2025-03-10
«Trump ha fretta perché teme il collasso del governo di Kiev»
Lucio Martino (Imagoeconomica)
L’analista Lucio Martino: «Il presidente vuole evitare un nuovo Afghanistan. E l’accordo con Mosca gli serve per contenere l’inflazione».Con Lucio Martino, esperto di politica internazionale, proviamo a fare il punto sulla situazione ucraina. Gli ultimi dieci giorni hanno rivoluzionato il concetto di diplomazia, a cominciare dallo scontro Trump-Zelensky nello studio ovale della Casa Bianca. Non è stata una umiliazione per il leader ucraino?«Nessuna umiliazione. Dopo aver visto e rivisto la registrazione integrale dell’incontro in lingua originale, non ho alcun dubbio: Zelensky si è presentato alla Casa Bianca senza avere alcuna intenzione di firmare l’accordo con Trump. Ha cercato, e trovato, il modo per far naufragare questa possibilità».Domani a Riad ci sarà un tentativo di ricucire, e Zelensky ha rilasciato dichiarazioni concilianti. È un inginocchiamento agli Usa?«È sbagliato anche parlare di inginocchiamento ucraino. Al contrario, se si legge con attenzione il messaggio di Zelensky, si scopre che continua a confermare le sue posizioni, e si ritrovano tutti i concetti principali da lui già esposti alla Casa Bianca. Il leader ucraino si dice pronto ad una tregua, è vero, ma solo nei combattimenti aerei e marittimi. E una tregua del genere è impensabile».Perché?«Una tregua si fa quando entrambe le parti guadagnano qualcosa. Ma siccome gli attacchi aerei oggi vengono condotti prevalentemente dai russi, la tregua “aerea” non verrà mai accettata da Mosca. Allo stesso modo, anche un cessate il fuoco sui mari sarebbe a esclusivo vantaggio di Kiev, perché riaprirebbe in pieno le vie di commercio attraverso il porto di Odessa, e anche questo non rientra minimamente negli interessi russi. Insomma, chiedere una tregua del genere è come non chiederla affatto».Qual è la strategia di Donald Trump?«Trump ha nei confronti dell’Ucraina una serie di preoccupazioni. Non vuole ritrovarsi a presiedere un collasso ucraino analogo a quello che gli Stati Uniti hanno affrontato in Vietnam, o più recentemente in Afghanistan. Sembrano un po’ tutti convinti che il crollo del governo di Kiev sia tutt’altro che improbabile, e da qui la spinta della Casa Bianca per un accordo tempestivo. Non dimentichiamo poi che Trump ha un nemico che giudica ancor più insidioso della Federazione Russa».E quale sarebbe?«L’inflazione. Per combatterla, Trump deve abbattere velocemente i costi dell’energia. E lo sta facendo rinnegando la rivoluzione “green” voluta dalla precedente amministrazione, e ricominciando a estrarre quanto più gas e petrolio possibile. Ma non basta, deve intervenire anche a livello globale, chiedendo aiuto all’Arabia Saudita, e normalizzando i rapporti con la Federazione Russa, che nell’ottica di Trump deve tornare ad essere protagonista nel mercato globale dell’energia».Non c’è anche una necessità strategica di riavvicinarsi alla Russia per allontanarla dal vero competitor, ovvero la Cina?«C’è anche questo ma non gli darei un grande peso, Trump ha obiettivi molto più immediati. La Cina per adesso non è all’altezza degli Usa sul piano strategico, forse lo sarà tra 15 o 20 anni».Le uscite pirotecniche di Trump, anche su Canada e Groenlandia, sono solo tattica?«Fanno parte della scenografia del personaggio, del suo modo di relazionarsi con il suo elettorato. Ma certe convinzioni “trumpiane” sono radicate nella mentalità americana. Per esempio, buona parte dei dazi nei confronti dell’Europa e della Cina sono stati riconfermati dall’amministrazione Biden, perché rispondono a un’esigenza avvertita universalmente negli Stati Uniti: difendere l’occupazione. A differenza di altri Paesi, gli Usa possiedono al loro interno una disponibilità di materie prime, una capacità industriale, un mercato e una quantità di manodopera sufficiente per fare a meno di larghi settori del commercio internazionale. L’amministrazione Trump è pronta a chiudere le frontiere, perché convinta di poterselo permettere».Che fine ha fatto l’opposizione americana a Trump?«Non ho visto grandi barricate contro la Casa Bianca da parte dei democratici. Finora è un’opposizione che non morde. Viene contestato su problemi che riguardano soprattutto la diversità e l’inclusione, l’immigrazione, ma in politica estera Trump non trova grande resistenza. Non ho visto grandi reazioni alle uscite di Trump su Panama o sulla Groenlandia. Del resto i democratici sono privi di una vera leadership, gli uomini più influenti del partito appartengono al passato».Spostiamoci a Mosca. Quali sono le reali ambizioni di Putin sull’Ucraina?