
Il ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba lancia ami. Premono l’incognita sull’esito delle elezioni americane e la pressione dei connazionali: almeno uno su tre disposto a cedere territori per ottenere la pace.Persino gli ucraini, persino i loro governanti stanno facendo un bagno di realtà: per porre fine alla guerra, bisognerà trattare con i russi. E, magari, concedere loro qualche pezzo di territorio. Sul Colle più alto di Roma, invece, circola ancora la versione precedente: lotta senza quartiere alla tirannia. Ieri, alla tradizionale cerimonia del Ventaglio, Sergio Mattarella ha tirato fuori il trito monito del fatale appeasement con Adolf Hitler, propiziato nel 1938 dal primo ministro britannico, Neville Chamberlain. «Le cosiddette potenze europee», ha tuonato il presidente, «anziché difendere il diritto internazionale e sostenere la Cecoslovacchia» contro le pretese espansionistiche dei nazisti, alla Conferenza di Monaco, «diedero a Hitler via libera. La Germania nazista occupò i Sudeti. Dopo neppure sei mesi occupò l’intera Cecoslovacchia. E, visto che il gioco non incontrava ostacoli, dopo sei mesi provò con la Polonia». La seconda guerra mondiale, ha concluso Mattarella, «non sarebbe scoppiata senza quel cedimento per i Sudeti. Historia magistra vitae». Tradotto e attualizzato: guai a trattare con Vladimir Putin. Fanno bene l’Italia e l’Ue, che «sostenendo l’Ucraina difendono la pace, affinché si eviti un succedersi di aggressioni sui vicini più deboli». A Londra, quasi 90 anni dopo Chamberlain, darebbero ragione al Quirinale: secondo il nuovo capo dell’esercito, Roly Walker, il Regno Unito deve prepararsi alla terza guerra mondiale entro tre anni. Scenderà in campo l’asse del male al gran completo: la Russia, ovviamente; la Cina, che proverà a occupare Taiwan; la Corea del Nord e l’Iran.Viviamo in un mondo pericoloso, sì. L’autocrate di Mosca, se non debitamente contenuto, potrà essere tentato di saggiare la tenuta dell’articolo 5 della Nato. Bisogna serrare le fila e riarmarsi. Ma è anche probabile che il messaggio occidentale abbia fatto breccia: i russi non hanno annientato l’Ucraina; e il Dragone sa che, in caso di attacco a Formosa, se la vedrebbe con gli Usa e i loro alleati. Come nessuno voleva morire per Danzica, nessuno vorrebbe morire per Kiev o per Taipei. Forse non lo vogliono neppure Putin e Xi Jinping. Per entrambi, lo scontro totale con la Nato sarebbe un suicidio. O postuliamo la razionalità del nemico, immaginiamo che non miri a un conflitto termonucleare né a uno convenzionale, altrettanto devastante; oppure ci convinciamo che di fronte a noi c’è il Male assoluto, il mostro con cui sarebbe inutile mettersi a parlare, figuriamoci accordarsi con lui.Il punto è che, ormai, sembrano non vederla così nemmeno le vittime dell’aggressione dello zar. Un sondaggio, condotto dall’Istituto internazionale di sociologia di Kiev, mostra che il 32% dei cittadini è disponibile a qualche concessione territoriale, purché i combattimenti cessino rapidamente. L’anno scorso, i favorevoli allo smembramento del Paese erano il 10%; otto mesi fa, il 19%. Ciò la dice lunga sullo scollamento tra la retorica dei vertici Nato e la quotidiana sofferenza di chi sta sotto le bombe. Un terzo degli ucraini sta mostrando più senso pratico del segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, delle cancellerie del Vecchio continente e, soprattutto, degli Stati Uniti a guida dem.Stanchezza e disillusione avranno pesato nella scelta di Volodymyr Zelensky, che ha prorogato la legge marziale, la mobilitazione e la sospensione della democrazia. Ma nella sua amministrazione, qualche spiraglio si sta aprendo. Il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, ne aveva già discusso al termine del vertice svizzero, a giugno: prima o poi, «sarà necessario parlare con la Russia». Ieri lo ha ribadito, durante il confronto con l’omologo cinese, Wang Yi: l’Ucraina «è pronta per i colloqui con la Russia, se Mosca è pronta a negoziare in buona fede». Ovvero, se i negoziati saranno «razionali e sostanziali e mirati a raggiungere una pace giusta e duratura». «Non vediamo tale preparazione da parte russa», ha precisato Kuleba. E pure la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha tagliato corto: «Nessuno ha fiducia» in Zelensky. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha però sottolineato che le parole di Kuleba sono «in sintonia con la posizione» di Mosca. «L’importante sono i dettagli». La Federazione attende «ulteriori chiarimenti».Sul confronto tra i belligeranti insiste il Vaticano. Per il Segretario di Stato, Pietro Parolin, rientrato dal viaggio in Ucraina, «siamo ancora lontani da una soluzione negoziata». Il prelato ha spiegato che il limite dell’attuale proposta di Kiev «sta nel fatto di non aver coinvolto la Russia». «Non so se si lascerà coinvolgere attraverso questa formula», quella del summit alla Bürgenstock, ha detto Parolin. Ma «il fatto che il presidente Zelensky riconosca come sia necessaria la partecipazione della Russia lo considero un passo avanti». Commentando la visita del cardinale, il presidente ucraino ha definito «essenziale» la mediazione vaticana. La musica è cambiata, da quando i suoi insultavano il Papa per le iniziative diplomatiche della Santa Sede. Evidentemente, al fronte la situazione rimane complicata. E a Kiev non leggono i giornali italiani, dove Kamala Harris ha già vinto le elezioni Usa. Dovesse spuntarla Donald Trump, si materializzerebbe lo scenario di un taglio netto alle forniture militari e di una trattativa con Putin che - non va escluso - comporterebbe sul serio delle concessioni territoriali ai russi. Si vedrebbe, allora, se è il tycoon a non aver imparato dalla storia, o Mattarella a non averla saputa interpretare.
