Macron frega le aziende italiane in Kenya e censura la corruzione in Mali
- Non c'è solo la Libia. Le inchieste sulla Cmc di Ravenna mettono in difficoltà i rapporti tra l'Italia e il paese del Corno d'Africa. La scorsa settimana il presidente francese ha fatto un lungo tour nella parte orientale del continente africano. A Nairobi ha strappato un accordo circa due miliardi di euro per la realizzazione di nuove infrastrutture. Airbus insidia Leonardo sulla sorveglianza delle coste.
- La cooperativa di costruzioni si difende acquistando un'intera pagina sul quotidiano The Standard. Le accuse dell'ex procuratore generale Githu Muigai: «Per il contratto delle dighe non è stata fatta la due diligence». Intanto il tribunale kenyota mette sotto sequestro tutte le attrezzature e i veicoli.
- L'Eliseo censua Bamako. E' l'incredibile storia della rivista Afrique Contemporaine , l'organo ufficiale dell'Agenzia francese per lo sviluppo (Afd), la cooperazione transalpina. Il dossier sulla corruzione nel paese centrafricano è stato fermato, mostrerebbe la debolezza di Parigi agli occhi dell'Unione Europea.
Lo speciale contiene tre articoli
Non c'è solo la Libia con i grandi giacimenti di petrolio tra i terreni di scontro tra Italia e Francia. In altri stati dell'Africa si consumano nuove tensioni tra Parigi e Roma. E spesso sono i cugini transalpini ad approfittare delle nostre difficoltà. Caso vuole che nelle settimane in cui la Cmc di Ravenna sia in difficoltà in Kenya per le inchieste avviate sugli appalti di tre dighe, a fare visita al presidente Uhuru Kenyatta sia proprio Emmanuel Macron. Tra l'11 e il 14 marzo il numero uno dell'Eliseo ha fatto un tour dei Paesi dell'Africa orientale: Djibouti, Etiopia e per ultimo appunto il Kenya. Un viaggio importante per consolidare la posizione francese nel Corno d'Africa, regione dove c'è una forte concorrenza internazionale: l'economia della regione è in espansione e crescono anche le opportunità per aggiudicarsi grosse commesse. Non tanto per le potenze europee, quanto soprattutto per la Cina, prima potenza internazionale. Il presidente francese sta cercando di ricostruire l'immagine della Francia in Africa, dopo i rapporti sempre più turbolenti tra Parigi e le ex colonie dell'Africa occidentale. Così è partito dall'altra sponda del continente.
Macron ha speso il primo giorno del suo tour africano a Djibouti, il più piccolo dei Paesi della regione, ma il più importante sul piano militare. Colonia francese fino al 1977, è il ponte tra Africa e penisola arabica. A Djibouti ci sono le basi militari di Cina (la prima all'estero), Stati Uniti (l'unica navale in Africa), Giappone (doveva essere chiusa dopo il successo dell'operazione anti-pirateria nel Golfo di Aden, invece resterà aperta), Francia (1.450 soldati, ospita anche tedeschi e spagnoli) e Italia (base di supporto). Un sovrappopolamento militare che conferma l'importanza strategica del Paese. Djibouti ha bisogno di supporto dalle potenze estere perché, nonostante la sua stabilità, è spesso isolato dalle altre potenze regionali, Emirati arabi uniti primi fra tutti. «È un partner storico, sarebbe strano non fargli visita», spiegava Macron ai giornalisti prima del viaggio. Eppure, prima dell'attuale presidente, solo Nicholas Sarkozy, nel 2010, aveva visitato il Paese in visita ufficiale. Nel mezzo, il presidente di Djibouti Ismail Omar Guelleh è stato in visita a Parigi, nel 2017, per chiedere maggiore considerazione per l'ex colonia.
«Da quando è diventato primo ministro, abbiamo profondamente cambiato la nostra visione (dell'Etiopia)», ha detto Macron al premier etiope Abiy Ahmed quando il 22 marzo è arrivato nella capitale Addis Abeba. Il fattore principale è l'accordo di pace, dopo quasi trent'anni di conflitto, con la vicina Eritrea. Dal suo scoppio nel 1991 l'Etiopia ha perso il suo sbocco sul mare e la sua marina. Ma ora è diverso: l'accordo firmato da Macron prevede una cooperazione tra Parigi e Addis Abeba sul piano della difesa e prefigura lo sviluppo di nuovo settore navale con l'aiuto della Francia. Il colosso francese dei trasporti Cma-Cgm ha già firmato una lettera di intenti con la società etiope Maccfa per costituire una joint venture che gestirà il più importante snodo logistico del Paese, Modjo. Oltre al colosso della logistica, c'erano altre 50 aziende a seguito del presidente francese. Orange è la più battagliera: vuole mettere le mani sul settore telecomunicazioni in via di privatizzazione. Macron ha poi annunciato di voler finanziare con 100 milioni di euro il restauro di Lalibela, città sacra famosa in tutto il mondo per le sue 12 chiese rupestri cristiane. Un luogo simbolico, soprattutto nella retorica della lotta al terrorismo islamico, una delle principali preoccupazioni dell'Unione africana in quella parte del continente.
L'ultima tappa del tour di Macron è stata il Kenya. Mai un presidente francese in carica si era recato a Nairobi dopo la sua indipendenza nel 1963. La prima visita di un presidente francese, annunciata a metà febbraio, accade proprio nel momento in cui l'appalto ottenuto dalla cooperativa Cmc in Kenya è stato messo sotto indagine dalle autorità locali con l'accusa di corruzione internazionale. Macron a Nairobi ha strappato un accordo circa due miliardi di euro, soprattutto per la realizzazione di nuove infrastrutture. L'autostrada Nairobi–Nakuru–Mau Summit è stata assegnata con una commessa trentennale da 1,6 miliardi a un consorzio francese guidato da Vinci. L'azienda francese è alla sua prima opera con fondi pubblici privati in Africa. Altro settore dove la Francia conquista terreno è quello dell'energia: la francese Volitalia realizzerà una centrale fotovoltaica da 40 megawatts a 70 milioni di euro. Airbus Helicopter e Airbus GS costruiranno invece un sistema di radar sulla costa. Nel 2017 il contratto per la sorveglianza dello spazio aereo se l'era aggiudicato Leonardo-Finmeccanica.
Macron ha discusso con il suo omologo kenyota anche la gestione del contingente Amisom, la missione militare dell'Unione africana in Somalia, contro i gruppi jihadisti di Al Shabaab. Il tema della sicurezza è sempre più delicato nella regione e Parigi vuole rimediare agli errori commessi nella zona del Sahel nella lotta al terrorismo. Anche sul piano militare, quindi, la Francia sarà sempre più protagonista, anche nel Corno d'Africa.
La cooperativa compra una pagina di un quotidiano per difendersi
Una pagina intera sul quotidiano The Standard per replicare alle accuse di corruzione internazionale e riciclaggio in Kenya. La Cmc di Ravenna finita in una scandalo da 190 milioni di euro per gli appalti di tre dighe si difende. E lo fa acquistando un'intera pagina su uno dei più importanti quotidiani di Nairobi. Eppure non è detto che basti per uscire da una situazione sempre più delicata e complessa con indagini a tutto campo da parte degli investigatori africani. Questa settimana dovrebbe essere presentato il bilancio e il nuovo piano industriale che potrebbe chiarire una volta per tutte la situazione economica dell'azienda di costruzioni, impegnata in Italia in diversi cantieri dislocati su tutta la penisola. I problemi continuano ad accumularsi in questo angolo di Africa per una delle più storiche e importanti cooperative di costruzione in Italia.
