True
2022-04-27
Ma quali decisioni prese con anticipo. Sulle mascherine ci dicono: «chissà»
(Ansa)
Domenica dovrebbe essere il giorno dell’addio alle mascherine al chiuso, però il governo tace. Il conto alla rovescia era partito il primo aprile, con la fine dello stato di emergenza e lo strascico di norme ancora in vigore, alla faccia della riapertura. Sapevamo che si doveva pazientare ancora un mese, prima di liberarci definitivamente del bavaglio imposto, quello che è non è mai stato chiaro è se alla fine il ministro della Salute riuscirà a imporre ancora una volta la sua linea «precauzionale».
Roberto Speranza l’ha detto più volte, che è troppo presto per appendere al chiodo la maschera dei guerrieri anti Covid perché «la circolazione del virus nel nostro Paese è ancora alta», ma fingeva sempre di aspettare il parere della cabina di regia, prima di emettere una decisione. Per il ministro, potremmo passare l’estate tra mezze chiusure e con il volto ancora coperto, così da non dimenticarci un istante del Covid ed essere pronti per le nuove restrizioni che ha in mente per l’autunno.
Ma non si tratta solo di scontentare o meno cittadini ansiosi di tornare a una meritata normalità, pur consapevoli che il virus non è scomparso. Tenere così in sospeso esercenti, gestori di impianti, negozianti che non sanno quali regole dovranno applicare dal 1 maggio, guarda caso giorno festivo, non è una scelta rispettosa. Eppure il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nelle dichiarazioni programmatiche del 17 febbraio 2021, quando chiese la fiducia al Senato, rivolgendo un pensiero «a tutti coloro che soffrono per la crisi economica che la pandemia ha scatenato, a coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari», fece una precisa promessa. «Ci impegniamo a informare i cittadini con sufficiente anticipo, per quanto compatibile con la rapida evoluzione della pandemia, di ogni cambiamento nelle regole», assicurò il neo premier. Non è ciò che sta accadendo, in questo vergognoso tiramolla sulle mascherine. Spariranno da ristoranti e supermercati, ma solo per i clienti e non il personale, mentre resteranno per cinema, teatri discoteche almeno fino a fine maggio? Proseguiranno sui mezzi pubblici e nei luoghi di lavoro dove c’è condivisione di spazi? Restiamo sempre sul piano delle ipotesi, il governo non prende una posizione netta, lascia scorrere le lancette dell’orologio per poi fare una comunicazione a sorpresa. Magari sabato, giusto per creare nuovo caos, consultazioni febbrili su dove serviranno ancora le Ffp2 e dove basteranno invece quelle chirurgiche. Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, a margine della presentazione del suo libro a Napoli, ieri ha detto: «Cambierà qualcosa». Ma cosa? A cinque giorni dalla scadenza, nulla ancora è certo. Ristoranti, negozi e bar non sanno ancora cosa dovranno dire ai clienti, quali cartelli devono preparare per le ultime, raffazzonate, decisioni in tema di contenimento del virus, che invece circola e diventa endemico. Così, mentre perfino la Turchia ha tolto l’obbligo di mascherina al chiuso, mantenendolo solo sui trasporti pubblici e nei centri medici, l’Italia rimane ad aspettare che i tecnici di Speranza esaminino i dati di positivi, ospedalizzati e morti per poi far conoscere le intenzioni del ministro.
Già le stanno anticipando in molti. «Serve ancora la massima prudenza», ripete il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. Dichiara che «dobbiamo abbandonare le mascherine», però le «continueremo a tenere sui mezzi di trasporto pubblico, in determinate situazioni, in determinati uffici». Bontà sua, si affretta a precisare che «poi le toglieremo anche lì», ma «abituiamoci a tenerle in tasca». Indicazioni vaghe, certezze scientifiche zero, assoluto disinteresse per le esigenze dei cittadini.
E se l’infettivologo Matteo Bassetti è convinto, inascoltato, che «la mascherina deve passare da essere un obbligo a essere un presidio utilizzato in modo appropriato, quando però serve», chiusurista rimane Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali. «Tenere la mascherina al chiuso anche a maggio non è un dramma», ha dichiarato, «visto che, praticamente, è l’unica misura rimasta e, visti i dati dei contagi, c’è un rischio che, togliendo l’obbligo, si apra al liberi tutti».
Chissà come mai, queste virostar, mettono tanto impegno a rendere odiosa l’espressione «liberi tutti». Vige il rifiuto di considerare necessario il ritorno alla normalità, per vivere e non sopravvivere, quindi ogni riferimento a libertà individuali ha connotazioni negative, di generale irresponsabilità. Nessuno, di questi esperti, si scandalizza perché arriveremo al 30 aprile sapendo solo all’ultimo quali restrizioni verranno tolte, quali rimarranno, invece di avere date e provvedimenti certi.
