2020-07-22
Macron ha ignorato gli alert del suo ministro della sanità, la Francia poteva evitare il lockdown
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A oggi in Francia sono oltre 30.000 i decessi a causa del Coronavirus. Ma mentre l'Italia viveva per prima in Europa l'emergenza sanitaria, il Paese guidato da Emmanuel Macron rimaneva a guardare minimizzando il problema e criticando la sanità italiana. Una bozza di lockdown localizzato e l'"effetto Chernobyl". Dopo la scoperta di focolai nel Paese e un principio di contenimento, la Francia è tornata a tranquillizzare i cittadini spiegando che il Covid-19 era circoscritto in alcune aree e non avrebbe toccato Parigi. Una strategia già adottata ai tempi del disastro nucleare sovietico. Il drammatico appello dei giornalisti francesi in Italia. I cronisti inviati in Italia già il 12 marzo scrivevano della situazione critica del Bel Paese. Trasferimento dei malati di Covid. Per i pompieri è stata una "sbruffonata". Dopo aver annunciato in diretta nazionale l'inutilità delle mascherine contro il Coronavirus, la Fnspf, l'organismo di rappresentanza dei vigili del fuoco ha definito una «una pura operazione di comunicazione» l'idea di impiegare treni-ospedale per trasferire con l'alta velocità dei malati dalle regioni più colpite a quelle risparmiate dal virus. Lo speciale contiene quattro articoli.In Francia i morti a causa del Coronavirus sono stati 30.177 (aggiornamento al 22 luglio 2020, ndr.). Anche dall’altra parte delle Alpi, l’arrivo del morbo cinese ha coinciso con una tragedia umana e con un congelamento dell’economia, i cui effetti hanno messo in ginocchio il sistema produttivo nazionale e provocheranno un’ondata di licenziamenti.Purtroppo gli elementi in comune con ciò che è accaduto in Italia sono molti e, anche qui, nessuno sarà mai in grado di far tornare indietro le lancette dell’orologio all’inizio del 2020, quando ancora si credeva che il Covid-19 fosse stato circoscritto alla provincia di Wuhan, nel cuore della Cina. Anche in Francia si credeva che questa nuova malattia fosse una parente della Sars e che sarebbe rimasta lontano dall’Europa.E così, anche quando il virus ha iniziato ad assumere proporzioni inquietanti nella vicina Italia, il governo francese non si è allarmato più di tanto. Quando la Francia aveva ancora un vantaggio di una decina di giorni rispetto al nostro Paese, l’esecutivo transalpino ha perso tempo prezioso e non è corso ai ripari. Anzi, osservando ciò che accadeva nel nostro Paese, alcuni esponenti governativi e commentatori transalpini hanno lasciato intendere che l’Italia fosse una nazione del terzo mondo.«A pensar male degli altri si fa peccato. Ma a volte ci si indovina» diceva Giulio Andreotti. E così, viene da chiedersi se, quando il vulcano Covid-19 stava per eruttare e riversare anche sulla Francia la sua colata lavica di morte e sospensione delle libertà, le autorità francesi fossero davvero certe della grandeur, anche sanitaria, del loro Paese rispetto alla presunta piccolezza italiana. Oppure se si sia trattato solo di miopia da parte del governo allora guidato da Edouard Philippe? Il sospetto è forte. Va riconosciuto che la gestione di questa pandemia non è stata per niente semplice. Ma proprio per questo, forse, sarebbe servita meno leggerezza. Come quella contenuta nelle parole dell’allora portavoce del governo Sibeth Ndiaye che all’uscita dal Consiglio dei ministri francese dichiarava: «l’Italia ha preso delle misure che non hanno permesso di fermare l’epidemia». Qualche giorno prima, l’8 marzo, il sito del quotidiano cattolico La Croix titolava «Coronavirus, l’Italia non sufficientemente attrezzata di fronte alla crisi sanitaria» (Titolo originale : "l'Italie sous-équipée face à la crise sanitaire"). Un’allusione infelice ad una supposta inferiorità italiana? Fortunatamente non sono mancati gli apprezzamenti, come quello di Jérôme Gautheret - corrispondente di Le Monde in Italia - che, rispondendo a dei lettori che chiedevano se il numero di morti nel nostro Paese fosse legato ad una minore qualità del sistema sanitario dello stivale, offriva una chiave di lettura molto chiara. «Le due provincie in cui la situazione è più estrema - spiegava il giornalista francese riferendosi a Bergamo e Brescia - riuniscono le migliori