Fuori gioco su energia e terre rare. Perché ora Macron «chiama» Putin

Finalmente qualcuno in Europa ha capito che l’Unione europea e l’asse dei volenterosi si stavano lentamente condannando alla irrilevanza. Perché al netto della retorica, i fatti ci dicono una cosa chiara da tempo: pensare di isolare Putin e rinunciare al dialogo era una «non mossa politica». E infatti il primo leader europeo che ha cercato apertamente il Cremlino è stato il presidente francese Macron, approfittando dello stallo delle trattative a Miami che puntavano su un trilaterale che portasse al tavolo America, Russia e Ucraina. Il presidente francese avrebbe fatto la prima mossa: del resto lui era stato l’ultimo a incontrarlo. Secondo le indiscrezioni Macron aveva già messo in moto la macchina diplomatica alla vigilia del suo viaggio in Cina, cercando lì una sponda; preferì però non forzare alla luce delle tensioni che il bilaterale stava portando a galla.
Stavolta è andato sul canale diretto. E infatti nella notte tra sabato e domenica il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, dichiarava all’agenzia Ria Novosti: «Il presidente russo Vladimir Putin è pronto al dialogo con il presidente francese Emmanuel Macron».
Ieri le intenzioni dell’Eliseo diventavano chiare a tutti attraverso le parole attribuite a fonti vicine a Macron dopo la dichiarazione di Peskov: «Ora che la prospettiva di un cessate il fuoco e di negoziati di pace sta diventando più chiara, è di nuovo utile parlare con Putin». Poco prima la presidenza francese aveva fatto sapere che le condizioni del colloquio tra Macron e il presidente della Federazione russa «saranno decise nei prossimi giorni». Di più: sempre secondo fonti vicine al presidente francese l’Eliseo ritiene «gradito» che Putin sia disposto a parlare con Macron.
Proviamo a capire lo scenario che c’è dietro.
1 Putin non è isolato. Si tratta della scommessa persa dall’Unione europea e dall’asse dei volenterosi, del quale Macron era colonna portante con Merz e con Starmer. Una posizione tenuta a galla nonostante i fatti andassero verso tutt’altra direzione: soprattutto in quest’ultimo anno di guerra la Russia ha rafforzato i suoi legami politici ed economici con la Cina (anche a costo di rimetterci rispetto al prezzo del gas e del petrolio venduto a Pechino), con l’India di Modi (il cui approvvigionamento di petrolio è stato riconfermato nonostante i dazi Usa; l’Italia compra dall’India il petrolio russo raffinato), con gli altri Paesi Brics, con la Turchia, con molti Paesi africani, con l’Iran e persino con la Siria. E, last but not least, il rapporto con l’America di Trump, con tanto di invito in Alaska, cerimonia di gran rispetto e un corollario di trattative commerciali e finanziarie affidate a tre uomini d’affari: a Witkoff (miliardario immobiliare e magnate delle criptovalute) e al genero di Trump Kushner per gli Usa, mentre per il fronte russo a Kirill Dmitriev, capo del fondo sovrano russo, ex McKinsey e Goldman Sachs. Insomma, solo l’Europa si ostinava a non voler parlare con Putin, preferendo la tara morale al cinismo della ragion politica ed economica.
2 Le grandi partite energetiche. La minaccia di ritorsioni da parte di Putin rispetto alle grandi aziende anche europee presenti in Russia ha fatto emergere un dietro le quinte di cui si sa ma su cui si preferisce inserire la sordina: l’Europa continua a fare affari in Russia, nonostante le sanzioni. Ci sono fior di multinazionali che operano lì e fanno business in ogni settore: molte operano con sedi in loco, tante altre si limitano a triangolazioni. Tra le multinazionali presenti a Mosca c’è la francese TotalEnergies, la quale ha importanti quote nella società petrolifera Novatek (19,4%) e in quella del gas Yamal Lng (20%), per un valore di oltre 10 miliardi di euro. Si tratta di due delle società energetiche russe che Trump aveva messo nel mirino delle sanzioni ma che poi ha silenziosamente e progressivamente salvato. E qui c’è il nodo della grande partita energetica, nella quale la Francia non può restare isolata.
3 Total, Exxon e le company energetiche russe. Uno dei punti che più interessano agli analisti finanziari americani riguarda il risiko delle società. Secondo il Wall Street Journal le trattative tra Usa e Russia avrebbero un coté di tutto rispetto all’estrazione di terre rare e all’energia. Sempre secondo il giornale americano, il vicepresidente della Exxon Mobil, Neil Chapman, avrebbe incontrato in segreto a Doha Igor Sachin, ex compagno di Putin nel Kgb e oggi capo del colosso pubblico del petrolio Rosneft, per discutere il ritorno della major americana nei grandi progetti di investimento. Secondo diversi analisti specializzati, Trump vorrebbe tentare anche una zampata che sarebbe letale per il mercato europeo: usare Exxon (attraverso una nuova società con i russi) come centrale d’acquisto dell’energia russa da vendere a prezzi maggiori rispetto a quelli che ieri l’Europa e oggi la Cina ha strappato a Mosca. Putin sarebbe ben lieto di fare questo sgambetto alle nostre economie. In uno scenario del genere la Total rischierebbe di restare a guardare il risiko composto sull’asse Usa-Russia. Per questo avrebbe mosso il presidente in scadenza Macron al fine di ripristinare i contatti.
4 Il governo italiano. Alla Meloni va riconosciuto il merito di aver vinto la partita sul non impiego degli asset russi congelati. Proprio per questo avrebbe dovuto cercare di attivare i collegamenti con il Cremlino e bruciare sul tempo Macron con dichiarazioni esplicite. E lasciare così alla Commissione il cerino delle dichiarazioni deliranti contro la Russia. L’ha fatto Macron, aprendo una partita nuova.





La centrale idroelettrica di Venaus