Sappiamo che, in classe, la mascherina resterà fino al termine dell’anno scolastico, anche in questo caso senza guardare quello che fanno negli altri Paesi Ue. Speriamo che davvero, da domenica, il certificato verde non serva più per entrare nei luoghi pubblici ma soprattutto al lavoro, però dobbiamo accontentarci di mezze frasi, congetture sulla permanenza dell’obbligo di utilizzo dei mezzi di protezione respiratoria individuale. Alle imprese, ai commercianti, a quanti svolgono un’attività Draghi promise: «Ci impegniamo a fare di tutto perché possano tornare, nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni». Invece siamo ancora ad aspettare l’ennesimo decreto, o un’ordinanza di Speranza.
«Cure domiciliari precoci efficaci»
Il trattamento precoce a domicilio con antinfiammatori non steroidei (Fans) riduce la durata dei sintomi, l’ospedalizzazione e la mortalità per Covid-19, anche negli over 50. Arriva dal nuovo studio appena pubblicato nella rivista American Journal of Biomedical Science and Research dai medici del Comitato cura domiciliare Covid 19 un’altra spallata alla strategia del paracetamolo e vigile attesa, sostenuta dal ministero della Salute Roberto Speranza sin dall’inizio della pandemia e mai praticamente abbandonata, anche se poco coerente con la prassi medica di curare infezioni non note con farmaci utili a contrastarne i segnali fisiopatologici (infiammazione, per il Covid 19). Secondo lo studio, somministrare dei Fans di uso comune, entro 72 ore, dalla comparsa dei sintomi lievi-moderati, riduce di quasi il 70% l’ospedalizzazione. Sono praticamente i tempi (3-5 giorni) raccomandati anche per i più costosi, e difficili da reperire, anticorpi monoclonali approvati per il Covid.
Purtroppo, come è accaduto anche per il plasma iperimmune, le soluzioni scientifiche semplici godono di scarsa stima a livello ministeriale. I dati, però, dello studio retrospettivo osservazionale condotto dai dottori Serafino Fazio, Sergio Grimaldi e Andrea Mangiagalli, medici del consiglio scientifico del Comitato, confermano quanto già dimostrato da altri lavori. Gli autori hanno considerato i dati di 966 pazienti maggiorenni non vaccinati, selezionati proprio per valutare l’impatto della cura in assenza di vaccinazione, trattati da alcuni medici del gruppo tra febbraio e dicembre 2021. Il protocollo di cura usato nel lavoro scientifico, approvato dal comitato etico dell’Asl 2 di Napoli, prevedeva la somministrazione di un antinfiammatorio (Fans) scelto tra ibuprofene, aspirina, nimesulide, indometacina e ketoprofene. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: il primo (561 persone) ha ricevuto il trattamento entro 72 ore dai sintomi, il secondo (405) dopo tre giorni. In entrambi i casi, la terapia ha ridotto di cinque giorni i disturbi, mentre i ricoveri sono calati del 68% nei trattati entro 3 giorni e del 63% dopo 72 ore.
Questi risultati sono stati confermati anche in un sottogruppo (339 pazienti) di over 50, con età media di 60 anni, più vulnerabili al Sars-Cov2. I sei decessi registrati hanno interessato solo il gruppo di ultracinquantenni con almeno una malattia già presente (comorbidità): uno (più di 80 anni con patologie pregresse) era del gruppo delle cure precoci, cinque erano delle terapie più tardive.
Tra i farmaci impiegati entro tre giorni dalla comparsa dei sintomi, sono risultati particolarmente efficaci, perché hanno determinato zero ospedalizzazioni, l’indometacina e la nimesulide. Secondo una nota degli autori, alla luce dei risultati della recente letteratura e a uno studio randomizzato e controllato verso paracetamolo, l’indometacina si può considerare il farmaco di scelta. A tale proposito, il Comitato cura domiciliare attende da due anni di realizzare uno studio randomizzato, già approvato dall’Agenzia del farmaco (Aifa) sull’efficacia dei Fans, con però il paracetamolo, di scelta nelle linee guida ministeriali, come cura nel gruppo di controllo, «per dimostrarne la definitiva inefficacia, se non forse pericolosità», precisa Erich Grimaldi, avvocato e presidente del Comitato, che aggiunge: «Il ministero della Salute deve comprendere che la battaglia contro il virus non si potrà mai vincere con un’unica arma, soprattutto se non efficace sulle continue varianti», come nel caso di alcuni monoclonali che non funzionano contro Omicron.
