2018-07-03
«Ma che Caronte e Lucifero, il meteo non è carnevale»
Paolo Bernacca, figlio del leggendario colonnello che insegnò le previsioni del tempo agli italiani, racconta: «Quando la Rai gli accorciò il programma ci fu un'insurrezione popolare».Con il suo timbro di voce limpido e avvolgente, le inappuntabili cravatte larghe, e una dotazione strumentale quasi da professore di liceo - carta geografica, gessetto, matita, bacchetta di legno e barometro -, da un angusto studio televisivo della Rai riuscì a far comprendere agli italiani, sintonizzati ogni sera sul primo canale, prima del telegiornale delle 20, che le condizioni del tempo del giorno dopo dipendono dall'anticiclone delle Azzorre e dalla pressione atmosferica, alta o bassa. Perfino gli esoterici millibar - poi diventati ectopascal - assunsero, grazie a lui, rilevanza quotidiana, accanto a «vortici» e «saccature», «impulsi di aria instabile» e «annuvolamenti cumuliformi a evoluzione diurna». Ai telespettatori interessava soprattutto sapere se, al loro risveglio, a Milano, Bologna o Palermo, avrebbero trovato sole, nebbia o pioggia, ma quel signore erudito e rassicurante, deteneva il potere di incuriosirli anche sui più oscuri enigmi dei fenomeni atmosferici, quelli che possono causare tempeste e uragani. Dal 1968, quando gli fu affidata la rubrica Che tempo fa?, rigorosamente in diretta, il colonnello Edmondo Bernacca, romano, classe 1914, meteorologo dell'Aeronautica militare, che già aveva iniziato ad apparire nel piccolo schermo dal 1955, divenne per tutti l'«uomo del tempo» e uno dei personaggi più popolari della televisione, tanto da essere ospitato in numerose trasmissioni e da guadagnarsi le celebri imitazioni di Alighiero Noschese a Formula 2. A questo indimenticabile e benvoluto personaggio della galleria storica della Rai, a Fivizzano (Massa Carrara), centro della Lunigiana a lui caro, dato che qui si unì in matrimonio, nel 1947, con Bepi Bernabò, insegnante di lettere, era solito trascorrervi le vacanze estive, il Comune, ha dedicato un museo, appena inaugurato e con ingresso gratuito, presso la Biblioteca civica Abate Emanuele Gerini, con le sue carte, il suo barometro, immagini e filmati di repertorio. A Fivizzano riposano le sue spoglie - dopo essere stato promosso al grado di generale, morì, a Roma, il 15 settembre 1993, in un giorno di sole - e quelle della moglie. Alla realizzazione del museo ha dato un contributo determinante il figlio, Paolo, 66 anni, grafico e illustratore, in collaborazione con la sorella Federica.Come si trovava a scuola il figlio del colonnello Bernacca?«Qualche battuta era consueta, del tipo “Bernacca, che tempo fa?". Quando iniziai a lavorare, mi firmavo “BernH", per evitare considerazioni e conclusioni inopportune e non vere».Si racconta che chi incontrava suo padre per strada, non resistesse alla tentazione di chiedergli informazioni sul tempo.«Abitavamo all'Eur, e ogni giorno ciò accadeva, con il giornalaio, il barista e tutti quelli che lo riconoscevano. Ma lui rispondeva sempre con garbo e cortesia».Dev'essere stato impegnativo organizzare la giornata con più di una trasmissione Rai quasi ogni giorno.«Mio padre era metodico. Quando al mattino si alzava, puntava gli occhi al cielo e poi ascoltava i bollettini meteo alla radio. Quindi si recava al servizio meteo all'Eur, presso l'Archivio di Stato, e poi negli studi Rai di via Teulada. Lo rivedo a casa, con le sue matite, mentre si preparava per le previsioni, ma anche quando scriveva articoli per varie testate, come Il Tempo, La Stampa, Momento sera». Nel 1972, i dirigenti Rai decisero di ridurre la durata dell'edizione serale di Che tempo fa? da 3 a 2 minuti e ciò suscitò così tante proteste dei telespettatori che la trasmissione fu riportata alla lunghezza originaria.«Fu orgoglioso di questo. La cosa cui teneva di più, tuttavia, era la chiarezza. Mia madre, docente di italiano, non si perdeva mai le sue apparizioni in tivù e, nel caso, gli faceva presente di aver pronunciato una frase non chiara o che la sua cravatta era leggermente storta. Lui apprezzava queste osservazioni, ma rispondeva che l'importante era che si fosse compreso il senso di ciò che aveva spiegato».Come reagiva quando le sue previsioni erano disattese?«Ci rimaneva un po' male. Per questo si preoccupava di chiarire che una previsione, basandosi sull'analisi di dati e sulla deduzione statistica, non è una certezza. Durante l'anno la cosa che più lo preoccupava erano le previsioni del weekend di Pasqua, dato che cittadini e albergatori le chiedevano con 15 giorni di anticipo».Cosa le ha insegnato suo padre?«Che ogni stagione possiede una propria bellezza e che i momenti più interessanti sono quelli del passaggio da una stagione all'altra. Inoltre mi diceva che quando piove non significa che il tempo è brutto».E questa simpatica rivalità con Andrea Baroni, da cui le scenette di Noschese?«Erano amici e uscivano a cena insieme, anche con gli altri colleghi. Con noi figli, si andava a sciare insieme a Campocatino». Sembra che oggi un fenomeno concreto come l'anticiclone delle Azzorre sia stato oscurato da sensazionalismi, come Caronte o Lucifero.«Papà non avrebbe apprezzato questa tendenza e l'associazione “Bernacca onlus" predilige un approccio scientifico e combatte la moda della spettacolarizzazione del tempo».
Il cpr di Shengjin in Albania (Getty Images)