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2020-11-08
L’unica zona verde sono i nostri porti. I migranti arrivano, noi siamo reclusi
Ansa
«Non ci sono regioni in aree verdi, la pandemia corre ovunque e non ci sono regioni che possono sottrarsi a queste nuove misure di regioni restrittive». Così ha dichiarato dal pulpito Giuseppe Conte, aggiungendo, come nota d'ottimismo, che «ci aspettano mesi lunghi e difficili». A quanto risulta, però, di zone verdi ce ne sono eccome: per la precisione lungo le coste del Sud Italia, della Sicilia in particolare. Luoghi in cui si può circolare liberamente, ci si può assembrare, si possono valicare i confini senza che a nessuno salti in mente di indignarsi. Dunque i prossimi mesi potranno anche essere «lunghi e duri» per gli italiani più o meno rinchiusi, ma i migranti potranno continuare a sbarcare in serenità, come fanno già da settimane. Tra la notte di venerdì e la mattina di sabato sono approdati a Lampedusa in 248. Un gommone con 80 persone è arrivato - diretto e tranquillo - al molo commerciale. Seguito qualche tempo dopo da altri barchini, carichi per lo più di persone provenienti dalla Tunisia. Come avviene ormai da mesi, l'hotspot dell'isola è tornato a riempirsi: a ieri conteneva 1.361 persone, ben di più di quello che potrebbe ospitare.
Dall'inizio dell'anno, sulle nostre coste sono sbarcati 29.952 stranieri contro i 9.944 del 2019: un bel record. Gli arrivi sono così tanti che hanno addirittura superato quelli del 2018, periodo in cui ancora si risentiva della precedente, mastodontica, ondata migratoria. Nello stesso periodo di due anni fa, infatti, gli immigrati accolti erano 22.167. Tuttavia che l'invasione - magari più lenta, ma comunque efficace - sia di nuovo in corso ormai è cosa nota. La vera grande novità sta nella beffa. Un paio di giorni fa, infatti, la Sicilia è diventata zona arancione. Una decisione presa dall'alto e non è accolta benissimo dal governatore siciliano, Nello Musumeci, che fino all'ultimo si è opposto: «Spero in una svista, in un errore di valutazione del Comitato tecnico scientifico. Sembra di essere su Scherzi a parte», ha dichiarato quando gli hanno comunicato la notizia. E ha aggiunto, irritato: «Anche un bambino, se mette a confronto i dati della Sicilia con quelli di altre 6-7 regioni si rende conto che si tratta di una grave sbavatura. Non protesto, la mia è amarezza. Questa decisione affrettata e superficiale incoraggia chi vuole andare in piazza».
Ora, ci è stato più volte ribadito che «nelle aree arancioni è vietato qualsiasi spostamento in entrata e in uscita dal Comune e dalla Regione di residenza». Ebbene, come mai questa regola non vale per i barconi in ingresso? La domanda è talmente banale da risultare stupida, eppure il governo non è ancora stato in grado di fornire una risposta. In compenso, ci ha offerto e continua a offrirci uno spettacolo poco decoroso. Come noto, con grande soddisfazione di Luciana Lamorgese, sono stati smantellati i decreti sicurezza salviniani. I quali, fino a prova contraria - assieme agli accordi con i libici siglati da Marco Minniti - hanno prodotto una drastica riduzione degli sbarchi. In compenso, il ministro dell'Interno si è dato un gran daffare per elargire denari alla Tunisia, che però - lo dimostrano i numeri - non ha fermato il flusso di clandestini diretto verso le nostre spiagge. Dall'Europa non arrivano aiuti né economici né pratici, e il risultato è che ci troviamo a farci carico di chiunque entri.
La sensazione che sull'immigrazione l'esecutivo ci prenda in giro è alimentata poi da uscite come quelle di Luigi Di Maio, che un paio di giorni fa ha dichiarato: «Fermiamo gli sbarchi, è un problema di sicurezza nazionale». E ha aggiunto che «vanno fatti più rimpatri e a spese di Bruxelles». Solo che Di Maio non è un passante, bensì il ministro degli Esteri, e invece di rilasciare interviste che non portano a niente dovrebbe farsi valere con i suoi pari. Secondo alcune indiscrezioni avrebbe persino messo a punto un piano per una sorta di blocco navale, concordato con la Lamorgese. Ma pare che Conte non abbia gradito. Dunque ci troviamo al solito punto: gli stranieri arrivano, noi dobbiamo farli entrare e mantenerli a spese dei cittadini, i quali al contempo devono fare i conti con le limitazioni imposte dalle cinquanta sfumature di lockdown.
