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2018-09-29
L’opposizione la risolve tifando catastrofe
Ansa
I partiti di opposizione hanno reagito al varo del Def con un atteggiamento a metà tra Tafazzi e Fantozzi. Tafazziana la tendenza a farsi del male da soli, martellandosi le parti basse, con la speranza che le cose per l'Italia vadano male, anzi malissimo, pur di vedere Lega e M5s in difficoltà: un po' come i tifosi che, per liberarsi di un allenatore antipatico, tifano contro la propria stessa squadra. Fantozziana la strategia di schierarsi con orgoglio e determinazione contro i disoccupati, i poveri, i pensionati, le partite Iva, i piccoli imprenditori e i tartassati da Equitalia, combattendo al fianco di chi sta speculando e speculerà sulla paura di ripercussioni sui conti pubblici. Una paura alimentata proprio da una opposizione che da anti governativa è diventata tristemente anti italiana: mentre l'Europa smorza i toni e cerca di allentare la tensione (come dimostrano le parole assai caute del commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici) gli esponenti di Pd e Forza Italia soffiano sul fuoco, aumentando le preoccupazioni degli investitori.
Il più sfortunato è il segretario del Pd, Maurizio Martina: domani la sinistra scende in piazza contro il governo, ma dopo il via libera al Def i sinistrati si troveranno a manifestare a favore della povertà, di Equitalia, della legge Fornero, dello spread. Ci saranno striscioni e cori inneggianti a Mario Monti? Non si sa. Quello che si sa, è che ieri il povero Martina è stato costretto a dare i numeri: «Non possiamo non scendere in piazza», ha dichiarato, «davanti a chi sta mettendo il paese a rischio. A Roma saremo in tanti: arriveranno 200 pullman e 6 treni». Tra il menagramo e l'allarmista Matteo Renzi: «Nel 2019/20», ha twittato l'ex rottamatore, «vedremo le conseguenze devastanti delle scelte di oggi». Per ora, nel 2018, noi italiani stiamo vedendo le conseguenze devastanti delle scelte di Renzi. Oltretutto, nel 2016, alla vigilia del referendum costituzionale del 4 dicembre, Matteo vaticinò che in caso di vittoria del No i mercati sarebbero crollati e l'Italia sarebbe stata risucchiata in un buco nero di recessione. E invece? E invece le borse reagirono senza battere ciglio alla rottamazione del rottamatore. Non infieriremo, e quindi non ricorderemo che Renzi, appena un anno fa, proponeva «il ritorno per almeno 5 anni ai criteri di Maastricht con il deficit al 2,9%. Ciò permetterà al nostro Paese di avere a disposizione una cifra di almeno 30 miliardi di euro per i prossimi 5 anni». Al confronto, la manovra varata da Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini è un esempio di ferreo rigorismo. Restando dalle parti del giglio tragico renziano, si segnala la reazione rabbiosa dell'ex ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, parlamentare del Pd: «Lo spread», ha detto Padoan, «può assumere una dinamica che rapidamente va fuori controllo. C'è il rischio che il bilancio per la prima volta nella storia venga rimandato a casa e allora saranno problemi perché anche su questo i mercati potranno reagire negativamente». Nell'attesa, gli italiani a casa hanno rimandato Padoan, che ora ha molto tempo libero da dedicare al suo hobby preferito: terrorizzare i mercati nell'ottica del «tanto peggio tanto meglio».
Perfino il mite Paolo Gentiloni ha indossato l'elmetto: «I vantaggi di pochi», ha monitato da par suo l'ex premier telecomandato, «saranno pagati da danni e disagi di tanti. Sperando che chi ci presta i soldi non reagisca facendoci tornare indietro agli anni più bui della crisi». Togliete il «non» e otterrete il vero auspicio di Gentiloni, che ha così dato suo piccolo ma significativo contributo alla strategia della tensione: spaventare investitori grandi e piccoli.
Uno che non delude mai è il presidente dell'Inps, Tito Boeri, sempre tempestivo nelle sue dichiarazioni inopportune e fuori luogo per la funzione che ricopre: «Aumentare il numero dei pensionati», ha attaccato ieri Boeri, «dando pensioni piene è un grande gesto di irresponsabilità e di iniquità. C'è solo uno spreco che si potrebbe oggi davvero ridurre senza danneggiare nessuno: quello dato dagli oneri sul debito pubblico, dal cosiddetto spread». No, non avete letto male, è Boeri che stavolta si è superato.