strutture sanitarie d’Italie e senza dubbio tra le migliori d’Europa. Ma quando c’è un tale afflusso di malati, nessun sistema è efficace».Ma in Francia fino ai primi giorni di marzo, il governo continuava a relativizzare il problema. L’11 marzo ad esempio, l’allora primo ministro Edouard Philippe, aveva detto chiaro e tondo ai microfoni del canale Tf1 che indossare le mascherine protettive per strada «non serve a nulla». Il giorno dopo una trentina di giornalisti francesi e francofoni residenti in Italia avevano pubblicato una tribuna per allertare la Francia e la UE, sulla base della loro esperienza nel nostro Paese. Ma il governo ha continuato con le capriole semantiche. Ndiaye ha offerto un’altra “perla” su Bfm Tv affermando che l’utilizzo delle mascherine richiedeva «dei gesti tecnici precisi». In realtà, anche in Francia, la mancanza di mascherine era impressionante. Nonostante il confinement (il lockdown in francese, ndr.) sia iniziato il 17 marzo, l’ammissione di colpa da parte del governo è arrivata qualche settimana dopo anche grazie alle rivelazioni di una presentatrice TV, Marine Carrère d’Encausse. Nel frattempo, un po’ come ha fatto Giuseppe Conte in Italia, Emmanuel Macron ha moltiplicato le uscite pubbliche e i proclami. Uno di questi è stato quello relativo al trasferimento dei malati di Covid - con dei treni attrezzati - dalle regioni più colpite agli ospedali di zone risparmiate dal virus. Un’idea perfetta sulla carta, ma estremamente costosa e potenzialmente pericolosa per i pazienti, come hanno detto i pompieri in un rapporto che doveva restare segreto, di cui parleremo in questo focus.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/macron-ha-ignorato-gli-alert-del-suo-ministro-della-sanita-la-francia-poteva-evitare-il-lockdown-2646450109.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="una-bozza-di-lockdown-localizzato-e-l-effetto-chernobyl" data-post-id="2646450109" data-published-at="1595432289" data-use-pagination="False"> Una bozza di lockdown localizzato e l' “effetto Chernobyl” Quando in Francia sono stati individuati i primi contagi, le autorità hanno dato l’impressione di essere pronte a gestire la situazione. Ad esempio, non appena si è scoperto che un turista britannico aveva soggiornato a Singapore, prima di andare a sciare sulle Alpi francesi, aveva contagiato 11 persone, si è subito messa in moto la macchina per tracciare la possibile diffusione del virus.In parallelo, alcune centinaia di francesi residenti a Wuhan sono state rimpatriate con dei voli speciali. Una volta rientrati nel proprio Paese, sono stati messi in quarantena in un villaggio vacanze a Carry-Le-Rouet. Un comune sulla costa mediterranea vicino a Marsiglia. Dopo queste iniziative però, si è avuta l’impressione che qualcosa fosse cambiato nella strategia adottata per gestire la crisi.Nel frattempo il numero dei focolai dell’epidemia continuava ad aumentare. Due dipartimenti (le province francesi, ndr) destavano le maggiori preoccupazioni. Si trattava dell’Oise, posta ai confini con la regione parigina e dell’Haut-Rhin, in Alsazia. In quest’ultima zona, si era scoperto che un raduno di una chiesa evangelica locale - svoltosi a febbraio con la partecipazione di circa 2.000 persone - aveva permesso al virus di accelerare la propria corsa. Molti partecipanti al meeting erano tornati alle proprie case, senza sapere di aver contratto il Covid. E così, nel giro di poco tempo si è assistito alla nascita di nuovi cluster un po’ ovunque in Francia : Corsica, Guyana, Aquitania. La lista continuava ad allungarsi.Ma l’Oise e l’Haut-Rhin, sono stati i primi dipartimenti a chiudere le scuole già a partire dall’8 marzo. Gli abitanti di queste zone erano invitati a limitare gli spostamenti. Tuttavia, nei fatti, la gente si muoveva ancora. I treni regionali continuavano a collegare l’Oise a Parigi o Mulhouse a Strasburgo. In pratica il cordone sanitario che avrebbe dovuto rallentare la circolazione del virus era piena di brecce.C’era poi la strana situazione di Parigi. Ufficialmente, nella capitale non venivano segnalati casi. Qualcuno, ironicamente, ricordava l’ “effetto Chernobyl”. All’epoca dell’incidente alla centrale nucleare sovietica, le autorità transalpine avevano tentato di rassicurare i propri compatrioti spiegando