
Il movimento si spacca dopo la «gita» di Santori&C a casa del padrone di Autostrade con Oliviero Toscani. L'accusa dei militanti, la difesa imbarazzata dei protagonisti: proprio come in un partito. I pesciolini puzzano dalla testa. E in queste ore, infatti, è la testa delle sardine a finire sotto il fuoco del resto del movimento, inviperito dopo l'ennesimo appuntamento galante con il Potere inscenato dai fondatori bolognesi. I quattro capetti emiliani - Mattia Santori, Giulia Trappoloni, Andrea Garreffa e Roberto Morotti - venerdì si sono concessi una simpatica gitarella a Treviso. Per la precisione, sono andati a Fabrica, il «centro di sovversione culturale» fondato da Oliviero Toscani e sostenuto dai Benetton. Niente di strano, potrebbe dire qualcuno: le sardine sono andate in pellegrinaggio al santuario radical chic gestito dal fotografo odiatore. Piccolo problema: all'incontro non c'erano soltanto i giovani di Fabrica e Toscani, ma è apparso pure Luciano Benetton. Il quale non solo ha raggiunto i quattro sardinotti durante il pranzo, ma ci ha pure tenuto a farsi fotografare assieme a loro. L'immagine ha cominciato a girare sui social e ieri è stata pubblicata dal Fatto quotidiano. Del resto, si trattava di una rarissima apparizione pubblica di Benetton che, dopo il disastro del ponte Morandi, non è solito farsi vedere in giro. Anzi, è raro che appaia sui media con comunicati e interviste: l'ultima volta che l'ha fatto è stato lo scorso dicembre, quando ha inviato una letterina piagnucolosa a Repubblica. Si lamentava che lo attaccassero per la tragedia di Genova, povero. Per un movimento politico di sinistra che si propone come il nuovo che avanza e non fa che cianciare di amore e attenzione ai più deboli, non è proprio una grande pubblicità farsi ritrarre assieme al patriarca della famiglia che controlla Atlantia, specie in questo periodo. Va ricordato, per altro, che i movimenti antagonisti di mezzo mondo sono da anni in protesta contro i Benetton per il modo in cui si relazionano agli indigeni Mapuche in Argentina, dove posseggono una quantità sterminata di terreni. Che Santori e soci bolognesi fossero gli animaletti da compagnia dell'establishment lo abbiamo sempre saputo e lo abbiamo scritto a ripetizione. Per molti militanti sardineschi, tuttavia, vedere i quattro fondatori in posa a Treviso è stato un pugno in faccia. Le chat interne al movimento hanno immediatamente preso fuoco. Tantissimi esponenti regionali dei pesciolini hanno cominciato a tempestare Santori e gli altri chiedendo spiegazioni. Gli attivisti veneti, costernati, sono stati tra i primi a lamentarsi. Nessuno li aveva avvisati dell'amorosa corrispondenza fra i loro capetti nazionali e Benetton, la notizia è piombata all'improvviso sulla loro testa assieme agli sberleffi e agli insulti degli avversari politici e pure dei simpatizzanti. «Non avete idea di quanta merda ci stanno tirando addosso i cittadini...», si sfogava ieri un militante veneto. In realtà, messaggi del genere sono deflagrati sulle chat del movimento più o meno da ogni parte d'Italia. E in parecchi hanno preteso un'assunzione di responsabilità da parte dei capi-sardina. Che però non è arrivata. Alla fine, dopo pressioni infinite, i fondatori hanno pubblicato un breve comunicato sul profilo Facebook. Qualche migliaio di battute in cui si presentano come vittime: «La visita è stata organizzata su invito di Oliviero Toscani per avviare un confronto con i ragazzi e ragionare su come innovazione e comunicazione politica possano dialogare e aiutarsi a vicenda», hanno scritto. Poi hanno aggiunto: «Alla fine dell'incontro è passato Luciano Benetton per salutare e ascoltare parte del dibattito. Quando i ragazzi ci hanno chiesto di fare una foto di gruppo ci è sembrata una richiesta legittima. Non abbiamo pensato che quella foto sarebbe stata strumentalizzata per associare le sardine ai poteri forti, alle concessioni autostradali, alle tematiche sociali e ambientali legate alla produzione industriale di abbigliamento nel mondo. Deluderemo chi ci ritiene in grado di riaprire la trattativa tra governo e Autostrade per l'Italia in sole quattro ore». Ma certo, è stato solo un viaggio di piacere, e Benetton era lì per caso... Sui gruppi riservati del movimento, Santori e gli altri tre hanno cercato di minimizzare, in