Sappiamo che l'immigrazione di massa è un pericolo per la sicurezza, dato che proprio a Lampedusa è sbarcato il terrorista di Nizza, Brahim Aouissaoui. Sappiamo - perché lo ha ribadito perfino la Ong Actionaid - che i centri di accoglienza sovraffollati diventano «focolai di coronavirus». Sappiamo che tenere in piedi questo sistema di ingressi massivi costa soldi che non abbiamo. Il governo dovrebbe almeno spiegarci perché ci costringe a subire tutto questo. Se vuole dimostrare di essere «buono», non può farlo sulla nostra pelle.
Anche in Italia i visoni contagiati
C'è anche l'Italia tra i Paesi che ospitano allevamenti di visoni infettati dal coronavirus. Il primo Paese ad aver annunciato casi di persone contagiate da un variante del virus Sars-Cov-2 è stata la Danimarca ma, a fare il punto della situazione, è stata l'Organizzazione mondiale della sanità secondo cui, «ad oggi, sei Paesi, cioè Danimarca, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Italia e Stati Uniti, hanno segnalato Sars-CoV-2 nei visoni d'allevamento all'Organizzazione mondiale per la salute animale».
L'unica soluzione, purtroppo, in questo periodo di pandemia, è la più drastica e la Danimarca la già mettendo in piedi. Tutti i visoni da allevamento andranno abbattuti. Solo nello Stato del Nord Europa si tratta di 17 milioni di animali.
«Le evidenze disponibili», spiega l'Oms, «suggeriscono che il virus viene trasmesso prevalentemente tra le persone attraverso goccioline respiratorie e contatto stretto» con contagiati, «ma ci sono anche esempi di trasmissione tra esseri umani e animali. Diversi animali che sono stati in contatto con esseri umani infetti, come visoni, cani, gatti domestici, leoni e tigri, sono risultati positivi al test per Sars-CoV-2». In particolare, «i visoni sono stati infettati in seguito all'esposizione ad esseri umani infetti».
Secondo quanto spiega l'Oms, la diffusione del Covid-19 tra i visoni potrebbe fare da «cassa di risonanza» per la propagazione del virus che potrebbe diffondersi prima tra gli animali e poi infettare, di nuovo, una grande quantità di essere umani.
I visoni, spiega l'Oms «possono agire come un serbatoio di Sars-CoV-2, trasmettendo il virus» e rappresentando «un rischio di propagazione dal visone all'uomo. Le persone possono poi trasmettere questo virus all'interno della popolazione umana. Può inoltre verificarsi un ritorno, una trasmissione da uomo a visone. Rimane motivo di preoccupazione quando un virus animale si diffonde nella popolazione umana o quando una popolazione animale potrebbe contribuire ad amplificare e diffondere un virus che colpisce l'uomo. Quando infatti i virus si spostano tra le popolazioni umane e animali, possono verificarsi modificazioni genetiche nel patogeno».
Come spesso accade quando si tratta di coronavirus, il problema non è solo sanitario. Nel caso in cui anche l'Italia decidesse di abbattere tutti i visoni di allevamento presenti sul nostro territorio, per i pellicciai sarebbe un danno economico importante.
L'Associazione italiana pellicceria sul tema ha diffuso un comunicato spiegando che in Italia sono stati trovati solo due casi e con carica virale bassa. Il messaggio è chiaro: gli animali degli allevamenti non vanno abbattuti.
«Le Asl monitorano costantemente gli allevamenti», si legge nella nota dell'Aip, «nel nostro Paese ci sono state solo due analisi che hanno rilevato carica virale Covid bassa. La prima è stata fatta su un visone trovato deceduto, la seconda sulle feci a terra, sotto una gabbia vicina. L'allevamento in cui sono stati fatti questi due rilevamenti è stato monitorato da agosto a oggi: sui visoni sono stati eseguiti parecchie centinaia di tamponi in tempi successivi e sono sempre e tutti risultati negativi».
«Siamo e vogliamo essere in prima linea su tutti gli aspetti legati alla sicurezza, alle buone pratiche e alla tutela. In Italia gli allevamenti sono sicuri e molto distanziati tra loro (a differenza di quelli in Danimarca, che sono tutti nella stessa area)», conclude l'associazione che racchiude i pellicciai d'Italia.
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In Sicilia, dichiarata «arancione» dal governo, gli italiani devono subire tutte le limitazioni del lockdown. Nel frattempo, sulle coste della regione, sbarcano stranieri per cui i protocolli non sembrano valere.Visoni contagiati anche in Italia. La diffusione del virus tra gli animali potrebbe fare da cassa di risonanza per l'epidemia. Ma le associazioni della pellicceria protestano: «Da noi solo due casi, siamo controllati».Lo speciale contiene due articoli.«Non ci sono regioni in aree verdi, la pandemia corre ovunque e non ci sono regioni che possono sottrarsi a queste nuove misure di regioni restrittive». Così ha dichiarato dal pulpito Giuseppe Conte, aggiungendo, come nota d'ottimismo, che «ci aspettano mesi lunghi e difficili». A quanto risulta, però, di zone verdi ce ne sono eccome: per la precisione lungo le coste del Sud Italia, della Sicilia in particolare. Luoghi in cui si può circolare liberamente, ci si può assembrare, si possono valicare i confini senza che a nessuno salti in mente di indignarsi. Dunque i prossimi mesi potranno anche essere «lunghi e duri» per gli italiani più o meno rinchiusi, ma i migranti potranno continuare a sbarcare in serenità, come fanno già da settimane. Tra la notte di venerdì e la mattina di sabato sono approdati a Lampedusa in 248. Un gommone con 80 persone è arrivato - diretto e tranquillo - al molo commerciale. Seguito qualche tempo dopo da altri barchini, carichi per lo più di persone provenienti dalla Tunisia. Come avviene ormai da mesi, l'hotspot dell'isola è tornato a riempirsi: a ieri conteneva 1.361 persone, ben di più di quello che potrebbe ospitare. Dall'inizio dell'anno, sulle nostre coste sono sbarcati 29.952 stranieri contro i 9.944 del 2019: un bel record. Gli arrivi sono così tanti che hanno addirittura superato quelli del 2018, periodo in cui ancora si risentiva della precedente, mastodontica, ondata migratoria. Nello stesso periodo di due anni fa, infatti, gli immigrati accolti erano 22.167. Tuttavia che l'invasione - magari più lenta, ma comunque efficace - sia di nuovo in corso ormai è cosa nota. La vera grande novità sta nella beffa. Un paio di giorni fa, infatti, la Sicilia è diventata zona arancione. Una decisione presa dall'alto e non è accolta benissimo dal governatore siciliano, Nello Musumeci, che fino all'ultimo si è opposto: «Spero in una svista, in un errore di valutazione del Comitato tecnico scientifico. Sembra di essere su Scherzi a parte», ha dichiarato quando gli hanno comunicato la notizia. E ha aggiunto, irritato: «Anche un bambino, se mette a confronto i dati della Sicilia con quelli di altre 6-7 regioni si rende conto che si tratta di una grave sbavatura. Non protesto, la mia è amarezza. Questa decisione affrettata e superficiale incoraggia chi vuole andare in piazza». Ora, ci è stato più volte ribadito che «nelle aree arancioni è vietato qualsiasi spostamento in entrata e in uscita dal Comune e dalla Regione di residenza». Ebbene, come mai questa regola non vale per i barconi in ingresso? La domanda è talmente banale da risultare stupida, eppure il governo non è ancora stato in grado di fornire una risposta. In compenso, ci ha offerto e continua a offrirci uno spettacolo poco decoroso. Come noto, con grande soddisfazione di Luciana Lamorgese, sono stati smantellati i decreti sicurezza salviniani. I quali, fino a prova contraria - assieme agli accordi con i libici siglati da Marco Minniti - hanno prodotto una drastica riduzione degli sbarchi. In compenso, il ministro dell'Interno si è dato un gran daffare per elargire denari alla Tunisia, che però - lo dimostrano i numeri - non ha fermato il flusso di clandestini diretto verso le nostre spiagge. Dall'Europa non arrivano aiuti né economici né pratici, e il risultato è che ci troviamo a farci carico di chiunque entri. La sensazione che sull'immigrazione l'esecutivo ci prenda in giro è alimentata poi da uscite come quelle di Luigi Di Maio, che un paio di giorni fa ha dichiarato: «Fermiamo gli sbarchi, è un problema di sicurezza nazionale». E ha aggiunto che «vanno fatti più rimpatri e a spese di Bruxelles». Solo che Di Maio non è un passante, bensì il ministro degli Esteri, e invece di rilasciare interviste che non portano a niente dovrebbe farsi valere con i suoi pari. Secondo alcune indiscrezioni avrebbe persino messo a punto un piano per una sorta di blocco navale, concordato con la Lamorgese. Ma pare che Conte non abbia gradito. Dunque ci troviamo al solito punto: gli stranieri arrivano, noi dobbiamo farli entrare e mantenerli a spese dei cittadini, i quali al contempo devono fare i conti con le limitazioni imposte dalle cinquanta sfumature di lockdown. Sappiamo che l'immigrazione di massa è un pericolo per la sicurezza, dato che proprio a Lampedusa è sbarcato il terrorista di Nizza, Brahim Aouissaoui. Sappiamo - perché lo ha ribadito perfino la Ong Actionaid - che i centri di accoglienza sovraffollati diventano «focolai di coronavirus». Sappiamo che tenere in piedi questo sistema di ingressi massivi costa soldi che non abbiamo. Il governo dovrebbe almeno spiegarci perché ci costringe a subire tutto questo. Se vuole dimostrare di essere «buono», non può farlo sulla nostra pelle. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lunica-zona-verde-sono-i-nostri-porti-i-migranti-arrivano-noi-siamo-reclusi-2648662416.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="anche-in-italia-i-visoni-contagiati" data-post-id="2648662416" data-published-at="1604802153" data-use-pagination="False"> Anche in Italia i visoni contagiati C'è anche l'Italia tra i Paesi che ospitano allevamenti di visoni infettati dal coronavirus. Il primo Paese ad aver annunciato casi di persone contagiate da un variante del virus Sars-Cov-2 è stata la Danimarca ma, a fare il punto della situazione, è stata l'Organizzazione mondiale della sanità secondo cui, «ad oggi, sei Paesi, cioè Danimarca, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Italia e Stati Uniti, hanno segnalato Sars-CoV-2 nei visoni d'allevamento all'Organizzazione mondiale per la salute animale». L'unica soluzione, purtroppo, in questo periodo di pandemia, è la più drastica e la Danimarca la già mettendo in piedi. Tutti i visoni da allevamento andranno abbattuti. Solo nello Stato del Nord Europa si tratta di 17 milioni di animali. «Le evidenze disponibili», spiega l'Oms, «suggeriscono che il virus viene trasmesso prevalentemente tra le persone attraverso goccioline respiratorie e contatto stretto» con contagiati, «ma ci sono anche esempi di trasmissione tra esseri umani e animali. Diversi animali che sono stati in contatto con esseri umani infetti, come visoni, cani, gatti domestici, leoni e tigri, sono risultati positivi al test per Sars-CoV-2». In particolare, «i visoni sono stati infettati in seguito all'esposizione ad esseri umani infetti». Secondo quanto spiega l'Oms, la diffusione del Covid-19 tra i visoni potrebbe fare da «cassa di risonanza» per la propagazione del virus che potrebbe diffondersi prima tra gli animali e poi infettare, di nuovo, una grande quantità di essere umani. I visoni, spiega l'Oms «possono agire come un serbatoio di Sars-CoV-2, trasmettendo il virus» e rappresentando «un rischio di propagazione dal visone all'uomo. Le persone possono poi trasmettere questo virus all'interno della popolazione umana. Può inoltre verificarsi un ritorno, una trasmissione da uomo a visone. Rimane motivo di preoccupazione quando un virus animale si diffonde nella popolazione umana o quando una popolazione animale potrebbe contribuire ad amplificare e diffondere un virus che colpisce l'uomo. Quando infatti i virus si spostano tra le popolazioni umane e animali, possono verificarsi modificazioni genetiche nel patogeno». Come spesso accade quando si tratta di coronavirus, il problema non è solo sanitario. Nel caso in cui anche l'Italia decidesse di abbattere tutti i visoni di allevamento presenti sul nostro territorio, per i pellicciai sarebbe un danno economico importante. L'Associazione italiana pellicceria sul tema ha diffuso un comunicato spiegando che in Italia sono stati trovati solo due casi e con carica virale bassa. Il messaggio è chiaro: gli animali degli allevamenti non vanno abbattuti. «Le Asl monitorano costantemente gli allevamenti», si legge nella nota dell'Aip, «nel nostro Paese ci sono state solo due analisi che hanno rilevato carica virale Covid bassa. La prima è stata fatta su un visone trovato deceduto, la seconda sulle feci a terra, sotto una gabbia vicina. L'allevamento in cui sono stati fatti questi due rilevamenti è stato monitorato da agosto a oggi: sui visoni sono stati eseguiti parecchie centinaia di tamponi in tempi successivi e sono sempre e tutti risultati negativi». «Siamo e vogliamo essere in prima linea su tutti gli aspetti legati alla sicurezza, alle buone pratiche e alla tutela. In Italia gli allevamenti sono sicuri e molto distanziati tra loro (a differenza di quelli in Danimarca, che sono tutti nella stessa area)», conclude l'associazione che racchiude i pellicciai d'Italia.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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