Antonio Scurati (Ansa)
Eccoli lì, tutti i «veri sapienti» progressisti che si riuniscono per chiedere all’Aie di bandire l’editore «Passaggio al bosco» dalla manifestazione «Più libri più liberi».
Sono tutti lì belli schierati in fila per la battaglia finale. L’ultima grande lotta in difesa del pensiero unico e dell’omologazione culturale: dovessero perderla, per la sinistra culturale sarebbe uno smacco difficilmente recuperabile. E dunque eccoli, uniti per chiedere alla Associazione italiana editori di cacciare il piccolo editore destrorso Passaggio al bosco dalla manifestazione letteraria Più libri più liberi. Motivo? Tale editore sarebbe neofascista, apologeta delle più turpi nefandezze novecentesche e via dicendo. In un appello rivolto all’Aie, 80 autori manifestano sdegno e irritazione. Si chiedono come sia possibile che Passaggio al bosco abbia trovato spazio nella fiera della piccola editoria, impugnano addirittura il regolamento che le case editrici devono accettare per la partecipazione: «Non c’è forse una norma - l’Articolo 24, osservanza di leggi e regolamenti - che impegna chiaramente gli espositori a aderire a tutti i valori espressi nella Costituzione italiana, nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in particolare a quelli relativi alla tutela della libertà di pensiero, di stampa, di rispetto della dignità umana? Poniamo quindi queste domande e preoccupazioni all’attenzione dell’Associazione italiana editori per aprire una riflessione sull’opportunità della presenza di tali contenuti in una fiera che dovrebbe promuovere cultura e valori democratici». Memorabile: invocano la libertà di pensiero per chiedere la censura.
Olivier Marleix (Ansa)
Pubblicato post mortem il saggio dell’esponente di spicco dei Républicains, trovato impiccato il 7 luglio scorso «Il presidente è un servitore del capitalismo illiberale. Ha fatto perdere credibilità alla Francia nel mondo».
Gli ingredienti per la spy story ci sono tutti. Anzi, visto che siamo in Francia, l’ambientazione è più quella di un noir vecchio stile. I fatti sono questi: un politico di lungo corso, che conosce bene i segreti del potere, scrive un libro contro il capo dello Stato. Quando è ormai nella fase dell’ultima revisione di bozze viene tuttavia trovato misteriosamente impiccato. Il volume esce comunque, postumo, e la data di pubblicazione finisce per coincidere con il decimo anniversario del più sanguinario attentato della storia francese, quasi fosse un messaggio in codice per qualcuno.
Roberto Gualtieri (Ansa)
Gualtieri avvia l’«accoglienza diffusa», ma i soldi andranno solo alla Ong.
Aiutiamoli a casa loro. Il problema è che loro, in questo caso, sono i cittadini romani. Ai quali toccherà di pagare vitto e alloggio ai migranti in duplice forma: volontariamente, cioè letteralmente ospitandoli e mantenendoli nella propria abitazione oppure involontariamente per decisione del Comune che ha stanziato 400.000 euro di soldi pubblici per l’accoglienza. Tempo fa La Verità aveva dato notizia del bando comunale con cui è stato istituito un servizio di accoglienza che sarà attivo dal 1° gennaio 2026 fino al 31 dicembre 2028. E ora sono arrivati i risultati. «A conclusione della procedura negoziata di affidamento del servizio di accoglienza in famiglia in favore di persone migranti singole e/o nuclei familiari o monogenitoriali, in possesso di regolare permesso di soggiorno, nonché neomaggiorenni in carico ai servizi sociali», si legge sul sito del Comune, «il dipartimento Politiche sociali e Salute comunica l’aggiudicazione del servizio. L’affidamento, relativo alla procedura è stato aggiudicato all’operatore economico Refugees Welcome Italia Ets».
2025-12-03
Pronto soccorso in affanno: la Simeu avverte il rischio di una crisi strutturale nel 2026
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iStock
Secondo l’indagine della Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza, dal 2026 quasi sette pronto soccorso su dieci avranno organici medici sotto il fabbisogno. Tra contratti in scadenza, scarso turnover e condizioni di lavoro critiche, il sistema di emergenza-urgenza rischia una crisi profonda.
Il sistema di emergenza-urgenza italiano sta per affrontare una delle sue prove più dure: per molti pronto soccorso l’inizio del 2026 potrebbe segnare una crisi strutturale del personale medico. A metterne in evidenza la gravità è Alessandro Riccardi, presidente della Simeu - Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza - al termine di un’indagine che fotografa uno scenario inquietante.






