2025-03-25
Ma in odio a Trump i Popolari
spostano l’Unione verso Pechino
Manfred Weber (Getty images)
Bruxelles e il Ppe spingono la strategia tedesca del riarmo al posto del Green deal. Il racconto dipinge da un lato Trump come inaffidabile e dall’altro Pechino come il nuovo partner sicuro al quale aprirsi. Da oltre due mesi i vertici politici di Bruxelles (chi più apertamente, chi in modo più velato) hanno avviato una chiara strategia di rottura con gli Stati Uniti. Il racconto è molto semplice. Da quando si è insediato Donald Trump alla Casa Bianca gli Usa non solo non esportano più democrazia, ma sono diventati la patria di una nuova tirannide. Tra presunti abusi di potere e scelte tecnocratiche, la nazione che ha finanziato il piano Marshall e tenuto in piedi la Nato per decenni diventa, soprattutto per i socialdemocratici, un pericolo. Gli stessi che sostenevano a spada tratta Cambridge Analytica, le censure dei social di Meta ora hanno invertito la barra di manovra. Certo, il caos politico generato da Trump è un dato di fatto. Ma lo storytelling dei Gentiloni & C. appare chiaramente funzionale a un importante riposizionamento del Vecchio Continente. Di fronte alla possibilità di trattare con Trump per fermare o rallentare i dazi (ad esempio annunciando l’abolizione di burocrazia e di barriere d’ingresso alle multinazionali Usa) la strada che si vuole intraprendere è una maggiore apertura (e quindi dipendenza) alla Cina. Certo, il Commissario Ue al commercio prima di andare a Pechino farà un salto a Washington, ma le pressioni tedesche sono tutte rivolte a Est. Sia da un punto di vista politico che commerciale. Il piano di riarmo tedesco mira a tenere in piedi l’economia fiaccata dal Green deal, riconvertire ciò che è possibile e stringere ulteriori link con Pechino. Le stesse dichiarazioni della socialista Teresa Ribera (Commissaria alla transizione) servono a puntellare almeno nel settore dell’energia le tecnologie rinnovabili e quindi il rapporto preferenziale con Xi Jinping. L’indiscrezione, poi smentita da Pechino, di una possibile partecipazione al plotone dei volenterosi di truppe cinesi esce non a caso da un quotidiano tedesco. Berlino, con la sponda francese, sembra non avere dubbi. L’oceano che prima ci univa agli Usa può diventare un muro. La presenza di truppe asiatiche in Ucraina sarebbe stato segno di rottura dentro una Nato mai così debole come oggi. Sono i cinesi a frenare perché stanno cercando di mantenere rapporti produttivi con la Russia. Quegli stessi rapporti che Trump vuole spezzare, coinvolgendo a sua volta la Russia in una trattativa molto più delicata che riguarda il riposizionamento dell’intero Medio Oriente tra le braccia dei sunniti. Tradotto: sotto l’ombrello del saudita Mohammed Bin Salman. Praticamente uno scenario opposto a quello dei socialisti europei, che ovviamente vedono le relazioni atlantiche vincolate al mondo dem. Così è da Clinton in avanti. E soprattutto dopo Barack Obama che è riuscito a formare a sua immagine l’intero Deep State americano: la filiera di potere che Trump sta cercando di smantellare in queste settimane. Così, se non stupisce la reazione delle mondo europeo che fa riferimento a quell’area, appare una notizia importante il nuovo posizionamento dei Popolari europei. Non sfugge che a guidare il Ppe sia Manfred Weber. Tedesco che ha a cuore la nuova strategia di Berlino. Weber praticamente in contemporanea al nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani (anch’egli esponente del Ppe) ha stigmatizzato la telefonata tra Matteo Salvini e il vice presidente Usa J.D. Vance. «Bisogna smettere di seguire i populisti. In questo momento storico basta con le accuse e agiamo insieme. L’amministrazione americana è per definizione il nostro partner. Ma tutti capiscono che l’amministrazione Trump è una sfida per noi. E io sono preoccupato che Salvini e gli altri patrioti ammirino Trump, perché Trump ora vuole imporre i dazi contro i prodotti europei», ha detto il numero uno del Ppe ai microfoni di Rai Tre. Non è una frase detta a caso. È un puntino da unire ad altri puntini. Lo stesso Tajani ha preso le distanze dalla Lega, mentre si è detto favorevole all’eventuale apertura di Pechino alla partecipazione alla missione di pace in Ucraina. C’è chiaramente un dialogo tra i vertici del Ppe. Ogni Paese declina poi la postura a cascata. Con attività e interessamenti a livello locale. La Germania, ad esempio, è pronta ad accogliere le fabbriche di Byd, il colosso cinese dell’elettrico, che giusto ieri ha superato i 100 miliardi di fatturato. L’Italia è quasi pronta a partorire (a un anno dall’annuncio) un decreto energia che aprirà la strada all’eolico «di Stato» nei porti di Augusta e forse Taranto. In realtà la tecnologia sottostante non sarà italiana, ma cinese. E gli osservatori americani hanno bene presente i rischi che si possono correre installando tecnologia asiatica alle porte di due importanti basi Nato. Tanto che assistiamo a strane coincidenze. La presunta corruzione alla base dell’inchiesta scatenata dalla magistratura belga contro i lobbisti di Huawei, azienda di Shenzen leader nel 5G e molto altro, non è qualcosa di nuovo. Segnalazioni erano arrivate quasi due anni fa all’Olaf, organismo anti corruzione. Nulla era stato fatto. Così si sono mossi i pm di Bruxelles. Non proprio di iniziativa, però. Come nella vicenda del Qatargate a dare fuoco alle polveri sono stati i servizi segreti. Questa inchiesta punta su Forza Italia e nello specifico su Fulvio Martusciello (al momento - va detto - intonso). Gli azzurri in Puglia non sono per nulla contrari alla tecnologia cinese. E tutti sanno che Martusciello in Campania è l’uomo che porta più voti a Fi. I più sensibili non possono cogliere degli strani messaggi. Cina e Ppe hanno troppi link? Gli Usa lo sanno? Vediamo come procederà l’inchiesta e se dovesse avvicinarsi alla testa del Ppe.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)