2024-02-05
Macron fa un dispetto alla Meloni e prepara le nozze Stellantis-Renault
Il governo di Parigi, azionista di entrambe le aziende, si attiva per la fusione che renderebbe più difficile l’ingresso del nostro esecutivo nell’ex Fiat. E metterebbe a rischio fabbriche e posti di lavoro in Italia.Non sono passate due settimane da quando Giorgia Meloni, durante un question time alla Camera, ha attaccato le scelte aziendali dell’ex gruppo Fiat, oggi confluito in Stellantis, il colosso industriale nato dalla fusione tra Fca e Peugeot. Rispondendo a una domanda dell’onorevole Matteo Richetti, deputato di Azione, il presidente del Consiglio aveva messo in evidenza lo «spostamento della sede legale e fiscale fuori dall’Italia» e la «fusione che celava un’acquisizione francese dello storico gruppo italiano». «Nel cda c’è un membro del governo francese, non a caso le scelte industriali tengono più in considerazione le istanze francesi rispetto a quelle italiane», aveva rilevato la premier. Le polemiche sono poi proseguite nei giorni scorsi per via di un intervento di Carlos Tavares, attuale ad di Stellantis, il quale ha intimato al governo di concedere nuovi sussidi per la produzione di auto elettriche, sostenendo che, in caso contrario, sarebbero a rischio gli impianti italiani (Mirafiori e Pomigliano i due maggiormente in pericolo). Il ministro Adolfo Urso, in quell’occasione, aveva paventato la possibilità - non sappiamo se concreta o come provocazione - di un ingresso dello Stato italiano in Stellantis, per una presenza alla pari di quella dello Stato francese, che detiene il 6,1% delle azioni ma il 9,6% dei diritti di voto. Un’operazione che sarebbe troppo onerosa in questo momento per le casse dello Stato - si parla di circa 4 miliardi per il 6,1% -, ma che comunque avrebbe una sua logica, perché in questo modo non si darebbero soldi a fondo perduto (come spesso è accaduto), ma lo Stato potrebbe esercitare direttamente un’influenza sulle scelte industriali e proteggere così i posti di lavoro in Italia, al pari dei cugini d’Oltralpe. Un’ipotesi che non deve essere piaciuta nemmeno per scherzo, tant’è che, secondo un’indiscrezione di ieri del Messaggero, pare che Stellantis stia pensando a un’ulteriore fusione con Renault, anch’essa partecipata dallo Stato francese al 15%.Una notizia che, se confermata, sarebbe allarmante per i lavoratori italiani, perché sposterebbe ulteriormente il potere decisionale a vantaggio di Parigi. Attualmente, i principali azionisti di Stellantis sono la Exor (la holding della famiglia Agnelli-Elkann), che detiene il 14,9% delle quote e circa il 23% dei diritti di voto, la famiglia Peugeot, con il 7,1% e l’11,1% dei diritti di voto, e lo Stato francese attraverso la Bpi, la banca pubblica d’investimento, con il 6,1% delle azioni e il 9,6% dei diritti di voto. Non solo dunque la Francia, al contrario dell’Italia, è ben presente all’interno del colosso automobilistico e tutela così i propri interessi, ma un’eventuale fusione con Renault sposterebbe ancora di più il baricentro al di là delle Alpi, rendendo inoltre più oneroso, eventualmente, l’ingresso di Roma nell’azionariato. Niente male per uno che ti ha appena chiesto sussidi pubblici, per altro con il ricatto indiretto dei posti di lavoro. In una recente intervista a Bloomberg, la stessa in cui ha incalzato il governo italiano a concedergli nuovi sussidi, Tavares si è detto preoccupato della concorrenza cinese nella produzione di auto elettriche. «Le attuali norme antitrust sono controproducenti per fronteggiare l’offensiva cinese», ha dichiarato. «A un certo punto, se devi finanziare una tecnologia molto costosa e non disponi di economie di scala, finisci nei guai». E a proposito di economie di scala, non ha perso l’occasione per lodare la precedente fusione tra Fca e Peugeot: «Per fortuna, grazie all’Unione europea, abbiamo potuto creare Stellantis», si legge nell’intervista. «Se non lo avessimo fatto, avremmo dovuto affrontare un problema profondo. Fca sarebbe nei guai e Psa sarebbe nei guai. Quindi, quella è stata la mossa giusta al momento giusto». Adesso invece l’attenzione si sposta verso Renault, nei cui confronti l’ad ha dichiarato che non verrà intrapresa alcuna azione ostile. Il direttore d’orchestra di questa operazione, però, potrebbe essere Emmanuel Macron, che così assicurerebbe il controllo di Parigi sul più grande gruppo automobilistico del mondo. Una polemica, quella con Stellantis, che non è dunque destinata a spegnersi. Sempre il ministro Urso l’altro giorno ha avanzato l’ipotesi di spostare gli incentivi dal consumo alla produzione, alludendo anche a una possibile seconda casa automobilistica, in quanto molti di quelli concessi nel 2023 sono finiti in modelli prodotti all’estero. Il declino nella produzione in Italia dell’ex gruppo Fiat, per altro, era stato notato anche nell’intervento alla Camera di Giorgia Meloni, che aveva rilevato come si sia passati «da oltre un milione di auto prodotte nel 2017 a meno di 700.000 nel 2022». Non è mancata la risposta di Stellantis, che ha parlato di 752.000 veicoli prodotti nel 2023, ma la sostanza poco cambia. Si tratta di una partita delicata per il governo, perché in gioco vi è la difesa di uno dei baluardi delle politiche cosiddette «sovraniste», la protezione della produzione interna, ma anche l’immagine di uno Stato deve mostrarsi più forte dei ricatti dei grandi gruppi capitalistici e industriali.