2018-04-26
L’uomo che pagava i coniugi Renzi: «Pressioni per saldare le fatture»
Remi Leonforte, sentito dai pm che indagano sui genitori dell'ex premier, ha riferito di ingerenze su Tramor per versare somme ingenti. Poi però scoprì che dietro alle richieste non c'era «adeguata documentazione».In una mail depositata agli atti, la segretaria di babbo Tiziano spiegava che non c'erano abbastanza uomini per distribuire i volantini. Ma il fatturato in 3 anni è più che triplicato.Lo speciale contiene due articoli.Come in ogni poliziottesco che si rispetti, anche nella storia delle false fatture che i genitori di Renzi avrebbero emesso non potevano mancare il marsigliese e il calabrese. Il primo è Remi Leonforte, 49 anni, amministratore della Tramor srl, misteriosa società passata da una compagine societaria cipriota alla multinazionale del lusso Kering, e oggi al centro di un'inchiesta per reati fiscali. Per gli inquirenti la Tramor è una delle scatole utilizzate da un gruppo di imprenditori per realizzare frodi all'erario, a partire dal pagamento e dall'emissione di fatture per operazioni inesistenti. Leonforte, indagato per reati fiscali, è stato interrogato il giorno dei morti, il 2 novembre del 2017, e con le sue dichiarazioni ha fatto scattare l'accusa di truffa per l'immobiliarista barlettano Luigi Dagostino, ex socio dei Renzi e sino al 17 giugno 2015 amministratore della Tramor. Dagostino avrebbe saldato direttamente una fattura da 24.400 euro e successivamente sollecitato il pagamento di un'altra da 170.800 euro ai genitori dell'ex premier, causando un danno patrimoniale alla società e garantendo un ingiusto profitto ai coniugi. Leonforte prende la guida della Tramor il 18 giugno 2015 e dopo pochi giorni riceve pressioni per far pagare la fattura più sostanziosa alla Eventi 6 della famiglia Renzi. Per gli inquirenti il 6 luglio 2015 Dagostino avrebbe indotto in errore il manager del gruppo Kering Carmine Rotondaro e di conseguenza Leonforte, inviando una mail allo stesso Rotondaro: «Ti pregherei di mettere in pagamento urgentemente per i motivi che ti ho spiegato. Un abbraccio Luigi». Dopo il pagamento Leonforte «verificava che la fattura non era supportata da adeguata documentazione (…) e provvedeva a inserirla nella richiesta di provvedimento operoso» presentata all'Agenzia delle entrate il 29 dicembre scorso, «nella quale veniva annullata». L'altro personaggio chiave della vicenda è proprio il cosentino Rotondaro, avvocato con residenza monegasca e società di comodo a Panama: all'epoca gestiva il patrimonio immobiliare del gruppo ed era legato a Dagostino da numerosi rapporti di affari. Nel 2016 è finito sotto inchiesta a Milano per diversi reati: dall'omessa dichiarazione dei redditi all'appropriazione indebita, dal riciclaggio, al trasferimento fraudolento di valori, all'insider trading. Un anno e mezzo fa è stato licenziato dalla Kering e attualmente è indagato anche a Firenze: la Procura toscana gli contesta l'appropriazione indebita per il trasferimento di 1,4 milioni di euro su un suo conto svizzero. Leonforte, a novembre, davanti alla pm Christine von Borries, ha raccontato i segreti della Tramor e delle sue sorelle. Per esempio ha ricordato che le società italiane cedute da Dagostino e soci alla Kering «erano controllate da società cipriote e lussemburghesi» e ha specificato che non conosceva le società in questione né i loro azionisti e amministratori, ma che «l'operazione di acquisizione è stata seguita direttamente dal dottor Carmine Rotondaro».Nel verbale i magistrati gli chiedono conto delle fatture firmate dalle due società riconducibili ai Renzi. Leonforte ribatte che non conosceva le loro ditte e che, sino alla contestazione dei pm, non aveva presente le due fatture incriminate, compresa quella della Eventi 6, «anche se è stata emessa dopo che io ero diventato amministratore della Tramor ed è stata inserita nella dichiarazione da me presentata». E per avvalorare la sua tesi Leonforte estrae un asso dalla manica, cioè una mail che Rotondaro aveva spedito il 10 luglio 2015 direttamente al tesoriere del gruppo Kering Marco Vettori, in cui chiedeva «di pagare con estrema urgenza la fattura allegata». Eppure Leonforte ammette che qualcosa non torna: «Non ho trovato nella documentazione contabile della Tramor né il contratto di affidamento dell'incarico alla Eventi 6, né lo studio di fattibilità menzionato nella fattura». Un sospetto che i magistrati avevano già maturato dopo aver ascoltato, il 5 ottobre, le spontanee dichiarazioni di Tiziano Renzi e aver verificato l'assenza di materiale extracontabile su quei progetti nella sede della Eventi 6. Per questo. Il 19 ottobre, avevano iscritto sul registro degli indagati Tiziano Renzi e Laura Bovoli con l'accusa di emissione di fatture false. Il 2 novembre Leonforte dà agli inquirenti la conferma di aver imboccato la pista giusta, spiegando che nella richiesta di ravvedimento operoso che sta per presentare inserirà diverse fatture sospette (per un importo complessivo di 5,7 milioni di euro) presenti nei bilanci della Tramor, che «a seguito della perquisizione della Guardia di finanza non ha ritenuto supportate da adeguata documentazione e quindi non veritiere» e che chiederà di farle annullare. Tra queste anche quelle dei Renzi e una fattura da 1,562 milioni di euro emessa dalla Kering Holland. Leonforte