piene di racconti su regolamenti di conti. «Quando lo prendiamo lo devo sparare», dice Muhammed Barry, uno degli indagati, riferendosi a un tizio che a suo dire starebbe con «Black people (probabilmente un gruppo avverso, ndr)». Le telefonate sono un mosaico di parole crude, di piani e vendette: «Facciamolo sparire prima! Molto presto! Dobbiamo farlo sparire». È un linguaggio intriso di paure e di dominio, quello che risuona nei vicoli bui e nelle piazze del quartiere. Nel corso delle indagini, che ieri hanno portato all’emissione di quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere e di quattro ai domiciliari, sono stati sequestrati 25 chili di sostanze stupefacenti e mille pasticche di tramadol. Le sostanze passavano di mano in mano con un sistema rodato, in cui i «Short Nika», ovvero «pantaloncino», stava per indicare il mezzo chilo di marijuana da consegnare. Frasi che sarebbero servite a mascherare i traffici illeciti. Il gruppo aveva occupato il quartiere Libertà, rifornendo spacciatori stranieri, alcuni gambiani, attivi nelle piazze baresi, incluso il Cara (il centro per richiedenti asilo). Da lì, la rete si espandeva a Taranto, Matera, Salerno e Napoli. I soprannomi degli indagati, Spatta, Choir Master, One Love, risuonavano nelle intercettazioni come segni distintivi di un sistema che funzionava come una macchina ben oliata.Eppure, col crescere della pressione investigativa, i capi iniziarono a fiutare il pericolo. Bari era diventata improvvisamente ostile. «Perché non mi hai detto che la città non è tranquilla?», dice Offor. Ezeiru ribatte: «Per come stanno le cose non mi piace la situazione in città». L’atmosfera si fa pesante, carica di tensione. I due decidono di comunicare tramite Voip (ovvero usando la linea web), cercando di eludere le intercettazioni. Ma il cerchio si stringe. Uno dopo l’altro, gli indagati vengono fermati. Eremosele, in ansia, riferisce: «C’è un mio ragazzo piccolo, l’hanno preso... l’ho mandato a fare una cosa e i poliziotti lo hanno preso. Fammi andare subito a casa a togliere le cose». La paranoia cresce, ma il gruppo continua a resistere. «Non parlerà! Non parlerà!», ripetono, aggrappandosi a un filo di speranza. A spezzare la resistenza è stato un pentito: Derrik Osayomore. Le sue parole sono state come un faro puntato nelle zone d’ombra dell’organizzazione. È stato lui a rivelare dettagli cruciali, come i traffici che avvenivano al Cara di Bari. Lì gli investigatori hanno documentato cessioni di stupefacente e incontri segreti. Tra le figure chiave identificate, emerge quella di Lugard Okafor, indicato come «Dual emeritus» di una confraternita nigeriana. E poi c’erano i clandestini. Pure loro impiegati come pusher. «Mi hanno fatto l’impronta digitale in Questura e mi hanno detto che non ho il permesso di soggiorno», si sfoga a telefono Madou Lamin Touray. Dai vicoli del quartiere Libertà fino agli angoli bui del Cara, la rete si espandeva grazie a donne come Becky Okoye, descritta dagli inquirenti «in una posizione apicale dell’associazione». È a lei che nelle telefonate i pusher chiedevano «il pantaloncino». Ma era droga. Oppure «middle one», o anche «working cloth». Le quantità: 10, 15, 20. Probabilmente i grammi da dare in pasto agli assuntori. E la qualità: «Quello nero» o «quello verde». I più assidui le chiedevano «quella dell’altra volta» o «quella buona». Il nome di Becky si ripete nell’ordinanza per ben 318 volte ed è quasi onnipresente nei capi d’imputazione. Stando agli inquirenti sarebbe il cuore pulsante del traffico, una figura che avrebbe orchestrato tutto con precisione: «Pronto mama, non so come stai messa... volevo venire a prendere una bustina di medicina... quella da 30!», dice a telefono Okafor, che, è emerso, parlava proprio con la donna. Stando alle accuse, avrebbe provveduto lei stessa «all’organizzazione e alla direzione del traffico di stupefacenti». Insieme al marito: Ifeanyi Ezeiru, ovvero il primo nome dell’inchiesta, il nigeriano segnalato dalla polizia tedesca. Il presunto capo della banda. Lui il permesso di soggiorno lo aveva ottenuto nel 2019 e stava cercando di rinnovarlo. Nella pratica ha inserito un numero di cellulare che gli investigatori non avevano ancora agganciato. Una mossa che gli è stata fatale.
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