2020-04-23
L’Oms è mondiale ma la comandano i privati
Tedros Adhanom Ghebreyesus (Ansa)
L'Organizzazione della sanità si regge su un budget in gran parte coperto da miliardari spesso a rischio conflitto di interessi Bill Gates e la sua fondazione sono i secondi finanziatori dietro gli Usa. E su un tema cruciale come i vaccini casca l'asino.«In realtà, sapete chi decide le linee di politica sanitaria dell'Oms? Non gli Stati Uniti, non la Cina, non l'Europa (come molti pensano), ma i privati. Sì, i donatori privati, come Bill Gates che, con la sua fondazione, è il secondo finanziatore». Ce lo conferma il professor Roberto Bertollini dal Qatar. È stato però per 25 anni all'Oms a Ginevra, come responsabile di diversi Dipartimenti sanitari. Adesso è membro di una Commissione scientifica dell'Ue a Bruxelles, docente all'Università di Lisbona, consulente di governi di diversi Paesi europei e presiede la Commissione governativa del Qatar per il coronavirus. Effettivamente, osserva il Bertollini, i privati hanno la netta preponderanza nei finanziamenti dell'Oms ed è proprio per questo che possono condizionarne scelte e gestione. La direttrice generale precedente, Margaret Chan (2007-2017) teorizzava che era giusto che «il budget venisse indirizzato verso gli interessi dei donatori». Il rischio vero però, obiettano i critici di questa politica, è che i donatori finanzino l'Oms proprio perché apponga il suo logo che legittima i loro progetti. Molti finanziatori sono infatti grandi gruppi farmaceutici e fra questi, i produttori di vaccini che guadagnano miliardi di dollari. Infatti, come documenta il British Medical Journal, nel biennio 2016-2017 le donazioni volontarie all'Oms sono state circa 3 miliardi e 900 milioni di dollari, quasi l'87% del budget totale (4 miliardi e mezzo). Il giornale aggiunge che nel solo 2017 l'80 per cento di questi fondi era stata condizionata da un'agenda decisa dai «donatori». Tutto è cominciato nel 2010 quando la Fondazione Gates (azionista di rilievo nel mercato dei vaccini) ha versato 220 milioni di dollari, ponendosi come secondo donatore dopo gli Stati Uniti (400 milioni di dollari). Successivamente la stessa fondazione ha trasferito all'Oms ben 444 milioni nel 2016, di cui circa 221 vincolati a programmi prestabiliti e 457 nel 2017, di cui 2013 vincolati a specifici progetti proposti e sollecitati dai donatori. Questo conferma il conflitto di interessi che comunque permane e che è stato denunciato nel corso degli anni da medici, ong ed esperti indipendenti. La realtà è che i fondi privati fanno gola a tutti dirigenti dell'Oms, compreso l'attuale direttore Tedros Adhanon, un ex ministro della sanità in Etiopia, che si è stato sostenuto attivamente dalla Cina, ma anche dall'Africa (in cui la Cina esercita oggi una forte influenza su molti governi) e da molti paesi europei, come ci ha confermato il Bertollini. «È normale che i paesi più grandi, come Usa e Cina, influenzino di più le scelte dell'esecutivo e del direttore generale. L'Europa non conta molto, con la sola eccezione della Germania e della Gran Bretagna. Non parliamo dell'Italia, che delega rappresentanti non sempre preparati sui progetti Oms e che si occupano poco di seguirne gli sviluppi. Il conflitto di interessi comunque esiste e si fa poco per contenerlo». Per fare solo un esempio il 20 per cento dello staff dell'Oms (circa 1.300 persone) è finanziato dal programma antipolio coperto interamente dai contributi volontari. Attualmente il bilancio complessivo biennale può contare su 5 miliardi 623 milioni di dollari (dati 2019), con circa 8.500 dipendenti, distribuiti nella sede centrale e nelle sedi regionali. Alla fine del 2019 risultavano le seguenti quote per i primi dieci donatori: Usa 14,67% (pari a 551,1 milioni di dollari),Bill e Melinda Gates Foundation 9,76 %,Gavi Alliance 8,39 %,Uk +Eire 7,79%, Germania 5,68%, World Bank 3,42%, Rotary International 3,3%, Giappone 2,73% . Come si vede, non c'è la Cina, che contribuisce con quote modeste e l'Italia, che versa una cifra dello 0,54 %, cioè poco più di 20 milioni di dollari. I donatori privati puntano all'incremento della produzione dei vaccini. Un principio giusto, ma che nasconde anche forti interessi economici (diciamo miliardari), come si è detto, da parte delle multinazionali dei farmaci, che li ritroviamo nella lista dei donatori. Un esempio? La fondazione del filantropo Gates ha «filiato» un'altra fondazione, la Gavi («Global Alliance for Vaccines and Immunizatiorl»), una partnership tra pubblico e privato, che ha versato 39 milioni di dollari all'Oms, in aggiunta ai finanziamenti della Bill Gates. I conflitti di interesse continuano cioè ad essere molto forti. E qui anche la Cina ci avrà sicuramente messo lo zampino, con accordi di produzione e distribuzione dei vaccini che si produrranno, compresi quelli per il coronavirus che si stanno studiando e sperimentando. Sentiamo che cosa ne pensa il professor Bertollini. «Non sono convinto che i cinesi abbiamo pensato a un'arma biologica; al limite potrebbe essere stato un errore dei ricercatori, anche se il coronavirus è di origine animale». Le responsabilità della Cina sono comunque evidenti, anche solo per i ritardi nel pubblicizzare l'insorgenza e la diffusione del virus, provocando una pandemia. Prima di lasciare Bertollini a Qatar («Qui vengono contagiati anche i giovani»,ci dice) gli chiediamo un giudizio su Walter Ricciardi, «scaricato» ora dall'Oms. «Il collega Ricciardi è il rappresentante italiano nell'esecutivo dell'Oms, quest'anno in scadenza. Comunque lui ha fatto un errore: i tecnici non devono esprimere giudizi politici sui governi o rappresentanti politici. Noi dobbiamo occuparci delle condizioni sanitarie delle regioni del mondo. Ha fatto male a esprimere quei giudizi su Trump , che,tra l'altro, non corrispondono ai fatti».
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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