che la nube radioattiva si era fermata alle frontiere francesi. Cosi anche il Covid, sembrava essersi immobilizzato al di là del raccordo anulare che circonda Parigi. Solo nella settimana precedente all’inizio del lockdown, si è parlato dei primi casi nella capitale francese. Il 5 marzo è stato rivelato che una dipendente della Ratp - l’azienda del trasporto pubblico parigino - che lavorava sulla linea 6 del metrò era stata contagiata. Il 9 marzo, una classe di una scuola elementare del 15° arrondissement è stata chiusa dopo aver scoperto la presenza di un caso di Covid. Ma è davvero possibile che, in una città da oltre 2 milioni di abitanti, situata in una regione dove risiedono più di 12 milioni di persone, non fosse arrivata prima di marzo la malattia nata in Cina?A distanza di mesi, rileggendo le cronache di quel periodo si resta a bocca aperta. In un articolo pubblicato il 5 marzo, sul sito della radio pubblica France Bleu si legge «questa scoperta (della dipendente dell’Ratp malata, ndr.) non ha avuto alcun impatto sul traffico. La metropolitana non è al momento considerata come una zona a rischio». Forse, fino all’inizio di marzo, a Parigi il Covid preferiva viaggiare in taxi piuttosto oppure era davvero fermo al di fuori dei confini della Ville Lumière. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/macron-ha-ignorato-gli-alert-del-suo-ministro-della-sanita-la-francia-poteva-evitare-il-lockdown-2646450109.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="il-drammatico-appello-dei-giornalisti-francesi-in-italia" data-post-id="2646450109" data-published-at="1595432289" data-use-pagination="False"> Il drammatico appello dei giornalisti francesi in Italia Nei primi giorni di marzo 2020 era ormai chiaro, anche in Francia, che il Covid-19 avrebbe rappresentato un grosso problema. Ma il tempo passava e le autorità reagivano ancora troppo lentamente anche per non diffondere il panico. Il problema è che, così facendo si lasciava peggiorare una situazione già esplosiva.Fortunatamente, il 12 marzo, è stata pubblicata una tribuna firmata da una trentina di giornalisti francesi e francofoni, di stanza in Italia e in Vaticano. I giornalisti si rivolgevano alle autorità di Parigi e di Bruxelles, testimoniando ciò che stavano vedendo negli ospedali italiani. «I reparti di terapia intensiva sono arrivati a saturazione» scrivevano i giornalisti di lingua francese in un passaggio della tribuna, prima di ricordare che nei nosocomi italiani si era obbligati a fare «la selezione dei pazienti» per «mancanza di un numero sufficiente di respiratori artificiali». I professionisti francofoni dell'informazione operanti in Italia hanno cercato di scuotere i vertici delle istituzioni, perché credevano di avere «la responsabilità di indirizzare un messaggio alle autorità pubbliche francesi ed europee perché avessero finalmente una misura del pericolo». «Osserviamo tutti - continuavano i giornalisti - uno sfasamento spettacolare tra la situazione alla quale assistiamo quotidianamente nella penisola e le lacune nella preparazione dell'opinione pubblica francese ad uno scenario, ammesso dalla stragrande maggioranza di esperti scientifici, di una propagazione importante o addirittura massiccia, del coronavirus».Era il 12 marzo. Quattro giorni dopo, il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron annunciava l'inizio del lockdown. A questi giornalisti andrebbe rivolto un ringraziamento per aver fornito una testimonianza autentica della situazione italiana all'inizio della pandemia e per aver invitato le autorità del Vecchio Continente a reagire. Anche se, nemmeno questa tribuna è riuscita a risvegliare l'umanità che langue in stato di coma profondo, nelle istituzioni Ue. Delle istituzioni che, quando l'Italia aveva bisogno d'aiuto, hanno preferito rivolgere il proprio sguardo altrove. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/macron-ha-ignorato-gli-alert-del-suo-ministro-della-sanita-la-francia-poteva-evitare-il-lockdown-2646450109.