Continua a leggereRiduci
Domenica dovrebbe cadere l’obbligo al chiuso, ma il governo prende tempo e tergiversa: la decisione arriverà all’ultimo e creerà confusione. Le virostar nostrane vogliono che il bavaglio resti, ma pure la Turchia l’ha tolto.Lo conferma uno studio effettuato su 966 pazienti non vaccinati: gli anti infiammatori, se somministrati entro 72 ore dai sintomi, riducono di quasi il 70% le ospedalizzazioni.Lo speciale contiene due articoli.Domenica dovrebbe essere il giorno dell’addio alle mascherine al chiuso, però il governo tace. Il conto alla rovescia era partito il primo aprile, con la fine dello stato di emergenza e lo strascico di norme ancora in vigore, alla faccia della riapertura. Sapevamo che si doveva pazientare ancora un mese, prima di liberarci definitivamente del bavaglio imposto, quello che è non è mai stato chiaro è se alla fine il ministro della Salute riuscirà a imporre ancora una volta la sua linea «precauzionale». Roberto Speranza l’ha detto più volte, che è troppo presto per appendere al chiodo la maschera dei guerrieri anti Covid perché «la circolazione del virus nel nostro Paese è ancora alta», ma fingeva sempre di aspettare il parere della cabina di regia, prima di emettere una decisione. Per il ministro, potremmo passare l’estate tra mezze chiusure e con il volto ancora coperto, così da non dimenticarci un istante del Covid ed essere pronti per le nuove restrizioni che ha in mente per l’autunno. Ma non si tratta solo di scontentare o meno cittadini ansiosi di tornare a una meritata normalità, pur consapevoli che il virus non è scomparso. Tenere così in sospeso esercenti, gestori di impianti, negozianti che non sanno quali regole dovranno applicare dal 1 maggio, guarda caso giorno festivo, non è una scelta rispettosa. Eppure il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nelle dichiarazioni programmatiche del 17 febbraio 2021, quando chiese la fiducia al Senato, rivolgendo un pensiero «a tutti coloro che soffrono per la crisi economica che la pandemia ha scatenato, a coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari», fece una precisa promessa. «Ci impegniamo a informare i cittadini con sufficiente anticipo, per quanto compatibile con la rapida evoluzione della pandemia, di ogni cambiamento nelle regole», assicurò il neo premier. Non è ciò che sta accadendo, in questo vergognoso tiramolla sulle mascherine. Spariranno da ristoranti e supermercati, ma solo per i clienti e non il personale, mentre resteranno per cinema, teatri discoteche almeno fino a fine maggio? Proseguiranno sui mezzi pubblici e nei luoghi di lavoro dove c’è condivisione di spazi? Restiamo sempre sul piano delle ipotesi, il governo non prende una posizione netta, lascia scorrere le lancette dell’orologio per poi fare una comunicazione a sorpresa. Magari sabato, giusto per creare nuovo caos, consultazioni febbrili su dove serviranno ancora le Ffp2 e dove basteranno invece quelle chirurgiche. Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, a margine della presentazione del suo libro a Napoli, ieri ha detto: «Cambierà qualcosa». Ma cosa? A cinque giorni dalla scadenza, nulla ancora è certo. Ristoranti, negozi e bar non sanno ancora cosa dovranno dire ai clienti, quali cartelli devono preparare per le ultime, raffazzonate, decisioni in tema di contenimento del virus, che invece circola e diventa endemico. Così, mentre perfino la Turchia ha tolto l’obbligo di mascherina al chiuso, mantenendolo solo sui trasporti pubblici e nei centri medici, l’Italia rimane ad aspettare che i tecnici di Speranza esaminino i dati di positivi, ospedalizzati e morti per poi far conoscere le intenzioni del ministro. Già le stanno anticipando in molti. «Serve ancora la massima prudenza», ripete il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. Dichiara che «dobbiamo abbandonare le mascherine», però le «continueremo a tenere sui mezzi di trasporto pubblico, in determinate situazioni, in determinati uffici». Bontà sua, si affretta a precisare che «poi le toglieremo anche lì», ma «abituiamoci a tenerle in tasca». Indicazioni vaghe, certezze scientifiche zero, assoluto disinteresse per le esigenze dei cittadini. E se l’infettivologo Matteo Bassetti è convinto, inascoltato, che «la mascherina deve passare da essere un obbligo a essere un presidio utilizzato in modo appropriato, quando però serve», chiusurista rimane Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali. «Tenere la mascherina al chiuso anche a maggio non è un dramma», ha dichiarato, «visto che, praticamente, è l’unica misura rimasta e, visti i dati dei contagi, c’è un rischio che, togliendo l’obbligo, si apra al liberi tutti». Chissà come mai, queste virostar, mettono tanto impegno a rendere odiosa l’espressione «liberi tutti». Vige il rifiuto di considerare necessario il ritorno alla normalità, per vivere e non sopravvivere, quindi ogni riferimento a libertà individuali ha connotazioni