Innanzitutto la scorsa settimana il giudice Francis Tuiyott ha impedito alla Cmc di Ravenna di effettuare operazioni tramite la Barclays Bank of Kenya: gli asset, tra cui attrezzature e veicoli, in pratica sono stati messi sotto sequestro. E' stata una decisione che non solo ha paralizzato le operazioni dell'azienda, ma che si aggiunge alle criticità per i problemi finanziari già noti in Italia, con la richiesta a dicembre del concordato preventivo, accettato con riserva. «Questo tribunale ordina a Ccm di Ravenna di consegnare immediatamente tutti i veicoli a motore e le attrezzature elencate e descritte nel programma a Casuarina Limited, di fronte a Midland Hotel, Nakuru, ai fini della conservazione di detti veicoli a motore e attrezzature in attesa dell'udienza», ha ordinato il giudice Tuiyott, come riportato dal Daily Nation. E nel frattempo continuano gli interrogatori. L'ex procuratore generale Githu Muigai ha rivelato alla polizia che il ministro del Tesoro Henry Rotich aveva ignorato il suo parere legale contro la firma di un accordo con Cmc di Ravenna per la costruzione delle dighe Arror e Kimwarer.
Githu è stato interrogato venerdì dagli investigatori della Dci (Directorate of criminal investigations). L'ex procuratore generale ha anche aggiunto che secondo lui all'epoca non fu fatta la due diligence prima della chiusura del contratto con la Cmc di Ravenna. Githu avrebbe avvisato il governo dei rischi già nel marzo del 2017, un mese prima della chiusura del contratto. Secondo il magistrato kenyota la due diligence avrebbe permesso ai ministeri competenti di conoscere per tempo le difficoltà economiche della Cmc. Stando a quanto riportato dal quotidiano Star sarebbero in corso anche verifiche su un altro procuratore che aveva vigilato sull'accordo, Njee Muturi, in carica all'epoca della sigla del contratto.
Rotich si è difeso anche lui sui giornali, spiegando che tutti i progetti, finanziati a livello interno o esterno, sono attuati nel rigoroso rispetto della legge e in conformità con gli accordi commerciali e di finanziamento. Nel frattempo in Italia l'articolo del Sole 24 Ore che dava conto delle indagini in Kenya ha ricevuto una dura replica da parte della cooperativa. «Vale la pena precisare anche che Cmc non è sotto inchiesta in Sud Africa in relazione ad alcuno dei suoi progetti, contrariamente a quanto falsamente riportato, e che per quanto riguarda le attività della società in Nepal uno dei due contratti è stato terminato da parte della stessa Cmc a fine 2018 mentre l'altro non è mai partito in quanto non è mai stato versato a Cmc l'anticipo contrattualmente previsto». Sud Africa e Nepal no, ma in Kenya la situazione sta diventando sempre più esplosiva.
La Francia si censura sul Mali: apparirebbe debole agli occhi dell'Europa
Accuse di censura a una testata pubblicata con i soldi dei contribuenti francesi. La rivista Afrique Contemporaine è l'organo ufficiale dell'Agenzia francese per lo sviluppo (Afd), la cooperazione transalpina. Dal 1962 è una delle voci più ascoltate dagli accademici esperti di Africa. Attorno all'ultimo numero, però, è scoppiato un caso: il direttore scientifico, Marc-Antoine Pérouse de Montclos, si è dimesso e insieme a lui, anche gli altri ricercatori che facevano parte del comitato scientifico. Accusano l'Afd di aver messo un veto sulla pubblicazione dell'ultima edizione della rivista trimestrale. Nonostante la loro approvazione scientifica, infatti, l'ultimo numero a tema Mali è stato bloccato dall'editore, ovvero l'Afd. Non si può parlare di Mali in pratica. Le motivazioni ancora non sono note, ma appare assodato che sia una questione politica: non sono piaciute le analisi sul ruolo francese in un intervento delicato che sta provocando non poche critiche Parigi. Mostrare l'inefficacia dell'intervento francese in Mali indebolisce Parigi soprattutto agli occhi dell'Unione europea e del G5 Sahel. In un'intervista al quotidiano La Croix, Pérouse de Monclos ha spiegato che la giustificazione del blocco della pubblicazione l'Afd ha parlato di «rischio diffamtorio e reputazionale» per l'agenzia francese. La rivista si sarebbe occupata di corruzione nello Stato maliano e di omicidi commessi dallo stesso esercito locale nel centro del Paese.
