2023-10-09
L’uomo «un gradino sotto Dio» ha salito l’ultimo
Pierfrancesco Pacini Battaglia (Ansa)
Il banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia fu protagonista di mani pulite. «Ma chi avete arrestato, Dio?». Dopo nove ore di attesa davanti alla procura di Milano in quel 1993 dal tintinnio di manette, i cronisti erano sfiniti e nervosi. Antonio Di Pietro, comparso sull’uscio, rispose: «Dio no, stiamo interrogando l’uomo un gradino sotto». Sabato notte nella sua grande casa ai Parioli ( è morto a 89 anni Pierfrancesco Pacini Battaglia, detto Chicchi, l’uomo un gradino sotto Dio di Mani Pulite, il grande accusato, il grande accusatore, la mente presunta del flusso di tangenti Dc, Psi. Quelle del Pci non interessavano ancora. Era il banchiere misterioso, di lui non esistevano foto: tutti pubblicarono per mesi l’unica rubata mentre si copriva con un lembo della giacca uscendo dal tribunale. Il dettaglio gli diede una pubblicità enorme: Ezio Greggio replicò la scena a «Striscia» e fu un tormentone. Toscano di Bientina (Pisa), proprietario a Ginevra della banca Karfinco (poi Banque des Patrimones Privés), fu uomo chiave di una parte delle inchieste che portavano proprio al ventilato ma mai provato coinvolgimento di Di Pietro. Nei mesi ruggenti entrò e uscì dall’inchiesta dipietresca dopo quelle nove ore di interrogatori. Scomparve per riapparire tre anni dopo in altri fascicoli, quelli delle tangenti delle Fs, incardinati a La Spezia. La frase estrapolata da un’intercettazione «Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato», poi derubricata in «sbiancato», fu per anni il discrimine di un mondo. Analizzata, studiata, utilizzata per attribuire responsabilità a destra e a manca. Nei giorni delle rivelazioni il governo Prodi tremò, poi le acque tornarono tranquille e Pacini Battaglia trascorse una vita da imputato sotto controllo. Fu inseguito dalle Procure per 17 anni, nella sua villa di Bientina c’era un’intera dépèndance per i faldoni. Chicchi seppe uscire dal tritacarne quasi indenne: dopo una condanna a sei anni per le tangenti Eni, venne assolto dal tribunale di Perugia, ritenuto non colpevole di riciclaggio. Già avanti con l’età, scontò una condanna catalogando libri etruschi nella biblioteca di Bientina. Aveva superato con parecchie cicatrici il tempo delle faide, delle polpette avvelenate, degli avvisi di garanzia sui giornali amici. Corpulento, voce tonante e battuta letale, Pacini Battaglia fu uno dei protagonisti di un’epoca tellurica. Così originale e alternativo da cambiare un avvocato perché si presentava in aula con «una cravatta con stampati dei cervi in amore». Blandito da giornalisti e direttori di Tg, fu bersaglio numero uno della Procura di Milano e dovette denunciare un magistrato che gli aveva fatto mettere le cimici nell’airbag dell’automobile. L’autista fu vittima di un incidente e pagò con ferite plurime il mancato funzionamento del salvavita. Prima dei pranzi era solito scandire a voce alta: «Signora Boccassini, lei è bellissima». Per spiegare poi agli esterrefatti commensali: «Siamo intercettati di sicuro, meglio blandire le autorità». Navigatore scaltro nelle acque della Prima repubblica, profondo conoscitore delle logiche dei partiti che per mezzo secolo ne furono i protagonisti, da manager Eni ebbe un ruolo preminente nella realizzazione del gasdotto d’Algeria. A chi gli chiedeva quale fosse il suo più grande indice di ricchezza rispondeva: «Quando un italiano accendeva il gas per farsi un caffè, prendevo la percentuale di un centesimo». Poi sorrideva luciferino, lasciando intendere che poteva essere una granitica verità ma pure una boutade. L’uomo un gradino sotto Dio aveva deciso di tenersi qualche mistero.
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