descrive come deus ex machina del sistema Rotondaro che però non aveva cariche nelle aziende perché «monegasco»: «Io non avevo ben presente lo scopo che si prefiggeva Rotondaro (…), sono diventato amministratore su sua richiesta». E nei libri contabili della Tramor figurano oltre alle fatture dei Renzi, quelle della Nikila Invest di Dagostino, della Uno Invest amministrata dalla sua ex moglie, ma anche quelle della Coam di Andrea Bacci, la società che ha ristrutturato la villa di Matteo Renzi e che oggi è fallita. «I lavori della Coam sono riferiti a opere effettuate nel comune di Reggello» ha precisato Leonforte. Il quale alla domanda se sia andato a controllare tali manufatti ha risposto: «No, visto che questo controllo è stato effettuato da M. G. del team di Rotondaro». Considerate le scarse verifiche sulle fatture del 2015 (comprese quelle dei Renzi), i magistrati chiedono a Leonforte se abbia analizzato meglio le fatture inserite nella dichiarazione dei redditi dell'anno successivo e il francese nega: «Rispondo che mi fidavo di Rotondaro, il quale prendeva le decisioni più importanti della Tramor, per esempio in ordine agli appalti e a chi doveva tenere la contabilità». In sostanza se il marsigliese ha sbagliato, sarebbe colpa del calabrese. E il film continua.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/luomo-che-pagava-i-coniugi-renzi-2563467218.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-affari-doro-di-una-ditta-in-crisi" data-post-id="2563467218" data-published-at="1763778391" data-use-pagination="False"> Gli affari d’oro di una ditta in crisi Il core business della Eventi 6, l'azienda di cui è stato dirigente (in aspettativa) sino al 2014 Matteo Renzi, è sempre stata la distribuzione dei volantini. E gli affari paiono procedere a gonfie vele, se è vero che dal 2013 al 2016 il fatturato è cresciuto da 1,9 milioni a 7,2. A guidare la ditta sono Tiziano Renzi e Laura Bovoli, i genitori dell'ex Rottamatore, oggi coinvolti di due diverse indagini della Procura di Firenze proprio a causa della loro gestione della società. In passato la Procura di Cuneo aveva messo in discussione la distribuzione dei volantini effettuata da alcuni fornitori della Eventi 6 e in particolare dalla Direkta srl di Mirko Provenzano, evidenziando come molto materiale finisse al macero. I magistrati hanno verificato che tonnellate di carta sono partite pure dal quartier generale della Eventi 6 di Rignano sull'Arno e tutt'oggi diversi distributori dell'azienda continuano a far distruggere migliaia di volantini non consegnati. Si tratta di rimanenze fisiologiche oppure buona parte del materiale viene stampato e pagato dalle aziende della grande distribuzione per poi finire nelle discariche? Le indagini non sono ancora finite e quindi al momento non esiste una risposta definitiva, ma tra le carte depositate dai pm fiorentini nell'indagine per le false fatturazioni contestate ai genitori di Renzi c'è un documento che svela che la Eventi 6 qualche problema di distribuzione lo avrebbe. E anche bello grosso. O almeno lo aveva sino a qualche mese fa. La vicenda che stiamo per raccontare si svolge nel gennaio 2016. Il 13 del mese la segretaria della Eventi 6, Cristiana, invia a Tiziano Renzi e al suo genero e braccio destro Andrea Conticini un report sui controlli fatti sulla distribuzione dei volantini di Coop ed Esselunga da tale Carlo (probabilmente si tratta di uno storico dipendente dei Renzi spostato come addetto alla logistica dentro alla Marmodiv). La donna spiega che il primo giorno di distribuzione è andato bene probabilmente perché il capogruppo Julian era stato avvertito dei controlli, ma già al secondo giorno il gruppo «ha tralasciato alcune zone (…) la distribuzione è stata effettuata al 70 per cento nei paesi grossi e al 40 per cento nei paesi più piccoli». Il terzo giorno non è andato meglio e i volantinisti hanno saltato intere località del Mugello, come Firenzuola e gran parte di Borgo San Lorenzo. Ma la segretaria li giustifica: «I ragazzi lavorerebbero bene, ma sono pochi e umanamente e fisiologicamente non possono coprire tutta la programmazione in 4. Non avvalendosi più della collaborazione di Faruk che aveva molti gruppi e non avendo assunto altro personale la cooperativa (la Marmodiv, il braccio operativo della Eventi 6, ndr) è in enorme difficoltà a distribuire sia Esselunga che Coop insieme perché non ha personale sufficiente a coprire una sola distribuzione (Esselunga) per l'ampiezza del bacino, figuriamoci due». Tiziano Renzi dopo mezz'ora suggerisce una via d'uscita: «Occorre parlare con il pakistano della Betta e intanto assumere Festus». Gli extracomunitari asiatici sono la maggior riserva di manovalanza per la ditta e i suoi addentellati. Passano cinque minuti e la soluzione sembra annunciarla Mirko Provenzano, amico e fornitore piemontese dei Renzi, da poco assunto alla Marmodiv dopo essere finito in un'inchiesta per bancarotta fraudolenta a Cuneo: «Per Festus il contratto parte da domani e quindi lo si può aggregare subito (…) per il pakistano devo riuscire ad andare a Bologna per sentire se ha gente qui» scrive. Provenzano a maggio sarà allontanato dalla cooperativa. Ma a fine anno per i Renzi i conti torneranno. Almeno a livello di ricavi.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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