De resto, la Francia è il Paese che ha investito di più e che più partecipa anche al Trust fund Europa-Africa per la cooperazione in quella regione. Non può ammettere apertamente la sua debolezza. Le reazioni del mondo accademico, via social, sono state tante: «La rivista Africa Contemporanea è morta», ha scritto il 22 marzo su Twitter Bruno Charbonnaud, direttore del Centro franco paix (Canada) e coordinatore editoriale di questo numero della rivista. «Un intervento politico ha censurato la pubblicazione del nostro dossier sul Mali dopo l'approvazione del Comitato scientifico», ha proseguito. «La Francafrique non è morta», si legge in coda al tweet.
«Franciafrica» è l'espressione con cui, a partire dagli anni Settanta, si definisce il modo in cui Parigi ha sempre tenuto un piede dentro le sue ex colonie: sostegno a presidenti-dittatori al fine di ingerire nella politica interna, accordi commerciali che legano a doppio filo l'economia locale a quella francese, ingombrante presenza militare. Il Mali è uno dei Paesi dove la grandeur di Parigi si è manifestata di più. Nel 2013 è stata lanciata l'operazione Serval, l'anno seguente trasformata in Barkhane, tutt'ora in corso, missioni allo scopo di combattere islamisti e tuareg nel 2012 avevano conquistato le regioni settentrionali del Paese. L'intervento francese ha fatto da traino per quello dell'Unione europea, a sostegno di Parigi e Bamako. Il Mali è la plaque tournante fondamentale per la stabilità politica di tutta la regione del Sahel, una regione importante anche per il transito dei migranti e le sue ricchezze minerarie.
Dall'inizio dell'Operazione Barkhane, l'esercito francese collabora con i militari di Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania, e Niger, i cinque Paesi che hanno costituito sempre nel 2014 il G5 Sahel, una struttura regionale per la cooperazione civile e militare. «Finora, nonostante gli importanti investimenti nella regione, è difficile dire che gli interventi e il supporto degli attori internazionali ai Paesi del Sahel e le iniziative regionali come G5 Sahel abbiano drasticamente migliorato la situazione», scriveva la ricercatrice Elisa Lopez Lucia del Centro FrancoPaix in un'analisi del febbraio 2019. È uno dei dati di partenza del dossier che avrebbe dovuto pubblicare Afrique Contemporaine.
Oltre la sostanziale inefficacia della missione militare, tra i motivi di imbarazzo per la Francia c'è anche uno dei leader del Gruppo di supporto dell'Islam e dei Musulmani (Jnim), una sorta di federazione delle organizzazioni terroriste di Sahel e Maghreb affiliate ad Al Qaeda nata nel 2017. Si chiama Amadou Koufa, leader divenuto popolarissimo tra gli anni Novanta e l'inizio del Duemila grazie ai suoi poemi declamati alla radio. Florence Parly, ministra francese della Difesa, davanti all'Assemblea nazionale il 28 novembre 2018 aveva confermato la sua uccisione in un raid con cui erano stati "neutralizzati" altri 30 jihadisti. Il 28 febbraio, però, France 24 ha pubblicato un video in cui appare Amadou Koufa, in buona salute. Non è possibile datare con esattezza il video, ma l'uomo fa riferimento al discorso della ministra francese e all'esecuzione di «una spia» che avrebbe rivelato ai francesi la posizione del terrorista.






