2019-04-20
        Madre surrogata si tiene il bimbo e poi quasi lo ammazza di botte
    
 
Un'agghiacciante storia dagli Usa mostra i pericoli della pratica aberrante: una donna scelta per far nascere il bambino di un single fa togliere il piccolo al padre con un raggiro, poi lascia sul neonato danni permanenti.Nella notte del 1 giugno 2017, al pronto soccorso del Penn State Hershey Children's Hospital, arriva un bambino di sole tre settimane. Il suo piccolo corpicino è ridotto a uno straccio. Il cranio è fratturato in diverse parti, così come le sue braccia. In corso ci sono diverse emorragie, di cui la più grave è quella agli occhi. Il numero di ematomi è incalcolabile, così come la gravità dell'edema cerebrale e dei danni alla colonna vertebrale. Dopo 72 ore di lotta tra la vita e la morte, i medici annunciano che solo un miracolo risveglierà il piccolo Cael la cui giovane vita si consumerà lentamente in un letto d'ospedale in stato vegetativo. A ridurre il neonato in fin di vita è stata Amanda Lynn Gotshall, 28 anni, madre surrogata del bambino. Il suo gesto estremo, secondo gli psicologi che hanno analizzato il suo profilo, è stato dettato da una profonda crisi post parto dovuta alla prematura separazione dal neonato. A raccontarci su Facebook la lunga battaglia di Cael è Dave Weroha, il papà del piccolo, colui che per primo scelse Amanda per essere la sua surrogata. La loro storia inizia come tante altre. Dave, single, vive in Kansas. Da sempre nutre il desiderio di diventare padre. «La maternità surrogata mi sembrava l'unica soluzione e così, nel 2016, ho messo un annuncio sul web». A rispondere è Amanda. «Con lei ho sentito subito un certo feeling», continua a raccontare il papà di Cael, «Amanda aveva già cinque figli e sapendo del mio desiderio di non affidarmi a cliniche specializzate ha acconsentito alla mia volontà di effettuare il tutto tramite una procedura in vitro». La cifra pattuita per quella compravendita era di 40.000 dollari. «Raccogliere quella somma ha richiesto anni di sacrifici, ma ero pronto a spenderla per diventare finalmente padre e avverare il mio unico desiderio: crearmi una famiglia». Tutto sembra filare liscio. Amanda resta immediatamente incinta, dopo qualche mese scopre di aspettare un maschietto. «Qualcosa qui si rompe. La notizia di aspettare un maschio la stravolge completamente. Inizia a diminuire la frequenza con cui mi permette di farle visita, mi chiede sempre più spesso quale ruolo avrà nella vita del piccolo». Dave, tuttavia, non si insospettisce di nulla. Anzi. Continua a viziare la donna fino al giorno del parto. Amanda mette al mondo un bambino bellissimo, Cael. Tutto sembra risolversi con la nascita del piccolo. I due tornano a vivere nel Kansas. Rimangono in contatto con Amanda e la vita sembra scorrere serena. Ma l'idillio dura solo tre settimane. «È il 22 gennaio del 2017 e sono le 4.50 del mattino quando vengo buttato giù dal letto dalla polizia di Kansas City. La loro richiesta è semplice: vogliono vedere il bambino», racconta Dave, «e io non mi sono opposto, li ho portati da Cael che dormiva nella sua culla. Mentre li vedevo allontanarsi dal vialetto di casa ho guardato mio padre e gli ho detto: Amanda sta arrivando». Inizia così un incubo. La donna si presenta il giorno successivo alla porta di Dave Weroha con polizia e assistenti sociali: un giudice di Elizabethtown, in Pennsylvania, aveva concesso ad Amanda l'affido esclusivo del bambino. A firmare l'atto di custodia il giudice Leslie Gorbey che, alla fine di questa storia, verrà condannata per abuso di potere. Nonostante infatti Dave fosse in grado non solo di provare la paternità del bambino con un test del Dna ma anche di consegnare tutti i documenti che comprovavano la «vendita» del piccolo, il giudice Gorbey non sentì ragioni e proibì all'uomo di vedere suo figlio. «Il dolore era immenso. Sentivo che qualcosa era sbagliato. Ma non potevo fare nulla se non aspettare». Dopo sei mesi di affido, Cael viene ricoverato in ospedale in fin di vita. «Si scopre solo in questo momento che Amanda Gotshall aveva una lunga storia di abusi su bambini sia in Ohio che in Pennsylvania e che i servizi sociali stavano indagando su di lei. «Cael era relegato in un letto d'ospedale, intubato. Non rispondeva a nessun tipo di stimolo, nemmeno alla luce. Ero disperato. Ma non poteva finire così». Dopo due anni di lotte in tribunale, Amanda è stata condannata con le accuse di abuso su minore, intimidazione, ostruzione della giustizia e ritorsione nei confronti di Dave Weroha che, finalmente, ha ottenuto l'affido esclusivo del suo bambino. Con Amanda è stato condannato anche Daniel DeLeon, 29 anni, ex marito della donna. Il primo a essere stato accusato di aver ridotto Cael in fin di vita. Secondo la ricostruzione del giudice, infatti, Amanda Gotshall aveva costretto una delle figlie a mentire alla polizia indicando il padre come unico aggressore del piccolo. Solo grazie a una piena confessione della bambina è stato possibile incriminare la donna che ora è richiuda nella prigione della contea di Lancaster in Pennsylvania. Quello che non viene raccontato da chi crede ancora che la surrogazione di maternità come un gesto altruistico, è che questo bimbo è due volte vittima di una pratica aberrante che, oltre a negargli la possibilità di crescere al fianco di una mamma, lo costringerà per sempre a convivere con danni fisici permanenti. Nonostante le decine di interventi chirurgici, il bimbo ancora oggi fatica a tenersi su due piedi e forse non riuscirà mai a camminare. Così come, con tutta probabilità, il bimbo non parlerà mai ma sarà costretto per sempre a comunicare gesticolando. La sua vita non sarà mai spensierata come quella di un bambino di tre anni. Cael e le cicatrici sul suo corpo sono la dimostrazione di come quell'«amore» professato dalle donne che si offrono come surrogate sia, in realtà, un sentimento malato che si infiamma quando incontra l'opportunità di ottenere un gruzzoletto di soldi facili. Ma non solo. Questo bambino è, e sarà per sempre, la prova vivente che la pratica dell'utero in affitto rovina vite anziché migliorarle come invece gli esperti del buonismo continuano a professare.
Come si raccontano ristoranti, piatti e grandi chef sulla Rete? Ne parliamo con due esperti del settore che ci regalano consigli e aneddoti