pratica hanno raccontato di essere andati a Treviso in vacanza. Hanno parlato di ingenuità, di leggerezza da parte loro. Hanno piagnucolato spiegando che la gita a Treviso è stata la prima occasione in mesi di spegnere i cellulari e vivere un'esperienza da amici. Hanno detto che la foto è stata «strumentalizzata» e fatta uscire da chi «aveva interesse» a screditare le sardine (in realtà, sono stati loro a condividerla sui profili social venerdì). Alla fine hanno invitato gli altri militanti a far finta di nulla, a non criticare per evitare di alimentare polemiche, insomma a tacere per non disturbare il manovratore. Anche da Fabrica è arrivato un aiutino, sotto forma di un post su Facebook ovviamente vittimista e indignato: «Siamo increduli che una foto ricordo di un incontro tra giovani menti provenienti da diversi Paesi, ritrovatesi per parlare di futuro, abbia generato una reazione così scriteriata». Solo che a molti la faccenda è rimasta sul gozzo. Del resto, ormai è evidente che i capi delle sardine stiano giocando la loro partita - tutta a favore del Pd e della sinistra istituzionale - anche approfittando del sostegno di militanti che credono davvero di partecipare a qualcosa di sano e innovativo. In effetti la circostanza è grottesca: mentre su Repubblica usciva la letterina delle sardine a Giuseppe Conte su «Sud e lavoro», i fondatori se ne stavano beati in compagnia di un imprenditore la cui holding ha incassato circa 6 miliardi di euro in 10 anni provenienti dalle autostrade. E, guarda caso, si sono fatti fotografare assieme proprio nei giorni in cui si discute sul rinnovo delle concessioni. Una grande trovata pubblicitaria di Toscani, questo gli va concesso. Non solo gli avversari della prima ora si sono resi conto dell'incongruenza, ma purela famigerata «base». E il dissenso interno è esploso con potenza devastante. I più hanno scelto di polemizzare sulle chat private, qualcuno ha avuto il fegato di esporsi. Nella serata di ieri, su Facebook, Jasmine Cristallo (una delle esponenti di rilievo nazionale e con più seguito delle sardine), pur riconoscendo attenuanti ai fondatori, ha espresso il malessere di tanti: «Una foto messa a fuoco rischia di coinvolgere e mettere in ombra un intero movimento e questo non è concesso a nessuno», ha scritto. «Non si può “restare umani" a modulazione di frequenza. I Benetton sono “democratici e progressisti" solo nel mondo virtuale e mediatico; invece, in quello reale, li ritroviamo responsabili di diritti, storie, tradizioni e dignità negati nei territori (per esempio l'Argentina) in cui reperiscono terre e materie prime per produrre la propria ricchezza a scapito dei Mapuche. No global e ambientalisti davanti alle telecamere e, a luci spente, interpreti senza scrupoli di un capitalismo spinto e rapace. Ancora più grave è che quella foto venga pubblicata in un momento delicatissimo di confronto interno al governo in merito alle concessioni autostradali, facendo in tal modo assumere al movimento intero un ruolo di pressione esterna senza, però, che su questo argomento ci sia mai confrontati». Infine la stoccata: «Ripartiamo dalle condizioni di vita della gente, ricontaminiamoci con le sofferenze vissute da interi territori». Chissà, ora che l'hanno provato sulla pelle, Santori e soci si renderanno conto di che cosa sia il vero dissenso.
Marco Minniti (Ansa)
L’ex ministro: «Teniamo d’occhio la Cina su Taiwan. Roma deve rinsaldare i rapporti Usa-Europa e dialogare col Sud del mondo».
Attilio Fontana e Maurizio Belpietro
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Lombardia avverte: «Non possiamo coprire 20 mila ettari di campi con pannelli solari. Dall’idroelettrico al geotermico fino ai piccoli reattori: la transizione va fatta con pragmatismo, non con imposizioni».
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana affronta il tema dell’energia partendo dalle concessioni idroelettriche. «Abbiamo posto fin da subito una condizione: una quota di energia deve essere destinata ai territori. Chi ospita dighe e centrali subisce disturbi e vincoli, è giusto che in cambio riceva benefici. Per questo prevediamo che una parte della produzione venga consegnata agli enti pubblici, da utilizzare per case di riposo, scuole, edifici comunali. È un modo per restituire qualcosa alle comunità».