negative, di generale irresponsabilità. Nessuno, di questi esperti, si scandalizza perché arriveremo al 30 aprile sapendo solo all’ultimo quali restrizioni verranno tolte, quali rimarranno, invece di avere date e provvedimenti certi. Sappiamo che, in classe, la mascherina resterà fino al termine dell’anno scolastico, anche in questo caso senza guardare quello che fanno negli altri Paesi Ue. Speriamo che davvero, da domenica, il certificato verde non serva più per entrare nei luoghi pubblici ma soprattutto al lavoro, però dobbiamo accontentarci di mezze frasi, congetture sulla permanenza dell’obbligo di utilizzo dei mezzi di protezione respiratoria individuale. Alle imprese, ai commercianti, a quanti svolgono un’attività Draghi promise: «Ci impegniamo a fare di tutto perché possano tornare, nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni». Invece siamo ancora ad aspettare l’ennesimo decreto, o un’ordinanza di Speranza. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ma-quali-decisioni-prese-con-anticipo-sulle-mascherine-ci-dicono-chissa-2657221088.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cure-domiciliari-precoci-efficaci" data-post-id="2657221088" data-published-at="1651041808" data-use-pagination="False"> «Cure domiciliari precoci efficaci» Il trattamento precoce a domicilio con antinfiammatori non steroidei (Fans) riduce la durata dei sintomi, l’ospedalizzazione e la mortalità per Covid-19, anche negli over 50. Arriva dal nuovo studio appena pubblicato nella rivista American Journal of Biomedical Science and Research dai medici del Comitato cura domiciliare Covid 19 un’altra spallata alla strategia del paracetamolo e vigile attesa, sostenuta dal ministero della Salute Roberto Speranza sin dall’inizio della pandemia e mai praticamente abbandonata, anche se poco coerente con la prassi medica di curare infezioni non note con farmaci utili a contrastarne i segnali fisiopatologici (infiammazione, per il Covid 19). Secondo lo studio, somministrare dei Fans di uso comune, entro 72 ore, dalla comparsa dei sintomi lievi-moderati, riduce di quasi il 70% l’ospedalizzazione. Sono praticamente i tempi (3-5 giorni) raccomandati anche per i più costosi, e difficili da reperire, anticorpi monoclonali approvati per il Covid. Purtroppo, come è accaduto anche per il plasma iperimmune, le soluzioni scientifiche semplici godono di scarsa stima a livello ministeriale. I dati, però, dello studio retrospettivo osservazionale condotto dai dottori Serafino Fazio, Sergio Grimaldi e Andrea Mangiagalli, medici del consiglio scientifico del Comitato, confermano quanto già dimostrato da altri lavori. Gli autori hanno considerato i dati di 966 pazienti maggiorenni non vaccinati, selezionati proprio per valutare l’impatto della cura in assenza di vaccinazione, trattati da alcuni medici del gruppo tra febbraio e dicembre 2021. Il protocollo di cura usato nel lavoro scientifico, approvato dal comitato etico dell’Asl 2 di Napoli, prevedeva la somministrazione di un antinfiammatorio (Fans) scelto tra ibuprofene, aspirina, nimesulide, indometacina e ketoprofene. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: il primo (561 persone) ha ricevuto il trattamento entro 72 ore dai sintomi, il secondo (405) dopo tre giorni. In entrambi i casi, la terapia ha ridotto di cinque giorni i disturbi, mentre i ricoveri sono calati del 68% nei trattati entro 3 giorni e del 63% dopo 72 ore. Questi risultati sono stati confermati anche in un sottogruppo (339 pazienti) di over 50, con età media di 60 anni, più vulnerabili al Sars-Cov2. I sei decessi registrati hanno interessato solo il gruppo di ultracinquantenni con almeno una malattia già presente (comorbidità): uno (più di 80 anni con patologie pregresse) era del gruppo delle cure precoci, cinque erano delle terapie più tardive. Tra i farmaci impiegati entro tre giorni dalla comparsa dei sintomi, sono risultati particolarmente efficaci, perché hanno determinato zero ospedalizzazioni, l’indometacina e la nimesulide. Secondo una nota degli autori, alla luce dei risultati della recente letteratura e a uno studio randomizzato e controllato verso paracetamolo, l’indometacina si può considerare il farmaco di scelta. A tale proposito, il Comitato cura domiciliare attende da due anni di realizzare uno studio randomizzato, già approvato dall’Agenzia del farmaco (Aifa) sull’efficacia dei Fans, con però il paracetamolo, di scelta nelle linee guida ministeriali, come cura nel gruppo di controllo, «per dimostrarne la definitiva inefficacia, se non forse pericolosità», precisa Erich Grimaldi, avvocato e presidente del Comitato, che aggiunge: «Il ministero della Salute deve comprendere che la battaglia contro il virus non si potrà mai vincere con un’unica arma, soprattutto se non efficace sulle continue varianti», come nel caso di alcuni monoclonali che non funzionano contro Omicron.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci