2021-05-07
M5s coi nervi a pezzi. Il governo balla la rumba al Senato
Sceneggiata dei grillini: minacciano di non votare la fiducia. Poi l'allarme rientra, ma ora gli alleati sono preoccupatiLo psicodramma grillino fuoriesce dal perimetro interno al Movimento e sconfina all'esterno, arrivando a minare la stessa stabilità del governo Draghi e mettendo in causa (per qualche ora) perfino il comportamento dei pentastellati su un voto di fiducia, cioè - per antonomasia - quelle votazioni in cui, se la fiducia manca, il governo cade.Il casus belli è scoppiato ieri sul primo decreto Sostegni, ovvero un decreto legge che è attualmente in fase di conversione in legge. Il provvedimento era ieri al Senato, e approderà ora alla Camera, per diventare legge entro il 21 maggio. Ma torniamo al Senato e alla baraonda di ieri. A porre la questione di fiducia, a nome del governo, era stato proprio un ministro grillino, il titolare dei Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà. E su quale testo del dl Sostegni aveva posto la fiducia? Su un maxiemendamento finale interamente sostitutivo del testo, per recepire tutte le modifiche già intervenute in Commissione. Un classico stratagemma tecnico dei governi, per non ripetere in Aula lo stillicidio di votazioni sui singoli emendamenti, ma per avere un unico blocco omogeneo su cui porre la fiducia. Senonché il nuovo testo, anche raccogliendo le obiezioni tecniche della Ragioneria generale dello Stato, ha espunto la norma per la cosiddetta «cedibilità del credito di imposta nell'acquisto dei beni strumentali relativamente al piano Transizione 4.0». Si tratta di quello che giornalisticamente era stato definito «superbonus per le aziende», misura sollecitata anche dai grillini. Motivazione dello stop da parte della Ragioneria (che, non dimentichiamolo, è incardinata nell'ambito del Mef): il fatto che la norma abbia «potenziali rilevanti effetti sulla finanza pubblica», determinando in particolare un forte impatto sul deficit già al primo anno. Analogamente, la scure della Rgs si è abbattuta su un'altra ipotesi di cessione del credito: quella relativa alle detrazioni per gli acquisti di mobili ed elettrodomestici per gli immobili in ristrutturazione. Ma, al di là del merito specifico delle norme, quel che rileva dal punto di vista politico è la reazione furiosa dei pentastellati, per bocca del capogruppo al Senato Ettore Licheri: «È una decisione incomprensibile e immotivata. Cominceranno delle interlocuzioni con la Ragioneria e parallelamente un processo di seria riflessione su quello che sarà il voto del M5s alla fiducia stasera al Senato». Apriti cielo: il partito di maggioranza relativa (che conta ben 75 senatori!) che mette in dubbio il voto di fiducia. Un terremoto. Panico del Pd, che ha passato le ultime settimane ad aggredire la Lega e il cosiddetto «metodo Salvini». Insomma, a sinistra hanno criminalizzato un duro ma leale negoziato su alcuni temi (coprifuoco e riaperture), e poi si sono ritrovati la bomba in casa, con i grillini addirittura in dubbio su un voto di fiducia. Senza dire dell'imbarazzo palpabile per i 4 ministri e gli 11 sottosegretari pentastellati: un piccolo esercito di nominati, ai quali qualunque cittadino, a quel punto, avrebbe potuto legittimamente chiedere - per lo meno - l'atto di dignità di dimettersi all'istante. Morale: nel marasma generale, che ha prodotto un paio d'ore di ulteriore ritardo sul calendario dei lavori, i grillini hanno supplicato il Mef di concedere al M5s una scialuppa di salvataggio, che è arrivata sotto forma di una promessa di ridiscutere i temi nell'ambito del decreto Sostegni bis, cioè in vista del provvedimento successivo. Ma gli animi erano ormai surriscaldati. Alla ripresa in Aula, alle 17, sotto la presidenza del vicepresidente del Senato Ignazio La Russa, Licheri ha chiesto la parola sull'ordine dei lavori, cioè su un punto meramente procedurale, ma ha iniziato a parlare nel merito: «È doveroso da parte mia dire perché questa giornata si è sviluppata in maniera così convulsa. Sapete che il M5s sta dalla parte delle imprese (ndr: risate e boati in Aula). Dobbiamo dimostrarlo con la cessione del credito di imposta. È giusto che lei sappia che quello che è stato fatto in Commissione non lo possiamo accettare...». E proprio quando Licheri stava arrivando alla sostanza («Da domani ripresenteremo l'emendamento per il Sostegni due»), La Russa, con puntigliosa ma giusta fermezza, lo ha stoppato, spiegandogli che non era quello il momento di intervenire nel merito. Breve tafferuglio, espulsione (poi rapidamente «amnistiata») del grillino Vincenzo Santangelo, urla e grida di tutti contro tutti. Dopo una breve interruzione per calmare gli animi, la seduta è finalmente ripresa ed è iniziata la discussione di merito. E qui Licheri ha giustificato la retromarcia, descrivendo nientemeno che un M5s paladino delle imprese: «Era una misura per la liquidità delle aziende. Domani inizieremo un tavolo affinché quell'emendamento avvii un percorso che lo porti nel Sostegni bis. Abbiamo avuto garanzie affinché non venga abbandonato». «Non c'era bisogno di agitarsi troppo, allora», lo ha infilzato La Russa dalla presidenza, implicitamente evidenziando come i grillini, piromani per due ore, fossero già tornati pompieri. La ribellione è dunque durata poco, seguita da un inevitabile rientro nei ranghi dei pentastellati (in dichiarazione di voto, il senatore Gianmauro Dell'Olio, pur protestando, ha infatti annunciato voto favorevole a nome del gruppo M5s). Ma l'interrogativo di fondo resta: si può andare avanti con un partito di maggioranza relativa che - tra convulsioni politiche e lacerazioni interne - si è trasformato in un costante fattore di instabilità?
Jose Mourinho (Getty Images)