Investimenti e controlli sulle concessioni. Belpietro incalza: quali investimenti saranno richiesti ai gestori? Fontana risponde: «Non solo manutenzione ordinaria, ma anche efficientamento. Oggi è possibile aumentare la produzione del 10-15% con nuove tecnologie. Dobbiamo evitare che si ripeta quello che è successo con le autostrade: concessioni date senza controlli e manutenzioni non rispettate. Per l’idroelettrico serve invece una vigilanza serrata, con obblighi precisi e verifiche puntuali. La gestione è più territoriale e diretta, ed è più semplice accorgersi se qualcosa non funziona».
Microcentrali e ostacoli ambientali. Sulla possibilità di nuove centrali idroelettriche, anche di piccola scala, il governatore è scettico: «In Svizzera realizzano microcentrali grandi come un container, che garantiscono energia a interi paesi. In Italia, invece, ogni progetto incontra l’opposizione degli ambientalisti. Anche piccole opere, che non avrebbero impatto significativo, vengono bloccate con motivazioni paradossali. Mi è capitato di vedere un’azienda agricola che voleva sfruttare un torrente: le è stato negato il permesso perché avrebbe potuto alterare di pochi gradi la temperatura dell’acqua. Così diventa impossibile innovare».
Fotovoltaico: rischi per l’agricoltura. Il presidente spiega poi i limiti del fotovoltaico in Lombardia: «Noi dobbiamo produrre una quota di energia pulita, ma qui le ore di sole sono meno che al Sud. Per rispettare i target europei dovremmo coprire 20 mila ettari di territorio con pannelli solari: un rischio enorme per l’agricoltura. Già si diffonde la voce che convenga affittare i terreni per il fotovoltaico invece che coltivarli. Ma così perdiamo produzione agricola e mettiamo a rischio interi settori».
Fontana racconta anche un episodio recente: «In provincia di Varese è stata presentata una richiesta per coprire 150 ettari di terreno agricolo con pannelli. Eppure noi avevamo chiesto che fossero privilegiate aree marginali: a ridosso delle autostrade, terreni abbandonati, non le campagne. Un magistrato ha stabilito che tutte le aree sono idonee, e questo rischia di creare un problema ambientale e sociale enorme». Mix energetico e nuove soluzioni. Per Fontana, la chiave è il mix: «Abbiamo chiesto al Politecnico di Milano di studiare un modello che non si basi solo sul fotovoltaico. Bisogna integrare geotermico, biomasse, biocarburanti, cippato. Ci sono molte fonti alternative che possono contribuire alla produzione pulita. E dobbiamo avere il coraggio di investire anche in quello che in Italia è stato troppo a lungo trascurato: il geotermico».
Il governatore cita una testimonianza ricevuta da un docente universitario: «Negli Stati Uniti interi quartieri sono riscaldati col geotermico. In Italia, invece, non si sviluppa perché – mi è stato detto – ci sono altri interessi che lo frenano. Io credo che il geotermico sia una risorsa pulita e inesauribile. In Lombardia siamo pronti a promuoverne l’uso, se il governo nazionale ci darà spazio».
Il nodo nucleare. Fontana non nasconde la sua posizione favorevole: «Credo nel nuovo nucleare. Certo, servono anni e investimenti, ma la tecnologia è molto diversa da quella del passato. Le paure di Chernobyl e Fukushima non sono più attuali: i piccoli reattori modulari sono più sicuri e sostenibili. In Lombardia abbiamo già firmato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica un accordo per sviluppare Dal confronto con Belpietro emerge un filo conduttore: Attilio Fontana chiede di mettere da parte l’ideologia e di affrontare la transizione energetica con pragmatismo. «Idroelettrico, fotovoltaico, geotermico, nucleare: non c’è una sola strada, serve un mix. Ma soprattutto servono regole chiare, benefici per i territori e scelte che non mettano a rischio la nostra agricoltura e la nostra economia. Solo così la transizione sarà sostenibile».
Continua a leggereRiduci
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Il panel dell’evento de La Verità, moderato dal vicedirettore Giuliano Zulin, ha affrontato il tema cruciale della finanza sostenibile con Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi.
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
Continua a leggereRiduci
2025-09-15
Pichetto Fratin: «Auto elettriche, l’Ue sbaglia. Così scarica i costi sugli europei»
True
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il ministro dell’Ambiente attacca Bruxelles: «Il vincolo del 2035 è una scelta ideologica, non scientifica». Sul tema bollette, precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti».
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
Continua a leggereRiduci