2020-11-24
Macché favola, il Sassuolo è l’unica certezza
(Carlo Hermann/KONTROLAB/LightRocket via Getty Images)
Così Roberto De Zerbi, il mister sognatore che buttava via gioco e punti, è diventato il calcolatore che dà lezioni pure al Barcellona. E con i gol che ha già deciso di far segnare a Ciccio Caputo e Domenico Berardi può puntare la Champions. Unico pericolo: l'eccesso di elogi.«Siamo forti lo stesso». Roberto De Zerbi aveva appena comunicato alla squadra che sarebbe andata a Napoli senza Domenico Berardi, Filip Djuricic e Ciccio Caputo tra infortunati e positivi al Covid, praticamente tutto l'attacco titolare. Poi aveva aggiunto la frase cardiotonica, accolta da sguardi di rispettoso compatimento. Così palpabile da indurlo ad aggiungere: «Ragazzi, credo in ciò che dico. Non vendo fumo, andiamo per vincere». Napoli-Sassuolo 0-2, legittimazione nazionale, balzo sulle vette della classifica. E vai con la grancassa sulla squadra rivelazione, quel neroverde originale che rappresenta la capitale delle piastrelle, 40.000 abitanti, laggiù dove la pianura ammorbidisce il suono delle vocali fra la via Emilia e il West.Nel campionato del silenzio (il più anomalo della storia), per ora è l'unica certezza, se si eccettua la sorpresa del romantico Milan trainato da nonno Zlatan Ibrahimovic (ieri gli accertamenti dopo l'infortunio, lesione al bicipite femorale, starà fuori tre settimane). Certezza e non sorpresa perché a differenza dei rossoneri il Sassuolo sta giocando a questi livelli da due anni e mezzo. Vale a dire da quando sulla panchina è arrivato De Zerbi, maestro di calcio, manager e poi allenatore, l'uomo che il patron Giorgio Squinzi aveva fortemente voluto prima di morire. E che adesso si gode da lassù, dove le geometrie del piccolo Pep Guardiola si vedono alla perfezione. Prima i numeri, poi si parla: secondo in classifica con cinque vittorie e tre pareggi, zero sconfitte, record di gol fatti (20) come l'Inter, ma avendone subiti soltanto nove. Una corazzata tascabile come l'Atalanta, più fresca dell'Atalanta che non ha visto l'estate e deve gestire la Champions. Rispetto all'anno scorso il giovane allenatore bresciano (41 anni, nato a Mompiano) è diventato pragmatico; era un geniale sognatore che buttava via gioco e punti, adesso calcola. Un entusiasta con i piedi per terra. Era partito con un obiettivo: ottavo posto grazie ai 35 gol segnati, 20 da Caputo e 15 da Berardi. Oggi con quel ruolino di marcia arriva in zona Champions. «Se dobbiamo perdere, perdiamo giocando». È la nobiltà dei piccoli che diventano grandi attraverso la fatica. È la forza di un gruppo assemblato in due anni scegliendo gregari di valore e diamanti grezzi (Jeremie Boga, Djuricic, Manuel Locatelli rimpianto dai tifosi del Milan), più un corsaro arrivato da Marsiglia, quel Maxime Lopez che ha giocato 100 partite nella bolgia del Vélodrome. A completare quell'insieme, a fungere da collante e interprete dei dogmi di De Zerbi, c'è soprattutto Domenico Berardi, che a 20 anni doveva passare alla Juventus e all'Inter, ma che alla fine è rimasto in provincia e sei anni dopo spiega il decalogo della casa a chi passa di qui per contratto.«Perché la squadra funzioni si devono sacrificare tutti, correre tutti. Anche quelli che hanno più qualità», è il verbo di De Zerbi. Tre mesi fa si è collegato con l'Academy del Barcellona e ha tenuto una lezione sul «costruire dal basso» allo staff delle giovanili blaugrana. Come svelare il Vangelo in cattedrale, non per niente viene inserito nel pool dei matematici del pallone con Guardiola, Marcelo Bielsa e Mikel Arteta. Eppure il re del tiki-taka all'italiana ha cominciato con una retrocessione (proprio a casa, con il Darfo Boario dalla serie D all'Eccellenza) e con una quasi scazzottata bohémien con Rino Gattuso, lui sulla panchina del Foggia e quell'altro su quella del Pisa. «Ci vediamo fuori», come a scuola, due volte separati da pietosi collaboratori a bordo ring. Perché sotto la cenere filosofica dell'uomo nuovo del calcio italiano c'è pur sempre brace. E a chi gli spiega che fa parte del club dei filosofi lui risponde: «Tutto sbagliato, con i miei sono un martello».De Zerbi lo è, così innamorato del pallone da pensarci anche quando dorme. Così concentrato sul movimento di Mert Muldur o sulle sovrapposizioni di Rogerio da vedere sul soffitto materializzarsi un campo da calcio, con la stessa ossessione della protagonista de La regina degli scacchi che muove l'alfiere nero fra i calcinacci e la muffa dell'orfanotrofio. Non è più veloce dell'Atalanta, non è più aggressivo dell'Inter di Conte quando perde, non è più fantasioso del Napoli o più solido della Juventus. Il Sassuolo di De Zerbi è equilibrato, preciso, si potrebbe dire chirurgico. Lo sottolineò Daniele Adani l'anno scorso dopo il 3-3 allo Stadium contro i bianconeri di Maurizio Sarri, ottenuto dominando attraverso il possesso palla. «Questi giocatori sono allenati a vedere le superiorità numeriche e sfruttarle in ogni zona del campo». Oggi l'errore più grande di questa squadra da boutique italiana sarebbe farsi travolgere dai complimenti, uscire dalla pasticceria sopraffatta dalla vaniglia. Non è una torta, il Sassuolo, ma una teglia di timballo. E sabato aspetta un'altra partita esame, quella con l'Inter reduce dal Real Madrid. La garanzia è ancora una volta nel suo allenatore, che non rinuncia a niente ma non s'illude di niente. «Il nostro obiettivo è l'Europa anche perché, se non ci andiamo, questo ciclo finisce e bisogna aprirne un altro. Però oggi non firmerei per il quarto posto perché mi toglierebbe il divertimento». Che poi è la curiosità di vedere cosa c'è nella terra incognita oltre l'orizzonte, di scoprire quali limiti ha questa macchina dal motore che somiglia a un cuore. Venti gol Caputo, 15 Berardi e a fine stagione si vedrà. Anche se è il caso di rinnovare il contratto, perché De Zerbi firma solo per un anno. «Così mi sento più libero». Chi sta nel club Guardiola passa facilmente dal timballo al caviale.