2024-08-05
Lorenzo Ruzza: «Coi social fatturi, ma se lavori duro»
L’orologiaio che spopola online: «Quest’anno punto a 40 milioni. Mi sono creato da solo, il Web è democratico e meritocratico. Vendo anche pezzi da 400.000 euro, guai a sporcarsi la reputazione: riconosco i falsi a vista».Sedendo nel salottino del suo negozio rivestito di marmo di via Cesare Battisti, a due passi dal Palazzo di giustizia di Milano, non può non cadere l’occhio sul tavolino di fronte: all’interno, eternizzati da una resina trasparente, ci sono banconote da 100 euro e orologi spaccati con il martello, tutti falsi. Sopra il tavolino ci sono dei fogli intitolati: «Il sacro decalogo del ruzzanesimo», una «guida essenziale» recita la pergamena, «per scoprire chi non può permettersi il privilegio di entrare non solo nella mia umilissima cattedrale, ma anche di godere dello status di abbiente/agiato». Quindi non potranno indossare «uno dei miei umilissimi beni di lusso», «zinghi, sputa palline, pagliacci, fuffaguru dubaiani, indecisi, finti sceicchi, finti sultani dell’Oman» eccetera, eccetera. Il padrone di casa si chiama Lorenzo Ruzza, classe 1978, milanese e settimo di 10 figli. Dopo aver fatto un po’ di tutto, nel 2017 apre Ruzza orologi. Il resto, come si dice, è storia dei social. I suoi video in cui spacca a martellate orologi falsi che i clienti tentano di vendergli sono leggenda. Ma anche fatturato, visto che la sua impresa viaggia verso i 40 milioni. Ma andiamo con ordine.La prima domanda è proprio la più banale: quale è il segreto del suo successo? «È solo tanto duro lavoro, inutile girarci intorno. Sono uno che si alza alla 5 di mattina e torna a casa alle 21, per cui dietro quello che si vede sui social c’è molto altro. Io faccio vedere la parte bella, ma non è tutto oro quello che luccica. Tolgo tanto tempo alla mia famiglia: siamo cresciuti molto, siamo una vera e propria azienda con otto dipendenti, io potrei stare a casa. Ma non lo faccio perché so che la gente vuole me. La mia immagine è ancora importante per questo lavoro. È per questo, quindi, che mi dedico ancora anima e corpo alla mia attività. In poche parole: il segreto è sempre la costanza».Lei ha fatto fortuna con i social, ma ci sono tanti truffatori online... «Purtroppo i social sono uno specchietto per le allodole, vediamo tanti venditori di corsi, fuffaguru e personaggi simili. E la realtà non è quella che ti fanno vedere loro, questi personaggi ti mostrano soltanto uno schema dove, per esempio, si fanno vedere con una Lamborghini. Che però è presa a noleggio solo per fare quel video; portano al polso un orologio, falso; fanno vedere che hanno i soldi ma solo per riuscire ad attirare l’attenzione di un possibile “cliente”, un lavoratore normale per esempio, e spillargli dei soldi. Ma i soldi facili non esistono».Come si riesce a creare da zero, e in pochissimo tempo, un’azienda come la sua che ha fatturato, nell’ultimo anno, 30 milioni? «L’ultimo anno ho fatturato 30 milioni e quest’anno stiamo andando per i 40. Innanzitutto ci vuole sempre un pizzico di fortuna, che aiuta gli audaci. Quando ho aperto questa attività, l’ho aperta con zero euro, ho chiesto un finanziamento di 30.000 a una finanziaria di via Montenero. L’obiettivo che mi ero dato era di riuscire a guadagnare almeno 5.000 euro al mese. Ero rimasto senza lavoro, per cui mi sono detto: “Ci provo e vediamo se ci riesco”. È iniziato tutto gradualmente, i social mi hanno dato una grossa mano, mi sono studiato dei format ad hoc per cercare di farmi largo e ci sono riuscito. In cinque anni ho raggiunto i 500.000 follower. È il canale in cui vendo di più in assoluto, anzi posso dire che vendo quasi tutti gli orologi sui social».Una crescita graduale ma comunque esponenziale. «E non ho mai sperperato denaro. Quando ho avuto i primi soldini facendo questo lavoro, li ho sempre reinvestiti facendo attenzione a non buttarli. Ovviamente è un lavoro soggetto a parecchi rischi, ho preso delle fregature, chi non le ha prese? Ma da queste situazioni ho imparato a non prenderne altre. Mi sono servite come dima per non farmi fregare più: i falsi che ho preso li ho studiati. Ho ammortizzato la perdita in conoscenza».Girano tanti falsi? «Tantissimi. Se andiamo in giro la sera, il 70% degli orologi di lusso che si possono vedere al polso delle persone sono dei falsi. Quando li individuo, a chi li porta faccio la classica domanda: “Come mai porti un falso?”