
I burocrati europei e i loro fan spingono ancora per approvare il Mes. E l'Ecofin di giovedì non cita il virus all'ordine del giorno.Come accesa dalle speranze di tutti i cittadini italiani prostrati dall'emergenza coronavirus, una luce chiara d'intelligenza ha iniziato, negli ultimi giorni, a illuminare tante menti, diradando le macchie scure dell'ideologia. È quasi con commozione che, ieri, si assisteva al progressivo rischiaramento dei pensieri di Romano Prodi. Persino lui - in un editoriale sul Messaggero - è riuscito ad ammettere che, nelle attuali condizioni, le istituzioni europee non hanno offerto un grande spettacolo. «La seconda fase della nostra politica antivirus», ha scritto Prodi con caratteri felpati, «deve essere dedicata a promuovere una strategia europea per impedire una crisi irreversibile che, fra un paio di settimane, toccherà anche gli altri membri dell'Unione. La scorsa settimana l'Europa ci ha inviato, su questo, messaggi ambigui».Oddio, a dire il vero l'Europa ci ha inviato più che altro un messaggio mortifero, nelle devastanti dichiarazioni del presidente della Bce, Christine Lagarde, che hanno destato dal torpore pure Sergio Mattarella e hanno provocato sussulti - a mo' di defibrillatore - addirittura fra i ciechi turboeuropeisti nostrani. Poi, a parziale correzione del tiro, è intervenuta, dal vertice della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Prodi riconosce che le uscite della Lagarde hanno “provocato un disastroso panico in tutti i mercati finanziari e un enorme danno per l'Italia". Poi, improvvisamente rianimato dal sacro fuoco, il caro Romano invoca l'utilizzo degli eurobond come strumento di solidarietà e giunge incredibilmente a teorizzare la fine della globalizzazione, spiegando che persino le grandi multinazionali americane stanno «progettando un seppur parziale “reshoring" (ritorno a casa)».Del resto, se persino i progressisti italici si sono messi, nelle ultime ore, a sventolare il Tricolore e a intonare l'Inno di Mameli, anche Prodi l'europeo può bacchettare l'Ue e Romano il cinese può discettare di confini da ripristinare. Il punto è vedere quali e quante di queste gustose chiacchiere in insalata sopravvivranno alla prova della realtà. Perché, purtroppo, il comportamento del «mostro buono di Bruxelles» non dipende dalle belle parole, ma dalle fredde procedure; si misura tramite complessi e piuttosto oscuri documenti e non ha nulla a che fare con la solidarietà. L'Europa non deve «salvarci», semmai le istituzioni comunitarie e gli altri Stati membri potrebbero evitare di tenderci trappole, e noi dovremmo essere ben attenti a scansarle. Il primo, concreto, banco di prova lo avremo oggi, durante la riunione dell'Eurogruppo. Come ha raccontato Fabio Dragoni su queste pagine, l'agenda dell'incontro odierno è stata modificata e prevede al primo punto la discussione sulle politiche da attuare per rispondere all'emergenza coronavirus. Bene, benissimo. Ma in scaletta c'è anche un secondo punto: la discussione sul Meccanismo europeo di stabilità e sull'introduzione del «common backstop» (tagliato con l'accetta: la linea di sicurezza che consente al Mes, tramite il fondo europeo di gestione delle crisi bancarie, di erogare denaro agli istituti di credito in crisi). Ecco, se qualcuno oggi - magari con la scusa dell'opportunità di «una maggiore divisione del rischio» citata anche da Prodi - dovesse farsi venire in mente di far passare la riforma del Mes, avremmo la dimostrazione della nocività della nostra permanenza nell'Ue. I segnali non sono incoraggianti. Non si capisce perché, ad esempio, nell'agenda dell'Eurogruppo modificata in virtù dell'epidemia, sia ancora presente la discussione sul «common backstop» ma non si parli più di accordi sul «sostegno politico» da offrire al Mes. Qualcuno forse pensa di approfittare del caos per infilarci il cappio al collo nascondendolo dietro l'astrusa terminologia tecnica? Non solo: giovedì è in calendario una riunione dell'Ecofin. Fino a ieri, il programma dei lavori nemmeno citava il virus. Le chiacchiere, insomma, stanno a zero: oggi (e di nuovo giovedì) vedremo se davvero i nostri rapporti con l'Ue possono essere cambiati in meglio. O se, dopo tutto, l'intollerabile Lagarde è stata semplicemente più trasparente di altri.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 10 novembre con Carlo Cambi
Martin Sellner (Ansa)
Parla il saggista austriaco che l’ha teorizzata: «Prima vanno rimpatriati i clandestini, poi chi commette reati. E la cittadinanza va concessa solo a chi si assimila davvero».
Per qualcuno Martin Sellner, saggista e attivista austriaco, è un pericoloso razzista. Per molti altri, invece, è colui che ha individuato una via per la salvezza dell’Europa. Fatto sta che il suo libro (Remigrazione: una proposta, edito in Italia da Passaggio al bosco) è stato discusso un po’ ovunque in Occidente, anche laddove si è fatto di tutto per oscurarlo.
Giancarlo Giorgetti e Mario Draghi (Ansa)
Giancarlo Giorgetti difende la manovra: «Aiutiamo il ceto medio ma ci hanno massacrati». E sulle banche: «Tornino ai loro veri scopi». Elly Schlein: «Redistribuire le ricchezze».
«Bisogna capire cosa si intende per ricco. Se è ricco chi guadagna 45.000 euro lordi all’anno, cioè poco più di 2.000 euro netti al mese forse Istat, Banca d’Italia e Upb hanno un concezione della vita un po’…».
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, dopo i rilievi alla manovra economica di Istat, Corte dei Conti e Bankitalia si è sfogato e, con i numeri, ha spiegato la ratio del taglio Irpef previsto nella legge di Bilancio il cui iter entra nel vivo in questa settimana. I conti corrispondono a quelli anticipati dal nostro direttore Maurizio Belpietro che, nell’editoriale di ieri, aveva sottolineato come la segretaria del Pd, Elly Schlein avesse lanciato la sua «lotta di classe» individuando un nuovo nemico in chi guadagna 2.500 euro al mese ovvero «un ricco facoltoso».
Ansa
«Fuori dal coro» smaschera un’azienda che porta nel nostro Paese extra comunitari.
Basta avere qualche soldo da parte, a volte nemmeno troppi, e trovare un’azienda compiacente per arrivare in Italia. Come testimonia il servizio realizzato da Fuori dal coro, il programma di Mario Giordano, che ha trovato un’azienda di Modena che, sfruttando il decreto flussi, importa nel nostro Paese cittadini pakistani. Ufficialmente per lavorare. Ufficiosamente, per tirare su qualche soldo in più. Qualche migliaia di euro ad ingresso. È il business dell’accoglienza, bellezza.