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="trasferimento-dei-malati-di-covid-per-i-pompieri-e-stata-una-sbruffonata" data-post-id="2646450109" data-published-at="1595432289" data-use-pagination="False"> Trasferimento dei malati di Covid. Per i pompieri è stata una “sbruffonata”. Dire che le mascherine anti Covid sono inutili, come hanno fatto a marzo alcuni esponenti del governo francese, è una fake news? Oppure queste affermazioni sono state giustificate dal tentativo di riservare le protezioni in via prioritaria, al personale sanitario ?Per rispondere a queste domande bisogna tornare al primo aprile quando Marina Carrère d'Encausse - una delle presentatrici di trasmissioni dedicate alla salute sul canale pubblico France 5 - ha provocato una polemica. Intervistata dalla radio Europe 1 la presentatrice, che è anche medico, ha definito una “menzogna” ciò che è stato detto in merito all’uso delle maschere, all’inizio dell’epidemia. Come ricorda anche il sito della radio, si trattava di «un discorso emanante dalle autorità sanitarie e rilanciato allegramente dai media». Per Carrère d’Encausse l’informazione è stata diffusa «scientemente perché non c’erano molte altre soluzioni». In più, per la presentatrice, tutto ciò era fatto “per una buona causa perché era per il personale sanitario, per proteggere la popolazione e il personale sanitario”.Forse, le autorità pensavano che i cittadini francesi fossero tutti incapaci di proteggersi dal virus? Magari anche delle maschere rudimentali fatte in casa, avrebbero potuto aiutare. Non saranno state efficaci al 100% ma forse avrebbero contribuito a rallentare la circolazione del virus e a salvare delle vite. E invece, la presidenza e il governo francesi hanno preferito lasciare che gli ospedali diventassero una trincea. Hanno scelto di rinchiudere i francesi in casa per due mesi e di bloccare l’economia blu-bianca-rossa. Delle scelte che sono state accompagnate da una comunicazione di crisi che non è stata capace di riflettere la realtà.È in sostanza questo il contenuto di un documento di lavoro - che avrebbe dovuto rimanere segreto - redatto dalla Fnspf, la Federazione Nazionale dei Pompieri di Francia. Come rivelato dal quotidiano Le Parisien, il 5 luglio scorso, questo organismo di rappresentanza dei vigili del fuoco ha definito una «vera sbruffonata» l’idea di impiegare treni-ospedale per trasferire con l’alta velocità dei malati dalle regioni più colpite a quelle risparmiate dal virus. La Fnspf ha bollato queste iniziative come delle «pure operazioni di comunicazione».Parlando del ruolo svolto dalle agenzie sanitarie regionali transalpine, i pompieri hanno sparato a zero. Secondo i vigili del fuoco queste agenzie hanno svolto le mansioni per le quali sono state create : «l’amministrazione della gestione contabile e finanziaria del sistema sanitario». Questo senza essere «minimamente preparate alla gestione di situazioni d’urgenza». Poi l’affondo finale : queste agenzie «sono state assorbite dalla gestione di numeri di posti letto nei reparti di rianimazione e dalla comunicazione delle statistiche» ai vertici della sanità. Molto prima dell’uscita del rapporto dei pompieri sulla stampa, la gestione della crisi sanitaria da parte del governo era già stata pesantemente criticata da Agnès Buzyn, ministro della salute fino alla fine di gennaio 2020. In un articolo di Le Monde, pubblicato il 17 marzo scorso, l’ex membro dell’esecutivo francese dichiarava : «quando ho lasciato il ministero, piangevo perché sapevo che l’onda anomala dello tsunami era davanti a noi». Per Buzyn le il primo turno delle elezioni comunali (svoltosi il 15 marzo) non avrebbe dovuto tenersi. «Avremmo dovuto smettere. Era una mascherata». Va ricordato che, in quel periodo, l’ex ministro era diventato il candidato alla poltrona di sindaco di Parigi per il partito di Macron, dopo il passo indietro di Benjamin Griveaux a causa di un video a luci rosse. Tuttavia, se non fosse stata certa di quello che diceva, difficilmente avrebbe potuto esprimere delle critiche così dure, nei confronti del suo vecchio governo. Inoltre, nello stesso articolo si menzionano degli avvertimenti sull’evoluzione del Covid in Francia, che Buzyn avrebbe rivolto a Emmanuel Macron e Edouard Philippe, già nel mese di gennaio.La storia non si fa con i “se” e con i “ma”, tuttavia è lecito chiedersi come sarebbe stata la pandemia in Francia nel caso in cui le allerte dell’ex ministro della sanità fossero state ascoltate.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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