Da Forza Italia a Forza Equitalia il passo è breve, e Antonio Tajani, presidente del parlamento europeo, ennesimo delfino di Silvio Berlusconi, ieri ha commentato così le scelte del governo: «Questa manovra danneggia il risparmio, fa aumentare il costo del mutui e dei prestiti a famiglie e imprese e ci renderà meno sovrani, più dipendenti dai mercati finanziari». Detto dal vice di Berlusconi, uno che per anni ha denunciato il «colpo di stato dell'Europa e dello spread» del 2011, che portò alle sue dimissioni a all'arrivo a palazzo Chigi di Mario Monti, fa un certo effetto. Sempre da Forza Equitalia, si è levata alta e forte la voce di Giorgio Mulè, portavoce dei gruppi parlamentari: «Il Paese reale è la Borsa», ha argutamente fatto notare Mulè ai milioni e milioni di italiani che ogni giorno combattono per riempire un'altra borsa, quella della spesa, «dove ci sono soprattutto i soldi dei piccoli risparmiatori, che crolla del 3%, lo spread che schizza. I nostri figli e i nostri nipoti dovranno pagare il reddito di cittadinanza di questi signori». Alè alè, tifa per lo spread pure Mulè.
Le minacce dell’Ue sono mezze scariche: «Non apriremo fronti con l’Italia»
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Il varo del Def ringalluzzisce i dem, con Matteo Renzi che twitta «nel 2019 vedremo conseguenze devastanti» e Pier Carlo Padoan minaccioso: «Lo spread andrà fuori controllo». Anche Fi si unisce al coro: per Giorgio Mulé «il Paese reale è la Borsa». Antonio Tajani: «Risparmi a rischio».Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis ci strigliano: ecco cosa rischiamo. Matteo Salvini: «Ci bocciano? Noi avanti». Paolo Savona: «Sarà guerra».Lo speciale contiene due articoli.I partiti di opposizione hanno reagito al varo del Def con un atteggiamento a metà tra Tafazzi e Fantozzi. Tafazziana la tendenza a farsi del male da soli, martellandosi le parti basse, con la speranza che le cose per l'Italia vadano male, anzi malissimo, pur di vedere Lega e M5s in difficoltà: un po' come i tifosi che, per liberarsi di un allenatore antipatico, tifano contro la propria stessa squadra. Fantozziana la strategia di schierarsi con orgoglio e determinazione contro i disoccupati, i poveri, i pensionati, le partite Iva, i piccoli imprenditori e i tartassati da Equitalia, combattendo al fianco di chi sta speculando e speculerà sulla paura di ripercussioni sui conti pubblici. Una paura alimentata proprio da una opposizione che da anti governativa è diventata tristemente anti italiana: mentre l'Europa smorza i toni e cerca di allentare la tensione (come dimostrano le parole assai caute del commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici) gli esponenti di Pd e Forza Italia soffiano sul fuoco, aumentando le preoccupazioni degli investitori. Il più sfortunato è il segretario del Pd, Maurizio Martina: domani la sinistra scende in piazza contro il governo, ma dopo il via libera al Def i sinistrati si troveranno a manifestare a favore della povertà, di Equitalia, della legge Fornero, dello spread. Ci saranno striscioni e cori inneggianti a Mario Monti? Non si sa. Quello che si sa, è che ieri il povero Martina è stato costretto a dare i numeri: «Non possiamo non scendere in piazza», ha dichiarato, «davanti a chi sta mettendo il paese a rischio. A Roma saremo in tanti: arriveranno 200 pullman e 6 treni». Tra il menagramo e l'allarmista Matteo Renzi: «Nel 2019/20», ha twittato l'ex rottamatore, «vedremo le conseguenze devastanti delle scelte di oggi». Per ora, nel 2018, noi italiani stiamo vedendo le conseguenze devastanti delle scelte di Renzi. Oltretutto, nel 2016, alla vigilia del referendum costituzionale del 4 dicembre, Matteo vaticinò che in caso di vittoria del No i mercati sarebbero crollati e l'Italia sarebbe stata risucchiata in un buco nero di recessione. E invece? E invece le borse reagirono senza battere ciglio alla rottamazione del rottamatore. Non infieriremo, e quindi non ricorderemo che Renzi, appena un anno fa, proponeva «il ritorno per almeno 5 anni ai criteri di Maastricht con il deficit al 2,9%. Ciò permetterà al nostro Paese di avere a disposizione una cifra di almeno 30 miliardi di euro per i prossimi 5 anni». Al confronto, la manovra varata da Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini è un esempio di ferreo rigorismo. Restando dalle parti del giglio tragico renziano, si segnala la reazione rabbiosa dell'ex ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, parlamentare del Pd: «Lo spread», ha detto Padoan, «può assumere una dinamica che rapidamente va fuori controllo. C'è il rischio che il bilancio per la prima volta nella storia venga rimandato a casa e allora saranno problemi perché anche su questo i mercati potranno reagire negativamente». Nell'attesa, gli italiani a casa hanno rimandato Padoan, che ora ha molto tempo libero da dedicare al suo hobby preferito: terrorizzare i mercati nell'ottica del «tanto peggio tanto meglio».Perfino il mite Paolo Gentiloni ha indossato l'elmetto: «I vantaggi di pochi», ha monitato da par suo l'ex premier telecomandato, «saranno pagati da danni e disagi di tanti. Sperando che chi ci presta i soldi non reagisca facendoci tornare indietro agli anni più bui della crisi». Togliete il «non» e otterrete il vero auspicio di Gentiloni, che ha così dato suo piccolo ma significativo contributo alla strategia della tensione: spaventare investitori grandi e piccoli.Uno che non delude mai è il presidente dell'Inps, Tito Boeri, sempre tempestivo nelle sue dichiarazioni inopportune e fuori luogo per la funzione che ricopre: «Aumentare il numero dei pensionati», ha attaccato ieri Boeri, «dando pensioni piene è un grande gesto di irresponsabilità e di iniquità. C'è solo uno spreco che si potrebbe oggi davvero ridurre senza danneggiare nessuno: quello dato dagli oneri sul debito pubblico, dal cosiddetto spread». No, non avete letto male, è Boeri che stavolta si è superato. Da Forza Italia a Forza Equitalia il passo è breve, e Antonio Tajani, presidente del parlamento europeo, ennesimo delfino di Silvio Berlusconi, ieri ha commentato così le scelte del governo: «Questa manovra danneggia il risparmio, fa aumentare il costo del mutui e dei prestiti a famiglie e imprese e ci renderà meno sovrani, più dipendenti dai mercati finanziari». Detto dal vice di Berlusconi, uno che per anni ha denunciato il «colpo di stato dell'Europa e dello spread» del 2011, che portò alle sue dimissioni a all'arrivo a palazzo Chigi di Mario Monti, fa un certo effetto. Sempre da Forza Equitalia, si è levata alta e forte la voce di Giorgio Mulè, portavoce dei gruppi parlamentari: «Il Paese reale è la Borsa», ha argutamente fatto notare Mulè ai milioni e milioni di italiani che ogni giorno combattono per riempire un'altra borsa, quella della spesa, «dove ci sono soprattutto i soldi dei piccoli risparmiatori, che crolla del 3%, lo spread che schizza. I nostri figli e i nostri nipoti dovranno pagare il reddito di cittadinanza di questi signori». Alè alè, tifa per lo spread pure Mulè. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lopposizione-la-risolve-tifando-catastrofe-2608658199.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-minacce-dellue-sono-mezze-scariche-non-apriremo-fronti-con-litalia" data-post-id="2608658199" data-published-at="1765406043" data-use-pagination="False"> Le minacce dell’Ue sono mezze scariche: «Non apriremo fronti con l’Italia» È arrivato puntuale e implacabile, all'indomani dell'annuncio da parte del governo di voler fissare al 2,4% il rapporto deficit/Pil nella prossima manovra, l'altolà dell'Unione europea. A pronunciare l'avvertimento è stato il «solito» Pierre Moscovici, commissario europeo agli Affari economici e finanziari, intervenuto nel corso di una trasmissione sul canale francese Bfm. «Se gli italiani continueranno a indebitarsi», si è chiesto Moscovici, «che cosa succede? Succede che i tassi di interesse aumentano, il servizio del debito, cioè i rimborsi, diventa più oneroso». Così