«Nel maggio dello scorso anno Putin ha ribadito gli obiettivi di una guerra da lui definita come una operazione militare “speciale”: l’Ucraina non deve far parte di un’alleanza militare da lui giudicata come potenzialmente aggressiva nei confronti del suo Paese. Questa è la priorità del Cremlino».Secondo obiettivo russo?«L’Ucraina, per Putin, deve restare indipendente, dovrebbe diventare una zona cuscinetto smilitarizzata. In sostanza, Mosca vuole escludere ogni alleanza dell’Ucraina con il blocco occidentale, non solo “de iure”, ma anche “de facto”. Il suo secondo obiettivo sono le province orientali, come l’intero Donbass e la Crimea, e non è disposto a rinunciarvi».Dunque, quale potrebbe essere il punto di caduta di un eventuale accordo sull’Ucraina? È chiaro che Zelensky non potrebbe mai restare al governo sulla base delle condizioni russe.«Se parliamo dell’assetto politico ucraino, Putin ha più volte parlato di “denazificazione”, e quindi, dal suo punto di vista, non ci sembra esserci più spazio per Zelensky».In Europa si vive nel terrore del ripetersi degli anni Trenta. Quante possibilità ci sono che Putin non si accontenti dell’Ucraina, ma sposti i suoi appetiti su altri Paesi europei?«Non dobbiamo sottovalutare l’importanza della Nato che anche grazie al suo ombrello nucleare – oggi ancora statunitense – è più che sufficiente a bilanciare le capacità strategiche russe. La Nato rappresenta sempre un sistema di deterrenza efficiente, in grado di scoraggiare un’eventuale espansione russa verso occidente. Credo che più che cercare di valutare gli appetiti di Putin dovremmo valutare quelle che sono oggi, e che potrebbero essere un domani, le sue reali capacità militari. Nel caso, scopriremmo che il confronto con la Nato è già oggi tutto a sfavore della Federazione Russa».Gli Usa si ritireranno militarmente dall’Europa?«Trump non fa che ripetere che gli Stati europei devono pagare la loro parte di spese per la difesa. In media, in Europa si spende meno del 2% del Pil in armamenti. Se, come chiede l’amministrazione americana, questo numero dovesse arrivare persino al 5%, è chiaro che la presenza statunitense nell’Alleanza Atlantica andrebbe ad affievolirsi anche perché non ve ne sarebbe più bisogno».Per questo l’Europa propone un piano da 800 miliardi per riarmarsi. È una risposta praticabile?«Ci sono una serie di problemi. Il primo è quantitativo: considerando il monte di spesa americano per la difesa, la cifra che si appresta a spendere l’Europa potrebbe essere insufficiente. Il secondo problema è organizzativo: negli Stati Uniti c’è un Pentagono, in Europa ci sono 27 costosi ministeri della Difesa, che duplicano la burocrazia, e rendono complicata la coordinazione. Infine, c’è un problema economico».Quale?«Investire nella difesa significa possedere un certo tipo di industria. Negli ultimi anni, l’Europa si è deindustrializzata. Gli europei sono in grado di produrre sistemi d’arma ad elevato livello tecnologico, come velivoli da combattimento o missili da intercettazione, ma per produrre semplici proiettili da artiglieria – ciò di cui l’Ucraina ha bisogno – servono delle capacità industriali più basiche, che l’Europa si è lasciata alle spalle».Quindi, ammesso che l’esercito europeo possa vedere la luce, in ogni caso l’Europa non sarà in grado difendersi da sola?«Diciamo che i provvedimenti europei di cui si parla in questi giorni sono un primo passo, ma non sono risolutivi. E poi non dimentichiamo un aspetto più che importante: tutto dipende dalla percezione della minaccia, che varia al variare delle leadership politiche».Cosa ne pensa dell’attivismo di Francia e Regno Unito, che propongono truppe europee in Ucraina e cappello nucleare su tutto il continente?«Se parliamo di Macron, dobbiamo ricordare che la Francia possiede 190 armi nucleari: le più credibili delle quali sono solo quelle dei 12 missili balistici montati sull’unico sottomarino francese costantemente in navigazione. La Federazione Russa invece dispone di 1.700 testate pronte all’uso montate su missili, bombardieri e sottomarini. Quanto può essere credibile la capacità nucleare francese? Ho l’impressione che dietro queste dichiarazioni ci sia molta tattica, molta politica, e poca strategia. Per il resto, le fughe in avanti di certi Paesi europei - anche la Germania nella primavera del 2022 propose di riarmarsi – sono inevitabili, ma avvengono sempre in un continente che è ancora lontano dalla piena coesione politica».In definitiva, con Trump in Ucraina arriverà una pace «giusta»?«Credo che sarà una pace “brutta”. Ma forse migliore dell’alternativa sul tavolo, cioè un’escalation militare di cui non conosciamo i confini».
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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