. Si vede che sono delle patacche, anche un collezionista lo capirebbe. E mi sento rispondere: “Quello vero lo tengo in cassaforte e indosso questo”. Ma è tutta una bugia, non è vero, non lo hanno saputo riconoscere quando lo hanno preso».E perché la gente indossa orologi così costosi? «Perché sono uno status symbol. Oggi stiamo attraversando una fase che definirei “di stazionamento” perché siamo reduci da una bolla speculativa senza precedenti. Chi è entrato in questo mercato nel 2020-2021 ha cavalcato un’onda unica. Non ci saranno più speculazioni così alte per un po’ di tempo. Noi guadagnavamo tenendo fermo un prodotto per un mese, ad esempio: prendeva il 10-15% del valore. Una crescita esponenziale che adesso è finita».Quali sono i marchi che vanno per la maggiore nel lusso? «Patek Philippe è sempre in cima alla lista, in seconda posizione abbiamo Rolex perché è molto commerciale, il marchio è conosciuto dal ragazzino fino all’amante di una certa età: chiunque vorrebbe possedere un Rolex. Poi andiamo su un’altra fascia con Audemars Piguet, un orologio di gran classe, elegante, che però ha perso un po’ di hype nell’ultimo periodo. Ma resta un gran marchio. Queste sono le marche più richieste in assoluto. Poi arrivano tutti gli altri: Richard Mille, per esempio. Io ne porto al polso uno da 330.000 euro di listino. Qui però ci rivolgiamo più a un mercato di emirati, anche se ultimamente in Italia, per via di chi lo indossa, e penso a rapper, trapper e influencer, sta incominciando a farsi strada».Perché quell’orologio che indossa costa così tanto? «Manifattura: sono dei capolavori ingegneristici e la produzione è limitatissima, ne producono solo 13 al giorno in tutto il mondo. La richiesta su Richard Mille, per esempio, è molto alta e la casa non consegna. Insomma, sono orologi di nicchia, non per tutti».Quale è il suo cliente tipo? «Io ho clienti di ogni fascia, dal ragazzino che con i primi soldi si vuole comprare un orologio, al rapper, dal professionista al dottore e all’influencer. Con i miei format sui social ho trasmesso questa sana passione a tanti ragazzini a cui, magari, non fregava niente degli orologi. Ho una variegata tipologia di clienti e tutti fidelizzati. A me non interessa vendere un orologio da 300-400.000 euro. Certo, se lo vendo sono contento, ma mi interessa di più fidelizzare il cliente e vendere un orologio di prezzo inferiore perché ho una rendita quotidiana».Quale è l’orologio più caro che ha venduto? «Ne vendo anche da 400.000 euro, per una clientela riservatissima. Vip? Posso dire quelli che mi hanno dato l’ok per essere ripresi, come Sfera Ebbasta o Lazza. Poi ho una bella clientela tra gli imprenditori e i calciatori. Questi ultimi, soprattutto, sono dei collezionisti alla ricerca di oggetti molto ricercati. Perché oggi chi acquista un orologio è soprattutto un collezionista. È ancora un investimento, certo, ma nel lungo periodo».Torniamo ai social: hanno inciso e incideranno ancora nella sua attività? «Oggi è uno strumento fondamentale per ogni tipo di business. Ti apre delle porte che, purtroppo, altri canali non riescono ad aprire. Se avessi lanciato un negozio “fisico” come quello in cui siamo adesso e avessi aspettato il cliente dalla strada, non sarei dove sono. È impossibile. Abbiamo questo strumento, il telefonino, e bisogna saperlo utilizzare. Merito, dunque, a chi riesce a guadagnare col telefonino: con questo, abbiamo tutti le pari opportunità per farcela. Prima, per “esplodere”, bisognava magari andare in televisione o essere raccomandato. Oggi chi “esce” dal telefonino ha un successo, oltre che meritato, anche duraturo nel tempo. Faccio un esempio: prendiamo quelli che vanno al Grande fratello, subito hanno milioni di follower. Tre mesi dopo che sono usciti dalla casa, non se li ricorda più nessuno. La loro è un’esplosione data mediaticamente dalla televisione. Ma se non sei grado, con le tue forze, di fare qualcosa, ritorni nel fango peggio di prima. Un imprenditore digitale che riesce ad avere successo senza l’aiuto di nessuno, dura nel tempo, fermo restando che non deve diventare troppo commerciale. Non si deve svendere o sporcare o inflazionare il proprio profilo con marchette e campagne pubblicitarie. Questo è il modo migliore per sputtanarsi come personaggio, come venditore, come profilo. Insomma, come tutto».Quali sono i suoi obiettivi per il futuro? «Nel futuro, oltre agli orologi, ci saranno le borse. Oggi tratto soltanto Hermès, quindi oggetti di un certo livello. Prima trattavo anche marchi secondari meno costosi ma ho deciso di puntare solo su questo marchio».Nei suoi ultimi post social ha insistito molto sulla scarsa sicurezza a Milano: da imprenditore, è davvero una città insicura? «È una città abbandonata a sé stessa. Non voglio sparare sul sindaco Beppe Sala, ma ce ne vuole uno diverso. Ha una gestione del comparto sicurezza che non va bene, non è in grado di tenere sotto controllo la città. Contano più l’immagine, le piste ciclabili e le aiuole che la sicurezza reale. In un Paese con una pressione fiscale come il nostro, noi dovremmo poter andare in giro con un orologio o con una valigetta piena di lingotti d’oro tranquilli, senza la paura che qualcuno ci tocchi. Purtroppo non è così. Io qui ho una guardia armata, che pago io, per 8 ore al giorno».Ce l’ha spesso anche con lo Stato e la pressione fiscale... «È una vergogna. Si prende milioni di euro senza dare in cambio nulla. Per questo tanti imprenditori scappano all’estero, qui è difficilissimo fare impresa: siamo sotto attacco dallo Stato, altrove ti danno dei premi se uno dovesse far girare tutti i soldi che faccio girare io. Qui no, sei visto come una vacca da mungere».
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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A Dimmi La Verità Stefania Bardelli, leader del Team Vannacci di Varese, fa chiarezza sul rapporto con la Lega e sulle candidature alle elezioni degli esponenti dei team.