facendo, ha aggiunto il commissario, «ogni euro destinato al servizio del debito, gli italiani non si ingannino, è un euro in meno per le autostrade, le scuole, la giustizia sociale». «Non è nell'interesse dell'Italia», ha concluso, «andare avanti su un indebitamento ancora più grande, perché alla fine sarà il popolo che pagherà il conto». Gelida la risposta del premier Giuseppe Conte, che ha affermato di non aver «mai pensato di poter fare una manovra sulla base di quanto si potesse aspettare un commissario delle istituzioni Ue». Gli ha fatto eco Matteo Salvini («La Ue ci boccia la manovra? Noi andiamo avanti»), mentre tenta di smorzare i toni il vicepremier Luigi Di Maio («Non abbiamo intenzione di andare allo scontro»). Non meno diretto Paolo Savona, loro collega alle Politiche comunitarie. Intervenendo sulla bacheca Facebook di Daniele Lazzeri, l'economista ha commentato: «Senza una forte volontà politica non si sarebbe potuto fare nulla. Abbiamo lanciato il guanto di sfida alla vecchia Europa, ora dobbiamo vincere la guerra, perché guerra sarà». Moscovici non è nuovo alle sparate contro il nostro Paese. Nel corso di un conferenza stampa affermò che nell'area euro «c'è un problema che è l'Italia», aggiungendo che in Europa «non c'è Adolf Hitler ma dei piccoli Benito Mussolini». Oltre alle consuete minacce nel discorso di Moscovici, però, c'è da sottolineare un passaggio importante. Dopo aver ammonito l'esecutivo ha precisato che la Commissione, pur non avendo «intenzione di accettare il non rispetto delle regole di bilancio», al tempo stesso «non ha alcun interesse ad avere una crisi con l'Italia». E in effetti, a diverse ore dalle sue dichiarazioni, quella del commissario è stata una sortita isolata. Fonti da Bruxelles riferiscono alla Verità che al momento non c'è alcuna volontà di creare un duro fronte polemico con l'Italia. Non prima, almeno, che la manovra compia il suo percorso (nonostante le dichiarazioni di Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione: «Quello che emerge finora dalla discussione in Italia non sembra in linea col Patto di stabilità»). L'iter prevede, dopo la pubblicazione della nota di aggiornamento al Def, l'invio della manovra alla Commissione europea entro il 15 ottobre. Entro la prima metà di novembre la Commissione pubblicherà le stime sugli indicatori macroeconomici per tutti gli Stati membri, ed entro la fine dello stesso mese è atteso il primo parere. Qualora il governo dovesse confermare la volontà di raggiungere un rapporto deficit/Pil del 2,4%, è possibile che Bruxelles richieda la correzione della manovra. A quel punto si aprirebbero diversi scenari. Nel caso di uno scontro a muso duro, l'Italia rischierebbe di incappare in una procedura per disavanzo eccessivo (Pde). La Pde è disciplinata dall'articolo 126 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e prevede che nel caso in cui la Commissione giudichi eccessivo il disavanzo, il Paese abbia a disposizione dai tre ai sei mesi di tempo per ridurre il deficit. Se la correzione non viene apportata, scattano le sanzioni che possono andare dall'obbligo di effettuare un deposito fruttifero pari allo 0,2% del Pil (nel caso dell'Italia circa 3,4 miliardi di euro) fino al blocco dei fondi strutturali e dei finanziamenti Ue verso il Paese «ribelle». Da qui ad allora, però, ci sono gli importanti Consigli europei di fine anno, nel corso dei quali l'Italia può porre il veto sul budget. A maggio, poi, si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Insistere sulla linea dura da parte della Commissione significherebbe alimentare uno scontro tra Roma e Bruxelles che gioverebbe solo ai gialloblù. Viceversa, soprassedere sul deficit minerebbe la credibilità dell'Ue, incapace a quel punto di far rispettare le sue stesse regole. Un perfetto «win win» per il nostro governo, l'ennesimo vicolo cieco per i burocrati europei.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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