
Si allarga il nuovo caso Alexandre Benalla: l'ex bodyguard avrebbe gestito una politica estera parallela, usando due passaporti diplomatici. Dalle botte ai manifestanti ai pettegolezzi sul suo legame con il presidente, tutta la verità su un faccendiere dal potere inspiegabile.Dai gilet gialli all'uomo nero. La coda del 2018 è popolata di incubi, per Emmanuel Macron. L'uomo nero è Alexandre Benalla, il suo ex factotum, nero non tanto per la carnagione (l'origine marocchina gli ha lasciato semmai in dote un incarnato olivastro), ma nel senso dell'oscurità delle trame, di ciò che avviene all'ombra del potere. Che ci faceva, per esempio, l'ex bodyguard in Ciad, a inizio dicembre, solo poche settimane prima di una visita ufficiale di Macron nel Paese? E in Congo e Camerun, dove si è recato qualche tempo prima, assieme all'uomo d'affari franco-israeliano Philippe Hababou Solomon e ad alcuni turchi non meglio identificati? E in Israele, altra nazione toccata dall'instancabile e imperscrutabile attivismo diplomatico di Benalla? Lo scorso ottobre, invece, era stato avvistato al Chinese Business Club, a un evento con degli investitori del Paese orientale. Sempre nel mese di ottobre, Libération aveva svelato un incontro tra Benalla e Alexandre Djouhri, un faccendiere implicato nello scandalo dei finanziamenti libici a Nicolas Sarkozy, molto influente in diversi Stati africani. Singolare protagonismo per uno appena degradato, che dovrebbe quanto meno mantenere un basso profilo, dopo aver messo nei guai l'inquilino dell'Eliseo per aver aggredito, con un casco da poliziotto, dei manifestanti a margine di una manifestazione politica. Il 26 dicembre, Benalla spiegava con candore a Le Monde che questi viaggi erano stati condotti senza passaporto diplomatico, prontamente restituito dopo la bufera politica scoppiata sul suo conto. Un'altra balla: il giorno dopo, il sito Mediapart dimostrava il contrario, fornendo anche il numero del documento: 17CD09254. Un passaporto diplomatico consegnato il 24 maggio scorso. Ovvero nel periodo di tempo intercorso tra il pestaggio del 1° maggio e lo scoppio del caso, avvenuto in luglio su Le Monde. Che si sia voluto fornire un salvacondotto a un personaggio che stava per essere investito da una bufera? Molto resta ancora da chiarire, perché i passaporti diplomatici sarebbero due. L'entourage di Benalla ha inoltre spiegato che i documenti gli sarebbero stati restituiti agli inizi di ottobre da un dipendente dell'Eliseo. In ogni caso, sta di fatto che la diplomazia di un Paese con testate nucleari e seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, oltre che padrone fattuale dei destini di mezza Africa, sembra passare per le mani di questo coatto palestrato il cui potere resta ancora in gran parte inspiegabile. In Ciad, tanto per dire, Benalla avrebbe incontrato il presidente Idriss Déby, oltre al fratello, capo della direzione generale della riserva strategica. A che titolo? Lo scorso 22 dicembre, il direttore del gabinetto del presidente, Patrick Strzoda, ha chiesto spiegazioni sui viaggi del bodyguard. Il Quai d'Orsay, cioè la Farnesina francese, ha dal canto suo chiarito di aver «chiesto la restituzione» dei passaporti diplomatici a fine luglio, come se fosse la biblioteca comunale che reclama un libro tenuto in prestito per troppo tempo e non un ramo dello Stato che deve tutelare la sicurezza nazionale. Perché tutta questa timidezza? Perché lo Stato francese non dà un calcio nel sedere all'uomo che sta procurando tanti imbarazzi? Forse la risposta è in una frase sibillina pronunciata da Benalla in questi giorni: «Non starò più in silenzio». Il che ha proprio tutta l'aria di essere un avvertimento a chi di dovere su determinati segreti che è meglio non escano fuori. Viene davvero da chiedersi come si sia potuti giungere a questo punto. E allora rivediamo tutto il film dall'inizio. Alexandre Benalla nasce l'8 settembre 1991 in una banlieue di Evreux, in Normandia, da una famiglia marocchina. I genitori, due professori, non sono degli sbandati, ma il padre pare fosse violento e incline a riportare il figlio in Nordafrica, cosa non permessa dalla madre dopo la separazione dei due. Il ragazzo comincia a interessarsi di sicurezza già a 14 anni, quando frequenta uno stage sull'argomento. Nel frattempo pratica rugby e mette su un bel fisico, cosa che ne aumenta la sicurezza e anche un po' la strafottenza. Aderisce ai giovani socialisti e, a partire dal 2011, è incaricato della sicurezza di diversi dirigenti del partito, da Martine Aubry a François Hollande, per diventare poi autista del ministro Arnaud Montebourg. Quando Macron fonda En Marche, fiuta l'occasione e diventa responsabile della sicurezza del partito. Dopo l'elezione del suo nuovo mentore, riceve le chiavi dell'Eliseo. È l'uomo ombra di Macron: segue il leader ovunque, gli guarda le spalle, ma è molto più che un semplice bodyguard. La sua ambizione, è chiaro, è quella di prendere in mano l'intera gestione logistica dell'Eliseo. Il suo piano fila liscio, in barba a regole e consuetudini, fino a quel maledetto 1° maggio in cui viene immortalato mentre strattona violentemente dei manifestanti. Un caso montato ad arte per gelosie professionali, si difenderà lui, giocando la carta della discriminazione: «Un ragazzo di 25 anni, che non ha fatto l'Ena (la scuola dell'alta amministrazione francese, ndr), che non è sottoprefetto - sono il solo di tutta la squadra a non esserlo, sono l'extraterrestre della banda - e che, in più, dice le cose in faccia in un luogo in cui regnano i non detti, evidentemente suscita rancori». Un parvenu che ha fatto questa carriera fulminea, in effetti, genera gelosie. E pettegolezzi. «Benalla non è il mio amante e non ha i codici nucleari», sarà costretto a precisare, sia pur in maniera ironica, Macron. Particolare grottesco: Benalla ha anche un profilo su Tinder, la popolare app per incontri. Nelle foto postate, alcune lo ritraggono insieme al presidente, utilizzato come specchietto per le allodole per rimorchiare. Il suo nickname, inoltre, è Mars, ovvero Marte, laddove Macron si è sempre fatto chiamare Iuppiter, cioè Giove. Un rompicapo che imbarazzerebbe persino il grande indagatore delle religioni indoeuropee, Georges Dumézil. C'è lo zampino di Benalla anche in un altro caso spinoso. È stato infatti lui ad aver presentato a Macron un'altra delle sue guardie del corpo: Makao, un rugbista congolese alto 2,13 metri, che tuttavia annovera tra le proprie conoscenze anche Jawad Bendaoud, l'affittacamere dei terroristi del Bataclan, come comprovato da alcune story di Instagram, pubblicate sul profilo di Bendaoud, in cui i due sono insieme. Un caso sfortunato, forse, ma resta il fatto che Benalla ha anche la responsabilità di aver drasticamente ridotto i gradi di separazione tra l'Eliseo e l'Isis. Scusate se è poco.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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